Domenica 24 agosto ripartiamo : visitiamo molto velocemente Treguier,
ed arriviamo a Le Sillon du Talbert, particolare formazione geologica di sabbia e pietre.
✤ La Réserve naturelle du Sillon de Talbert
La Réserve naturelle régionale du Sillon de Talbert se situe sur la commune de Pleubian, au Nord du département des Côtes-d’Armor (22). Elle comprend différents milieux littoraux et marins indissociables de la flèche littorale du Sillon de Talbert. La flèche du Sillon de Talbert d’une longueur exceptionnelle de 3,2 km est la plus grande observable en France. C’est un objet géomorphologique d’intérêt international : forme rare d’accumulation sédimentaire, remarquable cordon de galets en Europe, cordon de galets le plus mobile de Bretagne. La Réserve naturelle représente une surface de 205 ha de domaine public maritime (DPM) comprise dans un périmètre plus large de 1000 ha affectés au Conservatoire du littoral.
Lors de la dernière période glaciaire, d’importants volumes de cailloux provenant de l’éclatement de la plateforme rocheuse sous l’effet du gel ont été fournis. A cette époque, le niveau marin se situe 120 m plus bas. La déglaciation qui a suivi cette période a vu une remontée rapide du niveau marin remobilisant les cailloux présents sur la plateforme continentale, les émoussant en galets et les organisant en cordons. Par endroits, d’imposantes masses de granite ont offert des points d’appui stables sur lesquels sont venus s’accrocher ces différents cordons. Progressivement, au cours de sa remontée, la mer a fait reculer ces cordons de galets qui peu à peu se sont réunis par coalescence pour former un grand cordon barrière. Ce cordon primitif reliait l’archipel d’Ollone à la côte et cette configuration se retrouve sur les cartes anciennes, levées entre 1666 et 1675. A partir de 1750 environ, de nouvelles cartes montrent le détachement de la partie terminale du cordon des îlots d’Ollone par une brèche de 200 à 300m de long. Cette première rupture intervient probablement lors d’une forte tempête dans un contexte de pénurie sédimentaire. La forme primitive de cordon barrière évolue ainsi naturellement vers une forme de flèche littorale à pointe libre : le Sillon de Talbert. Le Sillon de Talbert est donc une forme résiduelle résultant de cet événement érosif passé. Sa formation n’est pas liée aux courants et aux apports fluviatiles du Trieux et du Jaudy. D’une longueur d’environ 3 Km, le Sillon de Talbert est l’exemple de flèche littorale à pointe libre le plus significatif de France et est remarquable au niveau européen.
Le Sillon de Talbert, dont la forme et la topographie varient suivant les portions de plage, constitue un environnement sédimentaire hétérogène. Le Sillon de Talbert est composé de sable, de graviers et de galets dans des proportions variables suivant les endroits. Le premier kilomètre de la flèche est essentiellement composé de sable à la différence des 2,2 Km restants composés majoritairement de galets. Plus d’une vingtaine de roches différentes sont actuellement connues sous forme de galets sur le Sillon de Talbert. Pour la plupart, leur provenance est à rechercher dans la géologie régionale et plus particulièrement dans le Trégor. Elles ne sont pas distribuées de manière égale sur le cordon avec une proportion plus importante de granodiorite de Talbert et microgranodiorite de Pleubian qui forment le socle du Sillon de Talbert. a flèche littorale du Sillon de Talbert est un environnement très évolutif. Les événements météo marin sont les facteurs déterminants dans l’évolution de cette flèche. Lorsque le passage d’une tempête coïncide avec une marée de vives eaux (forte hauteur d’eau), les jets de rive sont susceptibles de franchir la crête du Sillon et de déverser les sédiments accumulés au sommet vers l’arrière de la plage. La flèche recule ainsi naturellement vers le sud-est. À l’heure actuelle ce recul est estimé à environ 2 m par an en moyenne. C’est le cordon de galets le plus mobile de Bretagne. En période de calme météo marin le cordon tend plutôt à s’exhausser car les événements météo marin morphogènes sont limités.La dérive littorale (courant marin longitudinal) joue également un rôle important dans le transfert des sédiments le long de la flèche en les transportant vers sa pointe favorisant une accumulation qui donne au Sillon sa forme caractéristique de « spatule » dans sa partie terminale. Les évolutions du Sillon de Talbert sont mesurées et suivies dans le cadre des travaux scientifiques de la Réserve naturelle.
Proseguiamo il nostro percorso e ci fermiamo all’Abbazia di Beauport : le rovine della cattedrale e del chiostro affacciate sul mare sono davvero magiche . L’abbazia è il punto di partenza di uno dei cammini di Santiago di Compostela : il km. zero. La visitiamo senza fretta e ci lasciamo incantare dalla sua atmosfera , fermandoci anche a fotografare le rondini in volo (o meglio tentare di fotografare). Lasciandoci trasportare da questo rilassato pomeriggio, perdiamo tutte le altre tappe previste per la giornata.
Costruita all’ inizio del XIII secolo, l’abbazia marittima di Beauport si trova nella Côtes-d’Armor, nel comune di Paimpol, nel villaggio di Kérity. Affacciato sul mare, in un ambiente naturale preservato, il complesso monastico è classificato Monumento Storicoe il suo sito è protetto dal Conservatoire du Littoral.
Caratterizzata dalla sua duplice vocazione di accoglienza dei pellegrini e di centro commerciale marittimo, l’abbazia, in stile gotico, è incastonata in un ambiente magnifico, con il suo roseto, i frutteti, le paludi e il porto riparato.Questa oasi di pace è aperta ai visitatori. Costruita attorno ad un chiostro, l’abbazia di Beauport comprende una chiesa, un refettorio, una sala capitolare e alcune cantine, una sala dedicata ai religiosi e un’altra dedicata agli ospiti. La funzione del “Bâtiment au Duc”, situato all’esterno del recinto monastico, rimane oscura: scavi archeologici hanno scoperto alcune fornaci per il bronzo. Nel XX secolo l’edificio è stato trasformato in una fabbrica di sidro.L’abbazia divenne proprietà privata dopo la Rivoluzione. Oggi, con il sostegno del Conservatoire du Littoral, che ne tutela la fauna e la flora, la riqualificazione ha permesso di aprire ai visitatori questa superba testimonianza del patrimonio architettonico bretone.
Approdiamo a St. Brieuc al Camping des Vallees , dove finalmente riusciamo a fare una bella e scrosciante doccia calda (dopo aver capito come si apriva il rubinetto). Anche oggi 8 km a piedi.
Lunedì 25 agosto decidiamo di trasferirci in Mont St. Michel : con qualche malumore rinunciamo a molte tappe per cogliere le ultime giornate di sole ; inoltre l’area di St. Malò e Dinan non offre sistemazioni comode per la visita, e oramai il tempo restante ci costringe a fare delle scelte drastiche e rinunciare anche a Cap Frehel . Per consolarci un po’ iniziamo a pensare che vorremmo tornare per recuperare molte delle tappe lasciate indietro ; e per godere della stagione delle fioriture (maggio-giugno). Parcheggiamo nell’area di sosta a 5 km dal monte (vedendo poi che sarebbe stato più comodo entrare nel bel campeggio adiacente alla diga ed alla fermata delle navette.
Una delle particolarità del Mont-Saint-Michel è quella d’innalzarsi su un isolotto roccioso circondato da una magnifica baia, teatro delle più grandi maree dell’Europa continentale. Il Mont e la sua baia sono classificati nel patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1979. I lavori di ripristino del carattere marittimo del Mont-Saint-Michel, iniziati nel 2005 e conclusi nel 2015, vi offrono la possibilità di vedere questo luogo unico sotto una nuova luce. È l’inizio di una nuova pagina nella storia del Mont: se nulla fosse stato intrapreso, nel 2040 il Mont-Saint-Michel si sarebbe ritrovato circondato da prés salés (prati salati). La scelta di questo luogo da parte dei monaci del Medio Evo fu determinata dall’ambiente marittimo, essi si stabilirono in questo luogo preciso e costruirono quello che sarebbe diventato uno degli edifici più straordinari dell’architettura religiosa. Il vescovo d’Avranches, Aubert, avrebbe fondato un santuario nel 708 sul Mont-Tombe dopo tre apparizioni successive dell’arcangelo San Michele. Il momento culminante della visita è, senza alcun dubbio, la visita dell’abbazia che sovrasta l’immensità della baia. La baia del Mont-Saint-Michel è teatro delle più grandi maree d’Europa continentale. Venite a vedere le grandi maree e ammirate lo spettacolo che vi offre la natura! Alcuni giorni dell’anno si prestano maggiormente per osservare il fenomeno. Non appena il coefficiente di marea supera 110, il Mont ridiventa un’isola nel giro di poche ore. L’acqua ricopre il guado sommergibile e la rocca rimane senza accesso al continente.
Per osservare il fenomeno dell’alta marea e l’arrivo del mascheretto, è consigliato di essere presenti 2 ore prima dell’orario di alta marea. Osservate il fenomeno dal Mont, le mura, la terrazza dell’Ovest (sagrato dell’Abbazia il cui accesso è compreso nella visita), o il nuovo ponte-passerella. La baia dispone di molti punti d’osservazione privilegiati come Roche Torin a Courtils, Grouin du Sud a Vains-Saint-Léonard o ancora Gué de l’Epine a Val-Saint-Père.
Pedalata fino alla diga che controlla la risalita delle acque marine della marea ; da qui si prosegue con una navetta gratuita che porta i turisti al Monte, a ciclo continuo. Visita veloce al borgo e all’ufficio turistico (dove prenotiamo la camminata nella baia) . La passeggiata a piedi nudi nella baia con la bassa marea è una esperienza indimenticabile : la sabbia è argillosa – e questa particolare composizione che rende il fondale molto stabile, è uno dei motivi che sono all’origine della grande marea. La guida ci insegna un metodo per affondare e per risalire : tutti sembrano tornare un po’ bambini che giocano con il fango.
Prima del tramonto facciamo la passeggiata sulle mura e riusciamo e trovare il nostro posto di osservazione per ammirare l’incredibile spettacolo dell’arrivo dell’alta marea. Casualmente abbiamo avuto la fortuna di vedere un’alta marea di coefficiente elevato ( 91/110) : al di sopra del coefficiente di 90 si vede il fenomeno del mascheretto, cioè l’arrivo delle onde che corrono veloci sulla spiaggia, cambiando velocemente i riflessi delle aree bagnate che si allargano sempre piu’ , con i gabbiani che si lasciano trasportare, ci volano sopra, la precedono giocando, fino a radunarsi tutti in cerchio nell’ultima area di sabbia, sempre piu’ piccola, ad attendere l’arrivo dell’acqua sulla quale lasciarsi galleggiare. Ed ammiriamo l’incantevole tramonto che questa giornata ci regala : l’unico tramonto tinto di rosa di questa vacanza. La luce è indescrivibile e non riusciamo a smettere di ammirare, adorare e fotografare ; e non riesco neppure a cancellare alcune delle foto, doppie, triple. Vorremmo davvero tenere per sempre questo sguardo nei nostri occhi.
(In tutto facciamo 9 km a piedi e 11 in bicicletta).
Martedì 26 agosto ci svegliamo sotto un cielo nuvoloso : pedalata al monte – con sosta nei prati di pascolo per foto panoramica – per la visita della Cattedrale (direi quasi d’obbligo) , prenotata per le 11 ; nonostante l’anticipo riusciamo ad entrare solo un’ora dopo. Qui ci sono due maree : quella marina e quella umana, che scorre inarrestabile nelle strette viuzze (si tratta del secondo monumento più visitato in Francia, dopo la Tour Eiffell). La salita alla cattedrale è molto affollata ; controlli di sicurezza, mostra di fotografie del Monte e visita in autonomia. Mont St. Michel conta meno di 40 abitanti, quasi tutti compresi nella comunità religiosa della cattedrale : le monache ed i frati che abitano l’Abbazia sembrano peraltro del tutto indifferenti al continuo flusso di persone e non esitano a farci uscire dalla chiesa per la messa del mattino, a loro riservata.
Usciamo sotto la pioggia battente e decidiamo di arrivare ad un ristorante vicino alla diga (bagnati fradici nonostante le giacche) , sperando nel miglioramento del tempo previsto dal meteo. Pranziamo a La Ferme di Mont St. Michel : tutto buono, seppure non memorabile (uovo in camicia con salsa ; mousse di melanzane con verdure al limone ; trancio di merluzzo con verdure ; polletto arrosto con patate schiacciate e salsa al limone ; gatzpacho di frutta fresca con salsa pinacolada ; assaggio di formaggio bretone con insalatina e pinoli). All’uscita altre foto alle rondini nel nido ; mentre i quattro piccoli aspettano nel nido spalancando il becco al momento giusto, sfrecciano ad una velocità tale che è veramente difficile fare le fotografie : quando mi rendo conto che sono arrivate e scatto, se ne sono già andate. E mentre osservo i due genitori andare avanti e indietro con gustosi insetti nel becco, penso alla forza di questi minuscoli uccelli. Ogni anno arrivano dall’Africa insieme alla primavera, ritrovando il proprio nido, riparandolo affinchè protegga la nuova nidiata ; depongono le uova ; nutrono i piccoli rondinini e li addestrano velocemente alla vita. E con l’autunno sono pronte per affrontare un nuovo viaggio di migliaia di chilometri sfidando le tempeste, per ritornare al caldo.
Troviamo un bellissimo cielo azzurro abitato da spumeggianti nuvole bianchissime. E quindi ci facciamo la nostra bella biciclettata sulla ciclabile che corre sulla sponda a est del monte, che ci osserva sempre all’orizzonte. La luce, il paesaggio brullo , giallo, rosso e verde, abitato da migliaia di pecore, sono un vero incanto, una vera e propria galleria d’arte. Ritorniamo nel campo dove tentiamo di ripetere uno dei più famosi scatti del Monte. La sera il rientro viene interrotto dal rientro delle greggi nei fienili, con i pastori 2.0 che le radunano correndo negli immensi pascoli a bordo di luccicanti quad. L’ultimo gregge, che è costretto ad attraversare la strada per raggiungere il proprio ovile, viene gestito da un magnifico border collie, che è molto di più di un capace operatore : non sbaglia una mossa, mantenendo il gregge compatto e conducendolo con precisione millimetrica nella giusta direzione. E terminato il proprio compito salta velocissimo sulla sua postazione nel quad, impassibile come un soldato. Il pastore non deve fare altro che dargli il via ed alla fine dare un cenno di approvazione del lavoro.
Mercoledì 27 agosto ripartiamo sotto un cielo molto grigio che ci regala scrosci di pioggia. Il clima è perfettamente allineato con le emozioni suscitate dalle visite di oggi, che ripercorrono alcuni luoghi e le drammatiche vicende dello sbarco degli alleati in Normandia . E la storia prende vita di fronte ai nostri occhi in ogni paese, in ogni strada, disseminati delle fotografie dell’arrivo degli alleati, delle fotografie e dei nomi, dei racconti, dei fatti e delle persone lì dove sono avvenuti gli eventi ; le trincee, i cimiteri, i buchi delle bombe, i piccoli musei popolari allestiti nelle piccole chiese, che raccolgono cimeli e ricordi non più solo individuali, ma di una intera collettività, che porta orgogliosamente e dolorosamente il ricordo della propria storia.
Pointe du Hoc ; Omaha Beach ; l’impressionante Cimitero americano di Colleville sur Mer, dove ogni mattina e ogni sera si svolgono la cerimonia di alzabandiera e ammainabandiera ; Arromanches le Bains, dove Churchill organizzò sin dal 1942 la costruzione dell’enorme porto servito per il supporto logistico dell’intera operazione. Sulla spiaggia il cielo cupo e minaccioso sembra partecipare al nostro stato d’animo .
Dormiamo nella piccola area di sosta di Leon sur Mer.
Giovedì 28 agosto , Venerdì 29 agosto, Sabato 30 agosto
Partiamo, oramai sulla via del ritorno, diretti a Caen. Parcheggiamo proprio dietro all’area del castello . Dove visitiamo – un pò di corsa – il Musee des Beaux Arts ; le mura del castello con vista panoramica della città ; le vie pedonali del centro che ci portano al Palace de Justice, l’ Abbaye aux Hommes (con la mostra L’oie de le collecteur) , l’ Eglise St. Etienne (famosa sin dall’antichità per le sue bellissime le vetrate dai colori intensi) .
Purtroppo non ci abbandona il pensiero molesto di essere alla fine della nostra vacanza e di dover oramai solo affrontare il viaggio di ritorno : pensiero rinforzato dalla pioggia scrosciante che ci impedirà di fare altre visite di trasferimento. Giovedì dormiamo nel parcheggio gratuito con servizi (carico, scarico, elettricità) nel parcheggio di un comune di cui abbiamo dimenticato il nome. Passeggiamo verso il centro del paese per sgranchire le gambe : inizialmente ci sembra del tutto anonimo e trascurato, poi scopriamo una sua bellezza raccolta nel piccolo centro storico, con la cattedrale che svetta nella piazza stretta tra i vicoli in cui si sporgono le case a graticcio, piccoli canali. Ma la trasandatezza generale, i rifiuti nelle strade, i marciapiedi dove si susseguono profonde buche, l’abbandono di molte abitazioni chiuse e scrostate, purtroppo rovinano l’impressione generale del paese : e ci assale lo sconforto della bellezza trascurata ed offesa. Venerdì sera entriamo nell’area di sosta sotto Digione, che pure rinunciamo a vedere per la pioggia che continua e ci accompagna fino a casa, dove approdiamo alle 18, accolti a gran voce dalle micette.
Giovedì 21 agosto riusciamo ad entrare nel’affollata area situata nel cuore della costa di granito rosa, che ci consentirà di visitarla tutta a piedi, utilizzando anche la comoda fermata dei bus di Le Ranoilien per i rientri serali. Siamo contenti di aver rinunciato a varie tappe del nostro percorso (che avrebbe richiesto almeno un mese completo), perche i prossimi tre giorni ci regaleranno l’incontro con un territorio indimenticabile .
Nel cuore della Cotes d’Armor, in uno degli angoli più affascinanti della Bretagna, si trova la Costa di Granito Rosa: la roccia, in questo tratto di mare, è caratterizzata da una incredibile colorazione rosa e si presenterà a voi in forme spesso bizzarre e stravaganti, che si alternano a insenature verdissime e vivaci stazioni balneari. Il colore rosa dei graniti è dovuto a una particolare miscela di quarzo, mica, feldspato e ossido di ferro. Dopo l’ossidazione ad una temperatura di circa 800 ° C, il granito diventa rosa. Questo è un fenomeno raro che si è verificato solo in Bretagna, in Corsica e in Cina. La costa di granito rosa si estende per circa 16 km dalla città di Trébeurden a Perros-Guirec, attraversando 4 comuni tra cui Trébeurden, Pleumer-Bodou, Trégastel e Perros-Guirec. Ogni città ha il suo angolo di paradiso che vale la pena esplorare. – https://www.franciaturismo.net/bretagna/cotes-darmor/perros-guirec-costa-granito-rosa/
Il primo giorno partiamo alla grande: il cielo è azzurro e limpido, il sole caldo, facciamo una stupenda passeggiata di 8 km (che potrebbero essere 80 per la meraviglia che continuamente si apre al nostro sguardo ) lungo il sentiero dei doganieri, da Perros Guirec a la spiaggia di Saint Guirec. Facciamo il nostro picnic appollaiati in una bellissima roccia di granito, che ci rinfresca anche un po’. Ovunque guardiamo scopriamo solo la Meraviglia : enormi massi rosa, scolpiti dal mare, dalla pioggia e dal vento, dalle forme più fantasiose ed evocative . Rocce da scalare, su cui stare in precario equilibrio protesi nella brezza respirando il mare, nelle quali sdraiarsi, accoccolarsi, sulle quali sedersi contemplando la bellezza, dalle forme sempre e sempre ed ancora nuove ovunque il nostro sguardo si posi. Fino ai due massi che si baciano, proprio sotto al Faro.
Rimaniamo abbastanza stupiti dalla totale assenza di strutture balneari pubbliche : in Francia le coste ed il mare sono di tutti ; ed ammiriamo anche la presenza di molte bellissime abitazione appollaiate tra i massi della costa, senza rovinare o invadere l’ambiente . Arrivati alla spiaggia facciamo una passeggiata nel borgo e facciamo alcuni acquisti (un bellissimo cappello antipioggia giallo, una morbidissima felpa a righe per Gabriele, ed una calda felpa blu per me) e ci gustiamo un buon gelato (scopro il limone al basilico).
Venerdì 22 agosto sempre baciati dal sole e da un cielo azzurro e limpido, decidiamo di completare il sentiero dei doganieri con il tratto – meno affollato ma altrettanto spettacolare – che va dal Moulin a Maree di Tregastel (un mulino azionato dalle maree : quando cresce la marea, l’acqua del mare riempie un grande bacino intrappolato da chiuse , ed il deflusso dell’acqua verso il mare viene incanalato in due stretti passaggi che muovono le ruote e le macine del mulino) e attraversa tutte le spiagge (Sant’Anna, Coz Pors…) affacciate sull’arcipelago delle Septe Iles (riserva integrale che permette la nidificazioni di molti uccelli) e compie il periplo de l’Ile Renote (in realtà una penisola). Al mattino costeggiamo ampie spiagge in bassa marea, con le barche arenate ; le stesse spiagge la sera saranno completamente riconquistate dal mare : cambiano i colori, le forme, i riflessi, l’atmosfera, nel continuo divenire di un paesaggio vivo, che respira e si muove.
Ci concediamo il nostro primo ed ottimo pranzo di pesce (con un buon bicchiere di vino bianco) al ristorante Le Transat : zuppa di pesce, baccalà mantecato su tortino di bietola rossa, piccole cozze alla marinara (ci spiegano che rimangono così piccole per l’alternarsi dell’alta e bassa marea), un trancio di merluzzo alla marinara (con molte verdurine). Dopo 14 Km. a piedi, ed una spesa serale, decidiamo di rientrare in bus. Procedendo per il sentiero sulla costa incontriamo sempre nuovi e spettacolari panorami, che sembrano non finire mai : nel mare si stagliano scogliere affioranti, i profili delle sette isole, in un susseguirsi infinito di orizzonti .
Sabato 23 agosto ci spostiamo di poco verso est e ci trasferiamo all’area di sosta di Trevou-Treguignec, sempre accompagnati dal sole e dall’azzurro. Partiamo immediatamente per una importante biciclettata (38 Km) tutti in salita/discesa associata ad un bel percorso a piedi (7 Km) , che ci portano lungo la costa fino a la Pointe du Chateau. Non abbiamo portato niente da mangiare, ma per fortuna a Port Blanc troviamo lo spettacolare Restaurant de Le Grand Hotel de Port Blanc : a parte il nome ridondante, si tratta di una piccolissima frazione di Penvenan (tutta l’ampia area comunale conta 2700 abitanti) : il piccolo borgo sembra ospitare più barche che case. Mangiamo le moules marine’, un piatto di gamberetti e maionese, un piatto di pesce freddo (con una mousse di merluzzo e cipollotti fantastica, sgombro ed altri pesci affumicati). Procedendo, le spiagge diventano sempre più brulle, quasi un deserto roccioso affacciato sul mare.
Dopo molte salite e discese, arriviamo infine alla Pointe du Chateau, dove ritroviamo la casa del guardiacoste , magicamente incastonata tra due rocce annidate su uno scoglio che la protegge dal mare.
L’immagine della casetta costruita tra le rocce sul mare è diventata famosissima dopo essere stata una delle copertine memorabili della rivista Bell’Europa : il mare punteggiato di scogli affioranti, la risacca delle onde sugli scogli, creano un’atmosfera potente e minacciosa, in cui offre la piccola casetta costruita tra le rocce crea un rifugio caloroso e sicuro , rispecchiandosi nella ferma superficie della spiaggetta circolare, che rivive e respira con le maree .
L’arrivo però ci riserva una piccola delusione : la casa è ora abitata dal nipote del vecchio proprietario, che giustamente impedisce l’avvicinamento dei turisti anche per evitare il danneggiamento dell’area naturale, ma – cosa più disturbante – parcheggia la propria automobile (e quelle degli ospiti) di fronte alla bellissima casetta. Non posso dargli torto : anch’io abiterei questo paradiso, ma forse un riparo per l’auto lo si potrebbe trovare.
Alla maison de littoral vediamo una bella esposizione delle bellissime fotografie di Theo Maynier : la scelta della stampa in bianco e nero dona alle immagini del mare una immediata centratura sulla vita dei suoi abitanti e ci porta a nuotare insieme a loro e ad interrogarci sulla loro esistenza.
La pedalata di rientro è un po’ faticosa, e fortunatamente troviamo una scorciatoria distante dal mare ma abbastanza pianeggiante. Abbiamo gli occhi e il cuore pieno della gioia, dell’energia, della luce, dei colori, del vento , dei sapori che hanno riempito queste giornate.
Da alcuni anni non riusciamo a fare vacanze che siano vacanze, rinforzando l’impressione funesta che fosse finita una fase della nostra vita : da due anni si sono alternati eventi felici ed altri tristi .
In questo succedersi di eventi tutto sembrava congiurare anche contro la semplice idea di partire (anche il guasto definitivo del frigorifero del camper proprio a luglio). Per cui ci siamo lasciati andare al fato : che attraverso il matrimonio di amici di nostra figlia a Plougastel St. Germain ci ha portati in Bretagna per la settimana del matrimonio (dal 12 al 17 agosto 2025) – noi e metà della nostra attrezzatura di cucina , sistemata in vari scatoloni, che ci hanno poi accompagnato in tutta la vacanza, ben allineati ed incastrati sul sedile della dinette.
Trattandosi di un viaggio piuttosto lungo (oltre 1300 Km) , che ci portava all’estremità di una regione incantevole come la Bretagna – meta del nostro primo viaggio in camper nel lontano 1994 – abbiamo pensato che tutto si incastrava in modo armonioso e perfetto, come solo il fato sa fare : matrimoni presenti e passati, nostro 40 anniversario di convivenza, primo giro in camper, vacanza ….. E quindi non abbiamo fatto altro che cavalcare l’onda della nostra vita …..
Le ultime settimane e soprattutto gli ultimi giorni prima della partenza sono stati veramente frenetici : preparativi viaggio, camper e matrimonio ; sistemazione del ballatoio e del balcone ; gita in val Formazza ; vari incontri con il serramentista per finestra e tapparelle ; gita in treno a Firenze insieme a nostra figlia (cabin crew della British Airways) , che tra un volo e l’altro il giorno dopo è anche venuta a casa per andare dalla parrucchiera e cenare con Alida.
Finalmente alle 17 di sabato 9 agosto, dopo un carico camper molto faticoso sotto lo sguardo smarrito e deluso di Sky e il miagolio sconsolato di Nebbia, siamo riusciti a partire. Dopo 240 km. arriviamo al lago artificiale del Moncenisio, dove tutte le aree di parcheggio sono affollate e abbiamo faticato a trovare un posto di sosta a bordo strada : gran bel freschino, passare dai 39 gradi di casa ai 20 serali del passo. Lo stato d’animo è insicuro, incerto, ci sembra quasi di non farcela, quasi di affrontare una avventura troppo grande. Facciamo giusto in tempo a scattare due foto ed è già buio pesto; al mattino altre due foto, colazione e partenza. Iniziamo ad attraversare paesaggi bellissimi e ad affrontare il velato rammarico per il continuo distacco .
Domenica 10 agosto è una intera giornata di viaggio intenso : Gabriele guida per 740 km. per approdare al Camping Municipal di Cinq Mars la Pile (vicino a Tours), molto vicino all’autostrada : sistemazione molto confortevole in grandissima area erbosa alberata. Cena e buonanotte.
Lunedì 11 agosto ripartiamo diretti a Carnac, dove vorremmo fare l’unica sosta del viaggio di andata, per sgranchire le gambe e per visitare il sito degli allineamenti di megaliti : annullato il resto del programma di tappe sulla costa ovest impossibili da recuperare. Dopo 325 Km. di traffico intenso arriviamo alla affollatissima Carnac : vano il tentativo di trovare un posto in area attrezzata. Tutto pieno e caldissimo (unico giorno con oltre 30 gradi) ; alla fine troviamo posto al sole in un parcheggio per camper, senza elettricità (che scopriremo essere per noi indispensabile : nonostante il sole cocente, la batteria interna non è sufficiente a sostenere il nuovo frigorifero, che raffredda benissimo, ma consuma l’intera carica nel corso della notte e prima di mattina non abbiamo più luce). Nonostante la stanchezza partiamo per la visita al sito dei megaliti, con le idee un po’ confuse : abbiamo già prenotato l’ingresso, ma dobbiamo passare a vidimare i biglietti alla Maison des Megalithes, dove ci diranno in quale campo faremo la nostra visita guidata. Ci dirigiamo quindi verso la Maison, scoprendo con meraviglia che percorriamo un sentiero che circonda ogni campo dei vari allignements : la visione è meravigliosa, stupefacente, entusiasmante. Fiancheggiamo le lunghissime file dei megaliti, gli enormi massi che si ergono come sacerdoti eterni, ordinati in lunghissime file, che solo nella fuga della prospettiva – che sembra senza fine – sembrano rimpicciolirsi. E pensiamo a quante stagioni hanno scandito il ritmo del tempo e quante vicende si siano succedute intorno a loro, silenziosi testimoni della storia. Che cosa rappresentassero o quale funzione svolgessero questi enormi massi eretti in file ordinate che corrono da est ad ovest, dall’alba al tramonto, dall’entroterra al mare, rimane un enorme mistero. Molto meno entusiasmante si rivela la visita guidata, condotta in un campo posizionato esattamente dietro al nostro parcheggio : per cui dobbiamo rifare tutto il percorso inverso di corsa – per non arrivare in ritardo- perdendo anche la possibilità di visitare il centro di documentazione della Maison (per la quale non abbiamo le forze di rifare l’intero percorso di 2 km avanti e indietro, di nuovo di corsa, perché i tempi sono ristrettissimi ) ; inoltre la visita guidata si traduce in alcune tappe all’interno del campo di Allignements di Loqmarier, nel quale veniamo chiusi, durante le quali dovremo ascoltare la nostra guida – del tutto indifferente a qualsiasi sollecitazione o richiesta – stando in piedi fermi sotto il sole a picco, con 36 gradi di temperatura : neppure lo svenimento di una ragazzina, che poi prosegue tutta la visita rimanendo seduta a terra smuove la indefessa ragazza che continua a parlare, ponendo a se stessa continui quesiti ai quali fornisce risposte di cui non riusciamo a capire granchè. Si sofferma a lungo nella descrizione dell’erbetta che circonda i megaliti : sembra che la differenza tra un megalite che sta ancora in piedi ed uno caduto al suolo sia da ricondursi alle solo apparentemente fragili erbette che ricoprono il terreno, lo rinforzano tanto da fornire una solida base alle millenarie rocce. Tutto ciò invidiando le persone fuori dal recinto, che possono vedere esattamente le stesse cose che vediamo noi, senza aver pagato il biglietto, ma soprattutto passeggiando liberamente e tranquillamente all’ombra di qualche alberello , senza dover sopportare la tortura di lunghissime soste inutili ed un soliloquio di cui non capiamo quasi nulla. Comunque tutti i campi sono aperti e visitabili gratuitamente da ottobre ad aprile : e penso a quale meraviglia possa essere vivere tra queste pietre millenarie, risvegliarsi alle prime luci dell’alba insieme al loro maestoso orgoglio , e addormentarsi nell’ombra lunare di rocce testimoni di antichi segreti, osservare il cambiare delle stagioni, l’arrivo delle nuvole, guardare il cambiamento dei loro colori con il variare della luce e del cielo al quale si tendono ….
Nella suggestiva campagna bretone, in Francia, e più precisamente a 4 km dalla baia di Plouharnel, sull’oceano, vi sono circa3000 (TREMILA) megaliti: si tratta degli allineamenti di Carnac, tra i più estesi complessi megalitici al mondo. Risalgono al Neolitico (l’ ultimo dei tre periodi che costituiscono età della pietra, che va dall’ 8000 al 3500 a.C. : in questo periodo, oltre alla levigatura della pietra, iniziano a svilupparsi la ceramica, l’agricoltura, l’allevamento, con l’evoluzione di strutture famigliari e la trasmissione di beni all’interno del clan).
Si tratta di tanti menhir posti a formare dei cerchi oppure allineati in file molto lunghe. Vi sono poi dei menhir isolati oltre che dei tumuli e dei dolmen.
Menhir deriva dal bretone men e hir “pietra lunga”. I Menhir sono dei megaliti monolitici di epoca neolitica di enormi dimensioni: alcuni raggiungono i 20 metri.
I tumuli e i dolmen sono tombe :
un tumulo è una sorta di montagna o collina artificiale, fatta di terra e pietre, costruita sopra una o più sepolture.
un dolmen è un tipo di tomba preistorica megalitica, costituita da una camera spesso interrata.
Gli allineamenti di Carnac sono molto estesi, e suddivisi in diversi campi ; i più importanti allineamenti sono: Le Ménec, Kermario, Kerlescan et Le Petit Ménec.
Le Ménec sono allineamenti di oltre 1000 menhir, divisi in 11 file su un’area lunga 950 m, i menhir più alti hanno un’altezza di 4 metri. È poi presente un prolungamento orientale e una serie di menhir isolati a est.
Vi è inoltre un enorme cerchio formato da 71 menhir all’interno del quale sorge l’omonimo villaggio di Le Ménec. Tra i menhir che circondano il villaggio vi è il famoso Grande menhir spezzato, noto anche con il nome “Pietra delle fate”, risale al 4500 a.C. ed è enorme: alto 20 metri, largo 3 metri e pesante 300 tonnellate circa. Originariamente era parte di un allineamento, lungo circa 55 metri, composto da una ventina di menhir posti in ordine di grandezza. Oggi il menhir non è eretto ma appare abbattuto al suolo e spezzato in 4 parti. Non si sa quando e perché il menhir venne abbattuto: in ogni caso, in base alle ricerche archeologiche, pare che la distruzione avvenne circa 2 o 3 secoli dopo la sua costruzione. Questo gigante era noto sin dall’epoca dei romani che lo chiamavano “Colonna del Nord” e lo usavano come punto di riferimento per identificare la strada che portava al porto del Golfo del Morbihan. L’enorme menhir venne realizzato in granito, un granito che, a differenza di quello degli altri menhir di Carnac, proveniva da un’altra zona sita a circa a 15 km e trasportato qui non si sa come. Vennero probabilmente usate delle strutture in legno e un sistema di leve per issare l’enorme pietra, poi vennero usati strumenti in quarzo per levigarla.
Kermario è costituito da 980 menhir circa suddivisi in 11 file, vi è anche un dolmen. Questo è stato per molto tempo la parte più famosa e visitata degli allineamenti ; infatti è oggi quella più rovinata ed erosa proprio a causa dei troppi visitatori non sempre rispettosi. Inoltre nel XIX secolo qui è stato costruito un canale che ha distrutto parte delle pietre, modificando lo scenario.
Vicino a questo vi è il Quadrilatero di Le Manio. Si tratta di un recinto rettangolare di 37 metri x 7 metri costituito da pietre di granito tutte alte un metro circa. A queste fa eccezione il Gigante di Manio, un menhir alto circa 6,5 metri.
Le Kerlescan et Le Petit Ménec sono allineamenti di 540 menhir divisi in 11 file.
Questi menhir sono giunti fino a noi molto ben conservati, almeno lo erano fino alla fine dell’Ottocento, quando hanno iniziato ad essere saccheggiati da “antiquari”, appassionati e vandali. D’altronde un po’ tutti gli allineamenti di Carnac hanno avuto questa sorte: considerate che per secoli queste pietre sono state usate come materiale da costruzione per case, strade e ponti! Inoltre molti menhir sono stati anche spostati o distrutti per far spazio alle attività agricole.
Come per tutti i grandi monumenti neolitici non è conosciuto il motivo della loro costruzione, con massi che venivano trasportati da altre regioni . Chi glielo ha fatto fare a quegli uomini e donne del Neolitico di fare tutta questa fatica?? Di rischiare di farsi male o addirittura morire schiacciati da questi giganteschi massi per costruire gli allineamenti di Carnac? Le ipotesi sul perché vennero costruiti gli allineamenti di Carnac sono molte: steli funerarie, calendari solari, un tempio a cielo aperto, una sorta di sismografo primitivo.
In passato alcuni studiosi hanno anche proposto teorie strampalate.. Come il fatto che questo fosse un antico campo militare romano oppure una sorta di segnalazione per indicare i campi o zone d’affluenza delle falde sotterranee acquifere e metallifere.
E poi ci sono le leggende!
Gli allineamenti di Carnac hanno stimolato la fantasia popolare: sono tantissime le leggende che circolano su di esse! Secondo alcune leggende queste pietre sarebbero persone pietrificate da divinità per punirle di azioni malvagie commesse: ad esempio sono molte le leggende sulla pietrificazione dei soldati romani venuti ad invadere le terre bretoni. Per altre leggende le pietre sarebbero vive e si animerebbero e andrebbero ad abbeverarsi in alcuni periodi dell’anno. In altre potrebbero uccidere o maledire coloro che tentano di danneggiarle!
Comunque gli allineamenti di Carnac i menhir sono diventati un vero simbolo della Bretagna francese, anche grazie ai fumetti di Asterix. Asterix (nell’originale francese Astérix o Astérix le Gaulois) è una serie a fumetti francese di genere umoristico/avventuroso, creata da René Goscinny (testi) e Albert Uderzo (disegni), pubblicata a partire dal 1959 e tradotta in molte lingue. Sono stati fatti anche diversi film. Asterix è famoso: il fumetto ha venduto oltre 200 milioni di copie. Ambientato nell’antica Gallia al tempo di Giulio Cesare, attorno al 50 a.C., il fumetto ha per protagonisti il guerriero gallo Asterix, il suo miglior amico Obelix e gli altri abitanti di un villaggio gallico sito nell’attuale Bretagna. Circondato dagli accampamenti romani, il piccolo villaggio gallico rimane l’unico pezzo di Gallia libero dal dominio romano: questo grazie alla pozione magica preparata dal druido Panoramix, in grado di rendere fortissimo, anche se per brevi periodi di tempo, chi la beve. Obelix, l’amico di Asterix, è caduto da bambino nella pozione magica e questo fatto lo ha reso fortissimo per sempre: placido, gioviale e non proprio sveglissimo, il grasso (anzi, come dice lui, “robusto, non grasso!”) Obelix va spesso in giro portandosi dietro un enorme menhir in granito!
Rientriamo stremati nel nostro camper surriscaldato ; per fortuna la sera l’aria rinfresca decisamente e verso le 23 anche il nostro Biagio 2.0 è un po’ piu fresco. Chiacchieriamo con una coppia di giovani camperisti toscani, che ci chiedono informazioni su Londra e l’Inghilterra in generale ; manderemo un po’ di notizie pratiche -che ho già scritto e salvato- e qualche diario di viaggio, per fornire qualche idea. Notte molto buia : verso mattina smettono di funzionare tutte le luci e Mattarelli entra immediatamente in modalità allerta rossa, accendendo il motore per ricaricare la batteria interna. Da ora in avanti il nostro destino è segnato : solo aree con attacco elettrico (salvo emergenze).
Martedì 12 agosto, dopo un veloce passaggio alla Maison des Megalithes percorriamo gli ultimi trafficati 130 km. e corriamo a Plougastel St. Germain , sotto Brest . Seguirà una intensa settimana di lavoro, emozioni e divertimento per i preparativi ed il matrimonio. Alla fine della quale corriamo verso il mare a Ruscumunoc , dove abbiamo un appuntamento con il tramonto e dove iniziano ufficialmente le nostre vacanze in Bretagna.
Lunedì 18 agosto ci concediamo un risveglio con tutta calma. Al mattino operazioni di riordino e pulizia del camper . Poi partiamo per una bella passeggiata di 7 km. sul sentiero litoraneo della Bretagna (GR 34) : picnic in spiaggia ascoltando lo sciabordio delle onde. Vediamo qualcosa muoversi in acqua verso riva, ma io sono senza occhiali e Mattarelli in modalità pranzo : due ragazzi ci dicono essere una foca ( e io non l’ho fotografata : sono ancora arrugginita). Superando varie baie tra una rada nebbiolina ogni tanto trafitta dal sole, raggiungiamo la Pointe du Corseu, il punto più occidentale della costa francese. Ci trasferiamo all’area di sosta di Lampaoul Plouarzel : dove ci facciamo una corroborante doccia fredda, prima di cenare con vista sul mare.
Martedì 19 agosto ci trasferiamo a Ploudalmezeau , nel camping comunal Les Dunes. Il tempo è sempre grigio : sembriamo – in realtà siamo – immersi in una enorme nuvola . Decidiamo di esplorare la costa in bicicletta. Sul percorso vediamo : il Dolmen di Guilliguy ; la Chapelle Notre Dame de Kersaouit ; Tremazan, dove imbocchiamo la bellissima route touristique ; la Chapelle de Saint Sanson ; le Ruines du Semaphore de Kerhozoac ; il Dolmen di Saint Gouvel . Tra le indicazioni in francese e le traduzioni in bretone (molto simile al gallese, per l’origine legata alle invasioni dei popoli nordici) che non sono indicate insieme, facciamo una gran fatica a trovare le strade e a capire dove siamo : ogni cartina o sistema di orientamento sambra parlare una lingua diversa, in una miriade di villaggi Plou..qualcosa. Alla fine faremo 33 km , tra bruma, nebbia fitta, rischiarite improvvise : il rientro è surreale. Pedaliamo velocissimi e bagnaticci (ha inizato a cadere una sottile pioggerellina), completamente immersi in una nuvola, senza sapere esattamente dove siamo : ogni tanto vediamo comparire e sfilare via veloci ombre di mare o di colline o di case, sembra l’atmosfera fatata di un racconto fantastico.
Arrivati in camper, dopo una settimana di vegetarianesimo, decidiamo di farci un bel piatto di tortellini in brodo, che ci stanno anche perfettamente con il clima e con l’umidità generale.
Mercoledì 20 agosto decidiamo di completare la visita della zona : prima con la visita del piccolo memoriale Ancre en Eor (che ricorda l’enorme disastro ecologico che colpì l’intera costa di tutta la Bretagna nel 1978, quando la petroliera Amoco Cadiz si spezzò lberando tutto il suo carico di petrolio grezzo) .
Passeggiamo poi sulla enorme spiaggia di Treompan, abbracciata dal massif dunaire sul quale si allunga la Rocher du serpent.
Ci trasferiamo a Plouguerneau, dove facciamo una bella passeggiata : avvistiamo un falco e mangiamo una buona crepe, ammiriamo da non troppo lontano il grande Phare de l’Ile Vierge, facciamo qualche acquisto in un negozio che vende abiti vintage.
Guardando le previsioni del tempo che ci danno qualche giornata di sole, decidiamo di tagliare alcune delle prossime tappe e di dirigerci spediti verso la costa di granito rosa. Dormiamo quindi al camping municipal de Tregastel (per fare la prenotazione all’area di sosta di Perros Guirec – o Ploumanach – ci rassegnamo a fare la tessera associativa del Camping Car Park, supportati dall’assistente telefonico che riordina la confusione da noi fatta tentando di attivarla).
Dopo molti anni – circa 30 – abbiamo nuovamente visitato Villa Carlotta, rimanendo incantati dal suo splendore, riportato alla luce dagli importanti lavori di valorizzazione e recupero effettuati e tuttora in corso, che hanno annientato il nostro vecchissimo ricordo di stanze grigie e quasi vuote, circondate da cascate di fiori. Tremezzo come al solito ci accoglie con la straordinaria bellezza del suo paesaggio : le antiche eleganti dimore di villeggiatura , lo sguardo che si allunga sino ad accarezzare le dolci curve di Bellagio.
Il 28 settembre -in una spettacolare giornata di sole , una di quelle occasioni che un fato generoso ti regala- abbiamo partecipato ad una bellissima visita guidata dal conservatore della Villa, Alberto Corvi, che ci ha incantato, emozionato ed anche commosso con il suo coinvolgente racconto e la sua premurosa attenzione. Abbiamo qui conosciuto le vicende di Giovanni Battista Sommariva, il politico e mecenate che ha dato vita ad una monumentale raccolta di beni artistici che oggi purtroppo rimane solo in parte. E dopo una veloce sosta presso il bel ristoro, abbiamo anche partecipato alla visita dei giardini, guidati da Gianluca Selva, capogiardiniere e soprattutto cintura nera di giardinaggio in arrampicata. Ci sono stati svelati alcuni segreti delle piante secolari , esotiche , curiose , delle enormi serre (dove vendono riparate in inverno gran parte delle piante, che incredibilmente sono in vaso), del recupero dell’uliveto secolare, della pesciera …
Abbiamo anche visitato la bella mostra di Luisa Albertini, vivace artista comasca che ci ha divertito con le sue opere colorate e popolate dalle figure meravigliate che abitavano le sue stanze e lei chiamava per nome.
E così, una visita sola non è stata sufficiente : oggi abbiamo voluto portare – e porteremo ancora nelle prossime settimane – i nostri amici ad ammirare tanta bellezza. I baci appassionati, gli abbracci dolcissimi, gli sguardi languidi, orgogliosi o frementi che affollano le stanze antiche ; le lacrime del rimpianto scolpite nel marmo ; una statua che sembra animarsi e travolge il suo creatore, l’attonito Canova che non riuscirà più a separarsene ; l’azione scolpita e fermata per l’eternità in semplici e sapienti gesti pieni di tenerezza ; le forme perfette degli Dei dell’Olimpo che scendono nelle nostre vite e ci circondano … E le antiche stanze improvvisamente si animano di presenze eterne, che sembrano parlarci : ci dicono che le più profonde esperienze umane attraversano immutate il tempo ed i territori, come frecce capaci di colpirci al cuore.
E gli stessi sentimenti – orgoglio, dolcezza, caparbietà, amore, saggezza – troviamo a risuonare nei giardini e nei fiori , nella danza delle libellule che ci volano attorno, e che non si rassegnano ancora all’arrivo del primo freddo .
Io voglio davvero ringraziare dal profondo del cuore tutti gli operatori della Villa che ci hanno accolto con tanta passione e che soprattutto hanno ridato vita e curano ad un tesoro tanto prezioso, facendolo nuovamente risplendere .
Per una serie di sfortunati eventi accaduti nel giorno della nostra partenza e subito dopo il nostro arrivo a Krk – prima tappa delle nostre vacanze sulle isole della Croazia – ci siamo ritrovati a Monfalcone, dove si trova la Clinica veterinaria Timavo che offre un eccellente servizio di pronto soccorso sulle 24 ore.
Dovendo rimanere nelle vicinanze per garantire le cure per la nostra cagnolina Nina , colpita da una bruttissima gastrite acuta da causa per ora non identificata, abbiamo esplorato questo territorio a noi completamente sconosciuto, nonostante i precedenti e numerosi veloci attraversamenti in camper.
E – come spesso succede quando ci si perde o il caso stravolge i nostri piani – abbiamo scoperto meravigliosi tesori a noi completamente sconosciuti .
Il territorio è bellissimo : una catena di colline visibili all’orizzonte abbraccia una pianura verdissima , che scivola nella grande e tranquilla area lagunare, dove il cielo riverbera mille e mille riflessi, immobili o in lento movimento. E mi sono ricordata delle descrizioni di questa terra e di questa gente fatte da Pier Paolo Pasolini, che il territorio ricorda e mantiene presente e viva : infatti ad Aquileia, all’ingresso del porto romano, ci accoglie Pier Paolo Pasolini, che tanto ha parlato di questa terra e di questa gente.
Altro aspetto degno di rilievo : una offerta turistica organizzatissima – una vera e propria macchina da guerra – fruibile con semplicità ed immediatezza, con moltissime aree archeologiche, beni e monumenti, riserve naturali, una fittissima rete di piste ciclabili, importanti o capillari, che attraversano il territorio e ti portano fino a Salisburgo a Nord e a Roma a sud.
E non ultimo il carattere della gente friulana : essenziale, robusto, gentile e premuroso. Nei giorni trascorsi in queste zone abbiamo sempre trovato persone gentilissime, disponibili all’accoglienza ed all’aiuto con premura, presenti per ogni necessità : in ogni momento o situazione abbiamo trovato persone dirette e semplici, pronte a fornire risposte ad ogni domanda talvolta neppure esplicitata .
Siamo stati perfettamente ospitati nello splendido campeggio Aquileia, completamente ombreggiato, dotato di servizi essenziali ma ineccepibili (una delle migliori docce mai provate : acqua calda e scrosciante) e di una piscina ristoratrice e non disturbante : al riparo di una fresca ombra, nella quiete animata solo dal delicato fremito delle foglie, abbiamo contemplato i cipressi secolari e le rovine del porto romano.
Ed ecco le tappe della nostra breve esplorazione.
AQUILEIA .
Aquileia è un grande paese che vive le sue giornate tranquillamente disteso su una lunga storia che si stratifica in tre livelli distinti. Nasce un primo nucleo preromano, il più profondo , costruito dal IX secolo a.C. che ora riposa coperto da due metri di terreno. Su questo – ad un metro e mezzo di profondità – si sviluppa in tutto il suo splendore la città romana che nasce come importantissima colonia fondata dall’impero nel 181 a.C. per proteggere e controllare i traffici sulla le frontiere a nord ovest . La vita di Aquileia romana durerà sette secoli, nel corso dei quali diventa il più importante presidio del territorio, con un circo, un colosseo, le terme, palazzi signorili, numerose abitazioni riccamente decorate da marmi e pavimenti a mosaico, abitata da ricchi mercanti, politici, emissari dell’impero : e le sue abitazioni documentano splendidamente questa ricca storia, con i resti perimetrali delle mura delle abitazioni, i bellissimi pavimenti a mosaico che praticamente tappezzano con continuità questo livello. Ed infine ci appare la cittadina che attraversando anni, decenni e secoli che hanno lasciato le loro tracce è arrivata sino ai giorni nostri, in cui le strade e le case si alternano a moltissime aree di scavo, o a vestigia di strade ed antichi monumenti : l’impressione è di essere catapultati in una favolosa macchina del tempo, in cui le rappresentazioni antiche dei libri di storia ci appaiono di fronte agli occhi e diventano tangibili. Potrebbe anche apparire un romano togato che ci accompagna sugli splendidi mosaici raccontandoci quello splendore.
IL SEPOLCRETO CASE ROMANE (FONDO CAL) DOMUS TITO MACROGRANDE MAUSOLEO CANDIADECUMANO DI ARATRIA GALLAFORO ROMANOPORTO FLUVIALE ROMANOBASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTAIL GALLO SCONFIGGE LA TARTARUGA (LUCE E TENEBRE ; VITA CRISTIANA E MORTE )I MOSAICI :UN VERO TRATTATO NATURALISTICOBATTISTERO SUDHALLELA STALLA E IL PALAZZO EPISCOPALE
Vediamo anche una elevatissima concentrazione di archeologi, volontari e studenti al lavoro, con aree di raccolta del materiale rinvenuto : e gli scavi sono comunque limitati dal fatto che Aquileia è un paese vivo, dove abitano oltre 3000 persone. Gli aquileiesi ci hanno detto che in questo territorio anche il semplice lavoro dell’orto, la dissodazione del terreno, o la preparazione di uno scavo in giardino, spesso porta alla luce antichi lumi in terracotta, tessere o interi mosaici, monete, antichi oggetti : un semplice buco per la riparazione di una tubatura può portare alla luce il disegno di un antico mosaico. E così molte delle aree visitabili portano ancora il nome dei proprietari del fondo in cui sono stati rinvenuti (le case romane del fondo Cal ; la Domus di Tito Macro dell’ex fondo Cossar…) , che sono poi state acquistate dallo stato. E’ un luogo dove la storia è viva e presente, tutt’altro che dimenticata. Possiamo anche seguire il racconto e la documentazione fotografica degli scavi dei vari siti : e così vediamo le mucche, il letamaio e la stalla Violin sotto cui riposavano i bellissimi mosaici della Domus e del palazzo episcopale.
E questi luoghi – in cui la memoria sembra animarsi di nuova vita – accolgono ancora altra arte, come la mostra fotografica Sguardi su Palmira, del fotografo Elio Ciol, con immagini riprese il 29 marzo 1996 : cioè prima della distruzione della antica città siriana, la Sposa del deserto, da parte dei terroristi dello stato islamico durante la guerra civile nel 2013. La memoria e la bellezza da un lato, la distruzione e la morte dell’anima dall’altro.
IL CIMITERO DEGLI EROISCAVI : MERCATI TARDOANTICHI
Voglio ringraziare l’efficientissimo ufficio turistico che ha organizzato puntualmente ogni aspetto della nostra visita alla città, proponendoci un vantaggioso pass (costo 18 euro) valido due giorni e dotato di perfetta audioguida che comprende l’ accesso a tutti i siti/musei/cattedrale, oltre che una romantica gita sul battello che attraversa la laguna fino a Grado. Insomma un Pass per la Meraviglia . Inoltre vengono proposte quotidianamente una serie di visite guidate tematiche, per le quali voglio anche ringraziare la nostra competente e gentile guida Eugenia e tutti i premurosi custodi presenti. E sono numerose anche le attività culturali, ad esempio i Concerti in Basilica, o il Concerto del Solstizio all’alba tra le rovine ed i maestosi cipressi del porto fluviale romano …. Alle quali non siamo riusciti a partecipare solo per esaurimento delle energie disponibili ….
MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALETOMBA DI BASSILLATOMBA DI FABBROMOSAICO CON VITE E NASTROMOSAICO DEL PAVIMENTO NON SPAZZATOMOSAICO DEL RAPIMENTO DI EUROPACHIESA DI SANT’ANTONIO
LAGUNA DI GRADO E GRADO
Abbiamo percorso più volte la splendida ciclabile che congiunge Aquileia a Grado, attraversando prima le aree archeologiche, poi la verde e rigogliosa campagna , la splendida laguna punteggiata da numerosi isolotti rigogliosi , tanto piccoli da poter ospitare una sola abitazione, casoni dal tetto di paglia , chiesette, o anche solo un pollaio con orto . La laguna ha orizzonti sempre mutevoli ed è animata da un respiro costante e nascosto : il cielo e la luce ricamano sempre mutevoli riflessi, in un’acqua apparentemente tranquilla, ma sempre percorsa dal fluire delle maree, che condiziona anche gli orari del battello che congiunge Aquileia a Grado.
Ed una volta abbiamo preso la prima corsa del mattino, percorrendo le poco profonde vie sommerse , in cui il comandante deve essere esperto ed attento a non arenarsi (il barcone segue vie che hanno una profondità anche di pochi centimetri in alcuni tratti ) , avvicinandoci alle isolette , di cui abbiamo ascoltato alcuni racconti : come quella annunciata dal chiocciare delle galline del pollaio, affiancato da un modesto riparo, di proprietà della signora Caterina, arzilla novantenne che ogni mattina – da tutta la vita – la raggiunge con la propria barca a remi per nutrire le galline, raccogliere le uova, coltivare l’orto ed infine controllare sempre in barca a remi le vicine aree di pesca/allevamento ; quelle con una solitaria costruzione dal tetto in paglia che sembra uscita da un libro di favole ; quella con una più elegante casetta dove si è incredibilmente tenuta la mostra degli abiti della principessa Sissi ; quella più elaborata con una casa nascosta dagli alberi di un fitto giardino, dotata di darsena e spiaggetta, un vero e proprio mondo a parte. E così, trasportati da questi racconti, che muovono la nostra immaginazione, ci muoviamo lentamente in un orizzonte surreale, in cui le direzioni vengono indicate da improvvisi cartelli che spuntano circondati dalle acque. Oltre a questi racconti e a queste suggestioni, gli operatori del barcone, molto simpatici e schietti, non ci hanno aiutato a caricare e scaricare le biciclette attraverso la stretta pensilina di attracco , bensì hanno caricato e scaricato le nostre biciclette, sollevandoci da ogni timore o fatica. E questo intendo quando parlo di essenziale premura e presenza delle persone che abbiamo incontrato in questa terra.
Grado, località turistica e termale conosciuta anche come Isola d’Oro o Prima Venezia o Isola del Sole, è nata in epoca romana come scalo mercantile di Aquileia : deve proprio il suo nome ai gradoni che agevolavano lo sbarco dei passeggeri e delle merci dalle navi. Nel nostro girovagare poco organizzato, ci ha colpiti l’ animato centro cittadino, e la splendida passeggiata sul lungomare (ci sono 11 km di spiagge) . Nel IV secolo venne costruito il suo Castrum, il centro storico medioevale dove trovarono rifugio le popolazioni dell’entroterra scampate all’assalto dei barbari , con campi e campielli in stile veneziano ( anche Venezia nascerà e sarà fondata dall’esodo degli Aquilesi scacciati dalle invasioni barbariche ) ; le sue belle chiese ( la Basilica di Sant’Eufemia con il suo bellissimo pulpito , il Battistero ed il Lapidarium, e in cima al campanile l’arcangelo giravento Sn Michele , l’Anzolo che è diventato il simbolo della città vecchia ; la più piccola ed antica Basilica di Santa Maria delle Grazie ) ; la bella Casa della Musica uno degli edifici più antichi affacciata sul Largo della Vittoria con resti romani .
Abbiamo pranzato (per due volte) al Piper, ristorantino della cooperativa dei pescatori affacciato alla grande spiaggia Costa Azzurra : ambiente molto semplice, con servizio veloce ed ottimi piatti di pesce (memorabile tutto ciò che abbiamo assaggiato : gli spaghetti alle vongole legati da una cremina indimenticabile, le acciughine marinate, le cozze sommerse da un brodo perfetto anche da sorseggiare, i tenerissimi calamari e scampi grigliati…). Dovremo comunque tornare per completare l’assaggio dell’offerta gastronomica della città consigliata da cari amici, e persone del luogo (in particolare : Ai Bragossi e Il Ristorantino-Lega Navale Italiana) .
BASILICA DI SANT’EUFEMIABATTISTERO E LAPIDARIUML’ANZULBASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIECASA DELLA MUSICAVIA GRADENIGO 1900VIA GRADENIGO 2024LUNGOMARE NAZARIO SAURO
ISOLA DELLA CONA
Con la riserva di Staranzano, parliamo delle due oasi protette che costituiscono la Riserva Naturale Foce dell’Isonzo (2400 ettari che costeggiano gli ultimi 15 Km. del fiume), area caratterizzata da una elevata biodiversità (praterie naturali salmastre e di acqua dolce) che avvantaggiano specie naturali particolari (gladioli ed agli selvatici, orchidee) e favoriscono la nidificazione degli uccelli. Noi abbiamo visitato l’isola della Cona e – a parte un gruppo di bambini in gita al centro visite – non abbiamo incontrato alcun essere umano . E’ stata riconosciuta e premiata come la migliore area d’Italia per il birdwatching. Una caratteristica che la rende unica è anche la presenza dei cavalli di razza Delta (sostenuta dal naturalista Ignazio Zanutto) , discendenti dei robusti Camargue ben adattati agli ambienti salmastri e umidi , non temono l’acqua, il freddo e l’umidità e si nutrono di piante acquatiche : con la loro azione di pascolamento contribuiscono al ripristino ed al mantenimento del delicato equilibrio di questi ambienti mantenendo bassa la vegetazione erbacea e sono ben adattati anche alla presenza dell’uomo (anche per garantire le cure in caso di infortunio, le vaccinazioni, il trasferimento nelle varie aree di pascolo) . Esiste infatti un complesso programma di rotazione dei pascoli e di ottimizzazione del carico di animali (numero di cavalli per ettaro) e della permanenza nel pascolo, strettamente correlato ai processi di crescita e fioritura della piante. Una parte dei cavalli presenti nella riserva viene tenuta allo stato brado, una parte è invece addestrata ed utilizzata per il lavoro con il bestiame e le passeggiate naturalistiche a cavallo.
Consigliata la visita al mattino presto o al tramonto quando gli animali si svegliano e cercano cibo, si muovono nel fresco del mattino ; non all’una come abbiamo fatto, tra le due pedalate di andata e ritorno da Aquileia, sempre sotto il sole a picco.
Altra visita che consigliamo di fare a inizio o fine giornata, non all’una di pomeriggio sotto il sole a picco come noi , all’apice di una biciclettata di 18+18 Km
Il nome deriva dallo sloveno “Terre di mezzo” e sorge nei luoghi dove nel primo conflitto mondiale di svolsero le violentissime battaglie del fiume Isonzo. Si tratta del più grande sacrario militare italiano, dove sono sepolti oltre 100.000 soldati in gran parte ignoti ; è uno dei sacrari fatti costruire negli anni 30 dello scorso secolo dal regime di Benito Mussolini, che stava avviando la sua campagna di conquiste .
E’ costituito da un ampio piazzale dove si susseguono 38 lapidi che ricordano altrettante battaglie avvenute in questa zona strategica del Carso ; dopo il quale inizia una scalinata sulla quale sono disposte le tombe dei del Duca d’Aosta e dei comandanti . A seguire 22 gradoni lungo i quali sono disposte le salme dei militari riconosciuti (39.857 con nome o cognome, o solo il nome o il cognome) ; sull’ultimo gradone due grandi tombe comuni per i resti dei 60.330 soldati ignoti). Unica donna qui ricordata la crocerossina Margherita Kaiser Parosi Orlando, ventunenne morta per la spagnola alla fine del conflitto.
Lo stile e la retorica sono quelle odiose tipiche del periodo fascista (uno per tutti : la scritta PRESENTE che si ripete all’infinito sulle tombe) : rimane il dolore e lo smarrimento legato alla atrocità della guerra, al pensiero dei tanti ragazzi partiti e mai più tornati, alle famiglie che non hanno neppure avuto la possibilità di piangerne la perdita…
Visitiamo anche le trincee coperte alla base del sacrario : e anche qui, osservando i prati fioriti ed il cielo azzurro dagli spioncini per i fucili, continuo a pensare agli sguardi, al terrore, ai pensieri dei ragazzi che attraverso quegli spioncini hanno guardato gli stessi prati e lo stesso cielo in guerra ad un attimo dalla morte.
Altro giro in ciclabile, questa volta verso nord (da Aquileia verso Palmanova) . Torviscosa appartiene al gruppo delle “città di fondazione”, costruite sul principio dell’autarchia (autosussistenza) durante il ventennio fascista nelle zone di bonifica, allo scopo di accogliere i nuovi coloni che vi si trasferivano . E’ sorta non solo con finalità agricole, che coinvolgono anche alcune delle sue frazioni, ma anche per esigenze industriali, gestite dalla SNIA Viscosa , una delle più grandi aziende italiane dell’epoca specializzata nella produzione di fibre tessili artificiali ricavate dalla cellulosa. L’architettura del ventennio, ancora intatta, conferisce al luogo un aspetto quasi metafisico : sembra di entrare in un quadro di De Chirico, grazie anche al fatto che il paese è quasi completamente deserto, tanto da sembrare erroneamente disabitato, e al caldo torrido ed immobile che scalda il silenzio. L’effetto è straniante, ma molto evocativo : sembra di aver fatto un viaggio nel tempo e di essere all’improvviso ritornati al 1935. Non troviamo alcuna mappa, alcun pannello esplicativo : troviamo solo una audioguida online che ascoltiamo, ma ci risulta comunque difficile orientarci. Ci riusciamo grazie all’aiuto di una giovane signora di una cartoleria e di un altro abitante che si ferma in auto proprio per darci alcune informazioni sul luogo. Ci vengono indicate la frazione agricola della Malisana con il suo cimitero storico ; la vecchia piazza dell’autarchia ; lo stadio ; il teatro ; la vecchia mensa completamente abbandonata e completamente invasa dalla vegetazione ; il teatro ; le case gialle e le colombaie , alloggi degli operai di vario grado ; le ville dei dirigenti ; il villaggio Roma o campo PG 107 , sorto come campo di concentramento per prigionieri di guerra per i 1000 soldati catturati dall’esercito italiano nella battaglia di El Alamein (650 neozelandesi e 350 sudafricani) che dopo l’apertura della fabbrica divenne sempre un villaggio operaio.
Con la (s)vendita dello stabilimento industriale alla multinazionale farmaceutica Bracco tutto questo patrimonio, architettonico, storico, politico, umano rischia di essere completamente dimenticato, così come il grande centro di documentazione tristemente chiuso .
E anche che tanto non abbiamo visto : sicuramente torneremo a visitare queste terre, che la bellezza del paesaggio ed una lunga storia hanno arricchito di umanità, arte, memoria.
Da Como siamo nuovamente partiti per Londra, facendo un itinerario un po’ largo : siamo infatti passati da Bologna (per motivi di famiglia) e da Forlì, per visitare (per la seconda volta) la mostra “Preraffaeliti. Rinascimento moderno” : il Museo Civico San Domenico ha promosso questa bellissima mostra– una delle migliori che io abbia mai visitato – sia per le opere (quasi 400, provenienti dai musei inglesi, americani, irlandesi e da molte collezioni private, con opere che mai si sono viste né si vedranno in futuro) che per approfondimento e chiarezza espositiva, che mi hanno fatto comprendere chiaramente le ragioni del mio innamoramento per questo movimento artistico, che cerco sempre in ogni nostra peregrinazione inglese.
La soddisfazione ci fa dimenticare la fatica del percorso ; come prima (e rapidissima) tappa di trasferimento approdiamo alla SPLENDIDA Nancy : ci concediamo una STUPENDA passeggiata di 5 ore. Troviamo parcheggio per il nostro camper vicino alla capitaneria di porto, sulla Meurthe : approfittiamo di uno dei tre circuiti turistici della città ( centro storico, con i suoi monumenti principali ; delle acque, sulle rive della Meurthe ; Liberty, di cui la cittadina è una delle capitali). Oltre a questi, sono disponibili molti percorsi cicloturistici con mappe, depliant, perfette spiegazioni online scaricabili gratuitamente.
Oltre alla enorme ed organizzatissima offerta turistica (arricchita da residenze e musei di assoluto rilievo) che la rendono meravigliosa (non mi viene altro termine) , Nancy ci appare tranquilla e vivibilissima, incontaminata dal turismo di massa : la piazza accoglie alcuni locali che mantengono la loro eleganza e le vie circostanti non sono affollate (né omologate ed imbruttite dai negozi che solitamente soffocano i bellissimi centri storici delle nostre città) . I ritrovi serali dei ragazzi sembrano raccolti in alcuni locali che circondano la cattedrale ed illuminano in modo romantico i vicoli del quartiere medioevale. Scopriamo anche che a Nancy comprare casa costa meno che nel piccolo comune comasco in cui viviamo.
Nancy è una cittadina di poco più di 100.000 abitanti , capoluogo del dipartimento della Meurthe e Mosella nella regione Grande Est francese. La sua storia è relativamente giovane : sembra partire all’epoca merovingia nel X secolo ; diventa poi capitale del ducato di Lorena e dal 1400 inizia un notevole ampliamento e sviluppa una vita culturale senza precedenti. Nel 1737 Stanislao Leszczynski , re di Polonia e suocero di Luigi XV, riceve in dono il ducato di Lorena, che governa sino alla sua morte , portandolo al suo massimo sviluppo in pieno illuminismo. Crea la piazza a lui intitolata, oggi Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO, insieme alle altre due contigue : Place de la Carriere e Place de l’Alliance.
Quando Stanislas arriva a Nancy, trova una città divisa nettamente in due settori : una medioevale ed una rinascimentale, entrambe fortificate. Era impossibile spostarsi dall’una all’altra senza attraversare cancelli e fossati. Oltre alla costruzione della sua piazza si propone un’enorme progetto di modernizzazione e riqualificazione urbanistica dell’intera città, che è disposto a finanziare in gran parte in prima persona, unendo le forze di famosi architetti ed abili artigiani. Il progetto ha dato inoltre avvio a molti progetti collaterali che hanno coinvolto l’intera città.
Place Stanislas : costruita per arricchire la città con una Place Royale con edifici sontuosi e monumentali rivolti alla statua del re al centro, non delude le aspettative. Progettata da Emmanuel Herè come un enorme quadrato delimitato dai palazzi di governo, in stile classico-barocco armoniosamente affiancati , uniti da sette enormi cancellate dorate ai quattro angoli ed a metà di tre lati ; si propone come naturale continuazione della Place de la Carriere, dalla quale la separa l’Arc de Triomphe. Dall’alto dei palazzi un tripudio di angeli offerenti meraviglie osservano i visitatori da ogni lato. Balconate, fontane, statue a profusione, con un’impressione generale di gioia e festa. Gli edifici della piazza oggi accolgono, oltre a numerosi ed eleganti bar e ristoranti, la sede centrale del municipio (Hotel de Ville), oltre ad alcuni privati ; gli appartamenti di Stanisalas (Pavillon Alliot) sono diventati il Grand Hotel de la Reine ; il Pavillon de Fermes (in origine l’ufficio delle tasse), dopo aver ospitato il vescovado , dopo la separazione tra stato e chiesa, accoglie la Lorraine National Opera House ; la vecchia università di medicina è oggi il Museum of Fine Arts ; il Pavillon Jaquet è da sempre sede di negozi ed abitazioni private.
Place de la Carriere : costruita nel XVI secolo e completamente rinnovata da Herè, è una lunga piazza che presenta l’Hotel de Craon, la Corte di Appello, palazzi residenziali per governatori, mercanti, militati ed ambasciatori, ed è chiusa in testa dal Musee de Lorrain . E’ così chiamata per i giochi a cavallo che vi si tenevano prima del 1800.
Place d’Alliance : il suo aspetto intimo, severo e lineare si discosta dallo sfarzo delle due precedenti ; circondata da palazzi residenziali, dove Stanislas si circondò di famiglie e persone a lui gradite.
Saltiamo poi immediatamente all’ ottocento, quando Nancy conosce un nuovo periodo di prosperità culturale ed economica, divenendo la città di residenza dei francesi di Strasburgo e Metz che rifiutano l’annessione delle due città alla Prussia, tra i quali molti intellettuali ed industriali. Da qui parte il movimento dell’Art Nouveau con la celebre Scuola di Nancy, oggi splendida sede di museo : agli artisti capofila (Emile Gallè, Antonin Daum, Louis Majorelle, Victor Prouvè, Eugene Vallin …) si uniscono schiere di architetti, maestri artigiani (ebanisti, vetrai, fabbri, carpentieri…) che abbelliscono l’intera città. A Nancy molte case mostrano la firma dell’architetto che le ha progettate, come i quadri e molte opere d’arte : arte che qui diventa bellezza diffusa che ti avvolge e si respira ancora oggi in tutta la città. Nel quartiere attiguo al Parc de Saurupt – quasi ad ogni passo – vorresti suonare il campanello di ogni abitazione, per ammirare la luce colorata delle splendide vetrate, la bellezza di interni che puoi solo immaginare o intravedere dalle finestre.
La scuola di Nancy ha lasciato molti splendidi edifici pubblici ( Camera di Commercio, BNP Paribas, vetrata del Crèdit Lyonnais, Rue des Domenicains, Brasserie l’Excelsior… ) e privati (Casa Majorelle, atelier di Emile Gallè, atelier di Eugene Vallin, Immeuble France –Lanord, Maison Bergeret ….), intere vie e quartieri.
In sintesi : la splendida Nancy merita una bella vacanza di almeno una settimana.
Noi abbiamo scelto l’itinerario liberty e proponiamo alcune suggestioni.
Da non dimenticare : passeggiata notturna nelle tre piazze, illuminate dalla magie dei lampioni.
E viste le belle suggestioni, recuperiamo il diario e le fotografie della nostra precedente visita a Nancy, nell’aprile 2022, per completare lo sguardo su questo splendore.
Lo spirito del viaggio ci protegge : per interrompere il percorso Gabriele propone di sostare a Nancy (di cui non sapevamo proprio nulla) e dopo rapida consultazione del meraviglioso mondo www, scopriamo che la città è una capitale del liberty francese ed offre numerose attrattive. Quindi non trovando sosta nell’area camper situata strategicamente in pieno centro, ci dirigiamo al campeggio più vicino, Le brebois , dove arriviamo con la reception oramai chiusa. L’arrivo di un’altra roulotte e la ricerca di un addetto ci aprono le porte del paradiso : l’area del camping è situata in un bellissimo bosco, con piazzole erbose giganti . L’addetto, gentilissimo, continua a dire che non c’è problema : possiamo metterci dove vogliamo, fare cio’ che vogliamo … e a tutto penseremo domani.
Dopo una notte riposatissima, risveglio tranquillo, doccia e colazione e partenza motivatissimi per la visita di Nancy : il camping è comodissimo per raggiungere il centro . All’uscita la fermata del bus : i biglietti, molto semplicemente , si acquistano dall’autista che sorride e saluta cordialmente e fa anche due chiacchiere con i turisti.
Ci dirigiamo immediatamente al Musée de l’Ecole de Nancy , aperto nel 1964 ospitato in una bellissima dimora borghese costruita alla fine del 1800 appartenuta a Eugene Corbin, uomo d’affari e grande collezionista . I pezzi esposti sono giunti da raccolte pubbliche e da donazioni private. Le collezioni (quadri, sculture, vetreria, oggettistica, arredi , pavimenti, carte da parati, lampade e lampadari, di illustri esponenti del movimento artistico liberty : Emile Gallé, Victor Prouvé, Eugene Vallin, Henri Berger, Louis Majorelle, Manifacture Daum …) sono esposte a comporre le sale di una dimora , che risulta quindi essere stupefacente ed incantevole . Ovunque dirigi lo sguardo vedi dettagli poetici : ogni oggetto richiama elementi naturali, fiori, piante acquatiche, alberi, uccelli , le stelle ; le figure rappresentate hanno l’incanto del sole e il movimento del vento ; tutto è morbido, fluido, rotondo… Per un’appassionata di art nouveau come me siamo praticamente in paradiso. Ovviamente nel magnifico giardino troviamo le piante ed i fiori rappresentati all’interno .Un padiglione circolare ospita un acquario affacciato ad un piccolo laghetto con ninfee, lillà, peonie, iris , anemoni.
Nel giardino troviamo anche il movimento funerario alla memoria della giovane moglie dello scrittore Jules Rais , quasi un vortice di fumo chesi disperde nel cielo.Proseguiamo la nostra passeggiata dirigendoci verso il centro, passeggiando spesso su un tappeto di petali rosa per strade che scorrono su dolci discese e salite, sulle quali si appoggiano le facciate delle case color miele, in cui ritroviamo frammenti e citazioni liberty che confermano una delle due anime della città.L’altra anima, quella medioevale, rinascimentale e settecentesca e testimone senza dubbio alcuno de la grandeur francese , la troviamo nelle tre piazze patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO (la maestosa Place Stanislas terza più bella piazza di Francia secondo i francesi , enorme piazza quadrata con quattro cancelli di accesso sui lati e quattro fontane negli angoli ed angeli e sguardi fermi che la osservano dall’alto ; la Place de la Carriere, la place de l’Alliance), nella via Haute Borgeois dove si affacciano le residenze della nobiltà , nelle porte di accesso al centro (Porte Notre Dame e Porte de la Craffe) e nei vicoli del centro storico.Pranziamo con un impressionante hamburger gourmet da Voyou vicino alla piazza : grondante letteralmente di prodotti del territorio e del locale (pane-carne-formaggio-verdure-salse), consigliato come pasto unico della giornata. Terminiamo il pomeriggio con la visita alla seconda casa museo liberty : Villa Majorelle. La famiglia Majorelle gestiva una azienda artigianale artistica che divenne nota in tutta la Francia nella Exposition Universelle de Paris del 1900 : ebanisteria, vetreria, ceramiche, ferro battuto, decorazione artistica. Louis Majorelle partecipò alla fondazione de l’Ecolé de Nancy rendendo la città una delle capitali dello stile Art Nouveau. La bellissima villa è fresca di completo restauro, che dalla rovina l’ha riportata allo splendore originario.Rientro in camper, tisana, mela e buonanotte.Seguaci della filosofia del “cogliere l’attimo”, sempre più intimamente contagiati dalla frenesia liberty e ispirati dalla seconda giornata di cielo azzurrissimo e sole magnifico , decidiamo di non lasciare Nancy senza vedere alcune altre tappe fondamentali. Cerchiamo la sede centrale del Credit Lyonnaise, dove si può entrare liberamente per ammirare il magnifico salone sormontato da una stupefacente vetrata Art Nouveau (250 metri quadrati, composta da 523 pannelli) di Jacques Gruber : gli impiegati lavorano immersi in una luce colorata che forse potrebbe distrarli un po’. Completiamo la nostra visita con il Musée des Beaux-Arts, che comprende opere in progressione cronologica dal 1400 ai giorni nostri , con un’ampia bellissima sezione dedicata all’arte di fine ottocento-novecento.
Una annotazione su Infinity mirror room (Yaoi Kusama) : all’interno della piccola camera è tutto molto buio , e non si vede la stretta pedana su cui stiamo camminando, circondata da acqua che amplifica all’infinito i riflessi degli specchi alle pareti . Ci sembra di galleggiare nell’universo, nello spazio infinito e stellato : un bagno nell’universo . Peccato che stavo davvero per caderci dentro...
E per finire , la infinita collezione Daum : centinaia (forse migliaia) di vasi in vetro art nouveau.
E’ giunta l’ora di tornare a casa : facciamo tappa serale in Svizzera affacciati alle placide acque del Sursee (parcheggio a Sempach) dove arriviamo giusto in tempo per ammirare il tramonto, che è la degna conclusione di questa stupefacente tappa di viaggio, che come molte soste impreviste, ci ha regalato emozioni profonde.
Edimburgh, North Berwick, Tantallon Castle, Bass Rock, Melrose Abbey, Borders, York.
Venerdì 5 agosto 2022 . Ripartiamo velocemente diretti ad Edimburgo, capitale della Scozia (500.000 abitanti). Decidiamo incautamente di cercare parcheggio in prossimità del centro, dove sbagliamo anche strada e ci areniamo in un fiume IMPRESSIONANTE di traffico e di persone : sembra che tutto il mondo si sia dato appuntamento qui. Scopriamo che è il primo giorno del Fringe Festival (teatro, musica, danza) che durerà tutto il mese di agosto e porterà centinaia di artisti ad esibirsi in ogni luogo della città ; del Royal Military Tattoo che porterà decine di bande e battaglioni militari ad esibirsi in parate e concerti serali di fronte al castello, con regolare chiusura del centro storico a metà pomeriggio per le operazioni di controllo ed ingresso del pubblico; e di altre decine di iniziative culturali e ricreative collegate : l’apice dei festeggiamenti annuali della città. Iniziamo a temere che il saggio mr. Hoggy avesse ragione … Nonostante tutto la prima impressione della città è GRANDIOSA : sembra di essere in un enorme teatro, con quinte di scena successive che disegnano campanili, torri gotiche, palazzi, strade , ponti , che si innalzano progressivamente : il centro storico ci sembra enorme e complicato… Perdiamo circa due ore alla ricerca vana di un parcheggio : riusciamo a parcheggiare tre volte nell’area decentrata del porto per poi renderci conto che siamo sempre in aree con limite orario (massimo 4 ore di parcheggio) e divieto di sosta notturna. Alla fine ci sembra di trovare fortunosamente uno splendido parcheggio in un’ampio spazio tutto libero adiacente ai verdi e tranquilli Leith Gardens ( e anche ad un incrocio) : nessuno di noi vede la doppia striscia gialla in terra, che indica divieto assoluto di parcheggio e che circonda le ruote del nostro camperone. E così sentendoci quasi miracolati, incoscienti ed ottimisti, partiamo alla conquista della città che ci ha già stregato. Scopriamo immediatamente che ho acquistato i biglietti del bus hop on hop off (circuito turistico, con soste nei luoghi più importanti) , purtroppo per i giorni sbagliati : contattiamo il call center (che si trova in Spagna) ed una signorina gentile (ma completamente ignara della topografia di Edimburgo) ci risolve il problema delle date, ma non sa assolutamente dirci dove si possa trovare la fermata più vicina a noi. Alla fine capiamo che per attivare il nostro biglietto dobbiamo andare in centro e quindi cerchiamo un altro bus. Arrivati in centro ci muoviamo nel flusso incrociato di FIUMI DI PERSONE che arrivano da ogni direzione, tra rumori e confusione, e ci sembra complicato anche solo trovare un semplice panino . Visto che sono oramai le due passate, ci rassegnamo a prendere un asporto da Macdonald e di mangiarlo durante un primo giro sul bus scoperto. In realtà ne dobbiamo cambiare due per trovare posto nel piano alto scoperto, con i capelli al vento sotto il sole : ma almeno cominciamo a prendere confidenza con la città, che è bellissima soprattutto dalla nostra prospettiva alta rispetto alla confusione che regna nelle strade. Insomma non partiamo proprio con il vento in poppa : qualche malumore non troppo strisciante e nervosismo. Il panino è un po’ triste, ma buono, soprattutto perché siamo abbastanza affamati.
Il giro nel bus scoperto ci regala la prima immagine della città : che in realtà non è così grande come ci è sembrata : è divisa in due da Princess Street : la Old Town o Città Vecchia abbarbicata sulla collina, e la New Town o Città Nuova creata dal settecento in poi. Scopriamo che la molteplicità di torri e palazzi avvistati, in realtà sono il profilo dei palazzi , torri e campanili del Royal Mile (Miglio reale) o High Street – la famosa lunga strada nel cuore della città vecchia , che collega il castello ad una estremità al Palace of Holyroodhouse dall’altra , residenza ufficiale della Regina ad Edimburgo : è il cuore della città e la domina in altezza , offrendo i suoi diversi profili a seconda del punto da cui li si osserva . Tutto intorno alla strada reale, al castello e al palazzo reale, ed alla collina su cui svettano, corrono alcune strade che formano un cerchio : da un lato Princess Street e Regent Road, che segnano l’inizio della New Town settecentesca ed austera e la dividono dalla Old Town medioevale, che si sviluppa con il Royal Mile, il Grassmarket, Victoria street,Greyfriars Graveyard e tutto il nucleo più antico, formato da un dedalo di vicoli e closes che salgono e scendono vertiginosamente in ogni direzione. La città vecchia si sviluppa su più piani e spesso intere strade sono costruite sulle strutture di quelle più in basso : e così passeggiando per una larga via, ci accorgiamo in realtà di essere sopra un enorme ponte costruito su una parte più bassa della città. Sembra di essere in un quadro di prospettive impossibili Escher….
Dalla guida Feltrinelli : “La venerabile, scenografica Edimburgo, capitale-vetrina della Scozia, è una città storica, cosmopolita, ricca di cultura, immersa in una cornice sensazionale : abbarbicata ad una serie di vulcani estinti e spuntoni rocciosi che spiccano nel paesaggio in gran parte pianeggiante dei Lothians”.
Sir Walter Scott la chiamava : “la mia città romantica”.
Robert Louis Stevenson così descrive la sua “ripida città” : “nessuna posizione potrebbe essere più preminente per la città principale di un regno ; nessuna meglio scelta per grandiose prospettive”.
Terminato il giro in bus iniziamo a prenderci gusto, per cui decidiamo di rifarlo tutto a piedi : questa volta iniziamo da High Street (o Royal Mile), e al percorriamo tutta (impossibile però avvicinarsi al castello) ; da qui partono –a spina di pesce – una serie di stradine e ripide scale , i closes e pends, talvolta con un cancello iniziale. Vediamo il piccolo bar, ora chiuso, dove J.K. Rowling ha scritto il primo libro di Harry Potter.
Ai piedi di castlehill ammiriamo The Hub, una imponente ed altissima torre gotica nera (la sua guglia è la più alta di Edimburgo), dove ora si trova il Festival Centre .
Visitiamo la High Kirk of St. Jilles (santo patrono di storpi e mendicanti) , chiesa parrocchiale della Edimburgo medioevale, con la sua guglia a forma di corona. Alcune delle bellissime vetrate sono opera di William Morris.
Percorriamo ripetutamente nei due sensi una delle vie più iconiche e fotografate, Victoria Street, che ha ispirato la creazione di Diagon Alley della saga di Harry Potter .
Visitiamo il Greyfriars Cemetery dove alcune lapidi hanno ispirato il nome dei personaggi della saga e dove c’è il monumento che la città ha dedicato al piccolo cane Bobby , ricordato anche da una statua situata fuori dal cimitero. Era il piccolo cagnolino di un poliziotto, John Gray ; qualche giorno dopo la sua morte il piccolo Bobby fu trovato sulla sua tomba dove rimase di guardia fino alla sua stessa morte, 14 anni dopo : in quegli anni divenne una celebrità e la gente gli portava da mangiare e da bere. La statua fu posizionata subito dopo la sua morte nel 1872, per omaggiare la sua eccezionale fedeltà e dedizione.
Oltre a questa storia edificante, si deve invece ricordarne un’altra decisamente meno romantica : nel 1600 fu necessario recintare i cimiteri perché esisteva un grave problema relativo al furto di cadaveri, ricercatissimi per le ispezioni autoptiche, che alimentavano un fiorente e redditizio commercio. I corpi da poco interrati, venivano riesumati e venduti alla scuola di medicina. Il reato venne portato all’estremo dai famigerati Burke e Hare , che aggiravano il furto al cimitero semplicemente assassinando le vittime che poi avrebbero rivenduto.
Passeggiamo sotto alla ripida collina sovrastata dal castello, vediamo due grandi teatri di Edimburgo (il nuovo Traverse Theatre e l’antico Royal Lyceum Theatre) , e passeggiamo per i Princess Garden: dove un tempo fluivano i liquami della Old Town, oggi corrono i binari della adiacente stazione ferroviaria.
Risaliamo Princess Street ammirando il profilo della città vecchia illuminato dalla luce del tramonto; l’atmosfera di festa, che comincia a contagiarci, è completata dalle persone in vestiti eleganti, dalla musica di molti gruppi ed artisti in costume che si esibiscono in strada e che accompagnano incessantemente la nostra passeggiata.
Ammiriamo anche lo Scott Monument , una torre alta 60 metri, la più imponente al mondo dedicata ad uno scrittore ; la sua architettura gotica riproduce quella di Melrose Abbey, molto amata da Scott; le decorazioni scultoree raffigurano 16 scrittori scozzesi e 64 personaggi dei suoi racconti. Sul piedistallo centrale è collocata una statua dell’autore con il suo cane levriero Maida (scolpita in un blocco di marmo di Carrara di 30 tonnellate). All’interno c’è una stretta scala a chiocciola di quasi 300 scalini che conduce ad una piccola piattaforma panoramica vicina alla cima.
Ci dirigiamo poi a Calton Hill, l’acropoli di Edimburgo, una roccia di origine vulcanica che ci regala una panorama a 360 gradi, sulla città e sul mare. La piccola torre che ancora campeggia è ciò che resta dell’antica prigione della città, Calton Gaol, dove venne rinchiuso il famigerato Burke prima dell’esecuzione pubblica. Troviamo poi il City Observatory, l’osservatorio astronomico del 1800 che rimase in funzione fino a che l’inquinamento luminoso della città rese impossibile osservare le stelle. Ed infine il colonnato del National Monument, spesso chiamato “l’abominio di Edimburgo” : ciò che resta del tentativo incompiuto e sgraziato di riprodurre il Partenone, come monumento ai caduti delle guerre napoleoniche. I lavori vennero interrotti per l’insufficienza di fondi, ma la stravagante costruzione rimane come punto di riferimento nel paesaggio.
Per la cena troviamo l’incantevole Cafè Royal Circle Bar (interamente decorato da quadri in ceramica) dove – come in tutti i pub – se trovi un posto a sedere puoi mangiare. Veniamo invitati a condividere il tavolo di una coppia di Glasgow in vacanza, con cui facciamo una bella chiacchierata ; uno sveglissimo cameriere che riesce da solo a gestire la sala gremita e incredibilmente ci recapita una ottima cena.
Non possiamo rinunciare poi ad un’ultima passeggiata notturna, attraverso il North Bridge che passa sopra la stazione ferroviaria, improvvisamente interrotta dallo spettacolo di fuochi d’artificio dal castello per il Military Tattoo. Bene …. nonostante qui la festa continui, noi per oggi salutiamo Edimburgo e torniamo al camper . Buonanotte.
Sabato 6 agosto 2022. Decidiamo di andare a fare colazione in centro e la Jessica (sentita una sua amica di Edimburgo) ci porta al Black Medicine Coffe, dove mangiamo superbi croissant dolci o salati, in un’ambiente degno del nome. Chiedo se posso acquistare un piatto del locale che mi ricordi questo bell’inizio di giornata e il barista me lo regala con un sorriso. Sento che oggi partiamo con il piede giusto.
Oggi Edimburgo è un grandissimo teatro : il Royal Mile non è più una strada ma un palcoscenico a cielo aperto, dove si susseguono artisti di strada, musicisti, spettacoli itineranti, centinaia di giovani attori in costume che con le più fantasiose strategie propongono decine di rappresentazioni e cercano il conquistare loro pubblico. L’atmosfera – superata l’iniziale confusione – è molto vitale ed allegra, con sorprese che possono apparire in ogni dove e in ogni momento. Ascoltiamo per un po’ due ragazzi che suonano la chitarra con un ritmo trascinante e ci dispiace non poter sentire tutta l’esibizione o partecipare allo spettacolo serale. Acquistiamo il loro CD e li salutiamo .
Dopo una rapida incursione nel cortile dell’Università , visitiamo il Gladstone Land , abitazione seicentesca di un benestante commerciante di stoffe ed affittacamere . Nel piccolo appartamento l’unica camera, riscaldata da un enorme camino, serviva da sala da pranzo camera da letto e bagno (rappresentato da una comoda che veniva utilizzata al bisogno, in un contesto generale di scarsissima igiene, con liquami che correvano nelle strade). Viveva qui una famiglia con 5 figli : il maggiore dormiva nel letto con i genitori, il piccolo nella culla, gli altri tre su un materasso che veniva tirato fuori la sera . Nella cucina viveva la domestica che dormiva in un letto a scomparsa incassato nella parete di fianco al camino, con pitale annesso. A salire le camere affittate, sempre più modeste mano a mano che si procedeva verso l’alto. Questo era il lusso….
Arriviamo poi puntuali alla visita all’ Edimburgh Castle , che abbiamo prenotato ieri, attraversando l’Esplanade, una ampia piazza ora occupata dalle tribune allestite a sbalzo sullo strapiombo per assistere al Military Tattoo.
Il castello domina la città dall’altura rocciosa di un vulcano spento ; da qui si comprende l’importanza strategica della fortificazione, e si ammira il panorama più ampio della città e del mare. Attraversiamo il Portale di accesso, l’ Half Moon Battery (fortificazione semicircolare più esterno delle varie mura di difesa) e il Portcullis Gate (ulteriore porta fortificata di sbarramento) .
In questo primo slargo ci sono i passaggi di osservazione e le batterie di cannoni per accogliere i visitatori. Si arriva poi al National War Museum of Scotland (uniformi, armi, medaglie, cimeli, trofei, dipinti, documenti) , che non suscita la nostra passione, ma visitiamo velocemente per curiosità : mi soffermo ad osservare la scatola farmaceutica in dotazione ai militari più fortunati, oltre che i piccoli oggetti affettivi che i soldati portavano con se (fotografie, lettere, sassi, conchiglie…).
Negli altri edifici sono alloggiati alcuni corpi militari e si svolgono incontri di rappresentanza ad alto livello.
Arriviamo poi alle prigioni, quella militare per i soldati e quella più spartana per i prigionieri di guerra. Nel robusto muro di cinta una targa ricorda l’evasione clamorosa di un gruppo di 43 soldati.
Si arriva quindi al cuore del castello, la Crown Square quadrata con gli edifici più importanti e protetti : qui scopriamo che il castello non è in realtà un castello nel senso comune del termine, ma una cittadella militare fortificata . Il Palace, palazzo reale, è in realtà molto modesto, con alcune piccole stanzette spoglie. Fu ristrutturato per Maria Stuarda regina di Scozia che qui viveva con il consorte ; un bizzarro specchio rotondo consente di intravedere (un po’ come guardoni) l’angusta alcova dove Maria Stuarda diede alla luce Giacomo VI (praticamente uno sgabuzzino verde). Oggi accoglie solo i gioielli della corona (Honours of Scotland), i simboli più importanti della Scozia come nazione : la corona tempestata di gemme di Gacomo V incorpora la precedente di Roberto I , lo scettro sormontato da una enorme sfera di cristallo , la Stone of Destiny (la Pietra del Destino : la pietra sopra la quale Giacobbe sognò una scala di angeli che collegava cielo e terra, portata in Irlanda da alcuni missionari e da qui in Scozia : venne usata per l’incoronazione di tutti i re di Scozia fino al 1266, quando Edoardo I rubò quella che credeva essere la pietra del destino e la trasferì nell’Abbazia di Westminster a Londra, dove rimase fino al 1950 quando venne trafugata da un gruppo di nazionalisti scozzesi. Nel 1996, con fastosa cerimonia ufficiale la Stone of Destiny è stata riportata da Londra a Edimburgo, in uno dei molti tentativi del moribondo governo conservatore di convincere gli scozzesi che l’Unione era un’ottima cosa, nella completa indifferenza dell’opinione pubblica. In realtà ci sono molti dubbi sulla autenticità della pietra, un semplice blocco di arenaria liscia, dove mancherebbero alcune intricate incisioni ; si ritiene che gli astuti monaci di Scone abbiano consegnato ad Edoardo I il coperchio di un pozzo nero, ed abbiano nascosto la pietra originale in un luogo noto solo a pochissimi eletti.
Bene : dopo queste edificanti narrazioni, proseguiamo la visita degli edifici sugli altri lati della piazza reale, la Great Hall, camera delle sedute del Parlamento scozzese fino al 1639, e la Hall of Honour che ospita lo Scottish National War Memorial.
Usciti dal castello ripercorriamo il Royal Mile alla ricerca di un posto dove mangiare, impresa non semplice vista la folla. La Jessica ci porta al Makars Gourmet Mash Bar : geniale idea in cui il cliente può abbinare una serie di secondi di carne o verdura ad una serie di mash (patate schiacciate, insaporite con varie preparazioni) ad una serie di salse di accompagnamento, in moltissime possibilità di incrocio. Pranzo ottimo, con alcune citazioni letterarie .
Seguiamo poi le tracce sul selciato che ci conducono al vicino Writer’s Museum.
Saliamo e scendiamo scale vertiginose e la bella Victoria Street : una insolita strada curva su due livelli . Quello inferiore ospita negozi colorati sotto le arcate ; quello superiore una terrazza-passaggio pedonale. Anche qui non mancano scale, scalette, closes più o meno segreti.
Visitiamo il Grassmarket (la piazza dove si svolgeva l’antico mercato del bestiame, oggi affollata di bancarelle e circondata da pub, ristoranti e negozi turistici) e l’Armachair Book (libri antichi ed usati), e facciamo qualche foto dal Vennel Viewpoint.
Tramortiti entriamo in qualche negozio per acquistare un po’ di sciarpe scozzesi che regaleremo a Natale a tutti i parenti. Decidiamo di trascurare completamente The Holyroodhouse e la nuova controversa sede del Parlamento scozzese, che sta di fronte : teniamo qualcosa da vedere per quando torneremo. Rientriamo in camper e troviamo sul parabrezza una multa per divieto di sosta: 60 sterline, ridotte a 30 se paghiamo entro 14 giorni. Impieghiamo un po’ di tempo ad individuare l’evidente doppia striscia gialla sotto alle ruote del nostro camper, e quindi ci rassegnamo a pagare: meno di quanto ci sarebbe costato un qualsiasi parcheggio. Il sollievo per la sventata rimozione, la clemenza della municipalità, oltre all’aspetto grafico della multa (mai ricevuta prima una multa così bella), ci consolano .
Quindi siamo obbligati a spostarci e a cercare un’altro parcheggio ; dopo un tentativo fallito nei paraggi del Dean Village (ultima meta di Edimburgo), facciamo una veloce spesa, e troviamo una comoda area di sosta (gratuita) a Fettes Avenue di fronte alla sede della Polizia di Edimburgo, che consigliamo caldamente. Siamo circondati da altri camper e da numerosi mezzi della polizia di ogni dimensione, con agenti che vanno e vengono tranquilli. Cena leggerissima e buonanotte.
Domenica 7 agosto 2022. Dopo la colazione lunga passeggiata a piedi verso il Dean Village : piccolo villaggio sede degli antichi granai e mulini affacciati sul fiume Water of Leith, oggi riconvertiti in appartamenti esclusivi. Il villaggio vittoriano, uno degli angoli più pittoreschi e sorprendenti di Edimburgo, è incastonato sui ripidi argini del fiume , lungo il quale passeggiamo per alcuni Km. lungo la bella walkway (il percorso completo è 19 Km. ) che porta fino a Princess street.
Noi ci fermiamo prima per visitare la bella Circus Lane, e le più austere grandi piazze circolari Royal Circus e Moray Place circondate da eleganti e regolari palazzi settecenteschi.
Avvistiamo laSaint Stephen’s Church , dove è in cartellone Amleto di Shakespeare con Ian Mc Cullen (purtroppo sold out) : sin dai tempi della sua costruzione all’inizio dell’Ottocento, ha avuto una vocazione educativa (istruzione degli analfabeti) . Nel 2014 è stata acquistata (per 500.000 sterline) da un produttore di videogiochi, che avviò una fondazione con l’intento di preservare l’edificio e sviluppare iniziative legate all’arte al servizio della collettività . Nel 2017 Peter Schaufuss, stella della danza e fondatore del English National Ballet School, annunciò l’intento di fondare una scuola di teatro internazionale capace di attirare compagnie da tutto il mondo. La Ashton Hall è quindi diventata uno degli spazi teatrali più grandi della Scozia ; è attualmente la sede di molte attività culturali , della Scuola e dell’ Edinburgh Festival Ballet , della Scottish theatre school MGA Academy. Ovviamente è di diritto una delle sedi di punta del Fringe Festival.
Torniamo poi al nostro camper e salutiamo Edimburgo, diretti sulla costa a est .
Le nuvole che ci hanno accompagnato questa mattina sono velocemente spazzate via da un bel vento vivace. Sotto un cielo azzurro riprendiamo rapidamente confidenza con il giallo dorato dei campi, il fucsia dei fiori e tutti i verdi del panorama : e dopo la folla torniamo a respirare a pieni polmoni l’aria libera delle campagne. Arriviamo così a North Berwick. La bella cittadina è composta da una lunga fila di eleganti case vittoriane ed edoardiane affacciate su due enormi spiagge (est e ovest) : le due lunghissime mezzelune di sabbia dorata sono separate dal porticciolo e dal centro di osservazione degli uccelli che nidificano sull’enorme scoglio vulcanico di Bass Rock. Le sule sono stanziali, ma i pulcinella di mare, così come le foche che arrivano fino alle spiagge, hanno appena completato la migrazione di giugno sulle isole (Orcadi /Ebridi) .
Percorriamo tutta la prima spiaggia per poi proseguire nella via interna del paese, circondata da negozietti molto particolari. Avvistiamo anche un’opera di Bansky : sebbene non ci siano conferme sulla autenticità, si tratta sicuramente di una delle sue intuizioni ironiche.
Raffigura il topolino ( RAT , in inglese, che non casualmente è l’anagramma di ART ) Indica la direzione per mettersi in coda per la grande fuga, l’uscita di sicurezza … E indica proprio la spiaggia e -sulla sua estremità- l’ultima delle case, che –sono sicura- sta guardando il mare, con le sue belle finestre colorate di azzurro. E io RICONOSCO questa casa … riconosco la bellezza degli oggetti polverosi di una particolare quotidianità (che assomiglia tanto alla mia) e quelli regalati dal mare disposti oltre i vetri, riconosco la quiete che regna all’interno della veranda dove c’è la più bella cucina del mondo e un raccolto angolo per la musica, le tazze per il tè, una avvolgente poltroncina dove leggere o raccogliere le idee per scrivere : riconosco l’incanto della luce dorata che illumina tutto . Mentre ho quasi l’impressione un po’ strana di essere arrivata a casa, incrocio lo sguardo della proprietaria che mi osserva un po’ divertita, ma anche orgogliosa di tanto splendore. E sembra quasi che ci conosciamo un pò, senza saperlo….
Torniamo al camper e ci dirigiamo alle rovine del Tantallon castle, vecchio guardiano arrampicato sulla scogliera : le visite sono consentite solo all’esterno, perché ci sono strutture pericolanti.
Il castello sembra dialogare con l’acqua, con il vento che spettina i prati e con il Bass Rock, che svetta luminoso in mezzo al mare. E’ una roccia vulcanica ( sembra bianca solo perché completamente ricoperta di guano ) che potrebbe raccontare storie intriganti : questo approdo aspro ed ostile ha accolto santi, eremiti, soldati, re e prigionieri e naturalmente gli uccelli, i veri padroni. Un santo vi si stabilì in eremitaggio. Nel quattrocento la famiglia Larder vi costruì il castello : tra i visitatori si annovera anche il giovanissimo James I, dodicenne, in navigazione verso la Francia ; sfortunatamente fu imbarcato sulla nave sbagliata e trascorse 18 anni in una forzata residenza inglese. Nel cinquecento un battaglione di cento soldati difese strenuamente la roccia e sopravvisse mangiando pesce e scaldandosi bruciando i nidi degli uccelli. Nel seicento divenne una famosa prigione e tutto lo scoglio venne tenuto in ostaggio per tre anni da un gruppo di prigionieri giacobiti evasi. Dall’inizio del novecento lo scoglio fu abitato dal guardiano del faro, fino al 1988 quando venne automatizzato. Oggi è la casa di una delle più grandi colonie di sule al mondo, che vi soggiornano da febbraio a ottobre.
La sula bassana è un uccello marino dal corpo affusolato, con ali strette e un becco a punta leggermente ricurvo; la sua struttura corporea è perfettamente adatta per tuffi e immersioni (ha quattro narici due chiuse, due che si chiudono al contatto con l’acqua e sacche d’aria nel capo per attutire l’impatto con l’acqua) . Ha un piumaggio di colore bianco immacolato, con le punte delle ali nere. Gli occhi sono grigio-azzurri e circondati da pelle nuda e nera. La sula bassana è lunga 80–90 cm, ha un’apertura alare di 170–185 cm e pesa 2–3 kg. Durante l’allevamento dei pulcini, la testa e il collo diventano di un colore giallo pallido. Sono quasi completamente bianche, per aumentare la resistenza all’abrasione da parte del sole e del sale ; Darwin affermò anche che questa colorazione era un attrattante, col fine di segnalare la propria posizione alle altre sule per indicare la posizione dei banchi di pesci. Quando molte sule si tuffano in acqua su un banco si ha infatti confusione tra i pesci, che combinata con la fatica, rende massimale la probabilità di cattura da parte delle sule. Ha uno strato di grasso sottocutaneo per i lunghi periodi di digiuno, e inoltre per affondare maggiormente in acqua. Questi uccelli sono tuffatori spettacolari: possono lasciarsi cadere da 50 metri di altezza o volare in picchiata a 100 km/h per raggiungere la preda. Quando si tuffa (arrivando generalmente a 3-5 metri sotto la superficie con la sola spinta del tuffo, e poi potendo nuotare in basso fino a 10-12 metri) stringe le ali al corpo ripiegandole all’indietro assumendo la forma di freccia ; da questo comportamento deriva il nome celtico. La sula si nutre di piccoli pesci e granchietti che pesca anche in volo radente dai banchi che stanno in superficie. Anche se la popolazione di sule bassane è ora numerosa, questi uccelli rischiarono l’estinzione all’inizio del ventesimo secolo, con la caccia, la distruzione dell’habitat e la predazione delle loro uova da parte dei ratti. Questo uccello nidifica in colonie numerosissime dove fa ritorno ogni anno; i nidi, molti e molto vicini, sono posti su scogliere o isole rocciose. Le più grandi colonie di questo uccello, con oltre 60.000 esemplari, si trovano sull’isola di Bonaventure, in Canada (Quebec), e in Gran Bretagna (dove si trovano il 70% delle sule bassane del mondo) sull’isola di Boreray e su quella di Bass Rock che ha dato il nome alla specie. La sula forma coppie fisse, che durano anche tutta la vita. Nella stagione riproduttiva, la femmina depone un solo uovo, di colore celeste, che viene covato da entrambi i genitori. La sula bassana difende il nido con aggressività da qualsiasi minaccia, non esitando a colpire altri individui con forti beccate. I piccoli, di colore marrone, lasciano il nido a 3 mesi e emigrano senza i genitori. Raggiungono la maturità dopo cinque anni. La stagione degli amori inizia tra febbraio e marzo. In questo periodo abbandonano il mare per spostarsi sulla terra ferma per costruire il nido con alghe e steli raccolti tra quelli che galleggiano sulla superficie dell’acqua. Descrizione scientifica da: https://it.wikipedia.org/wiki/Morus_bassanus
Vorremmo entrare in campeggio , ma l’unico in zona è pieno ed ha chiuso la reception. Per cui decidiamo di tornare alla bella area di sosta che abbiamo intravisto all’inizio della spiaggia di Nord Berwick, anche perché riusciamo a prenotare la cena ad un ristorante che ci ispira e che ci sembra un buon modo per concludere il viaggio. Arriviamo al parcheggio che è rappresentato da un’ampio slargo SULLA scogliera che chiude la enorme baia di North Berwick : sembra di essere in volo sul mare. Passeggiata fantastica verso il centro ammirando da vicino le belle residenze del paese. Cena ottima, con la consueta soup of the day e una buonissima sogliola .
Ritorniamo al camper giusto per ammirare incantati il fantastico tramonto con cui la Scozia ci saluta (e mi scuso sin d’ora per il numero di foto, che però non riesco ad eliminare).
E direi che non servono altre parole.
Lunedì 8 agosto 2022. Con gli occhi ancora rosa, iniziamo il viaggio di ritorno, con poche tappe veloci di trasferimento. Decidiamo di non correre troppo e ci fermiamo a Melrose per visitare le suggestive rovine dell’Abbazia benedettina .
Ci osservano dall’alto numerose gargolle maligne : bestie accovacciate, maiali che suonano la cornamusa, angeli spaventati.
Sembra che qui sia sepolto in uno scrigno il cuore di Robert I the Bruce che combattè a lungo contro l’Inghilterra per l’indipendenza della Scozia con alterne vicende , ed alla fine sconfisse un esercito molto più grande del proprio.
Il paesino meriterebbe una visita più approfondita, ma oramai non abbiamo tempo e quindi facciamo una veloce colazione/pranzo e partiamo. Percorriamo la regione dei Border ed il paesaggio si addolcisce, mantenendo la sua forza . A Carter Bar , al confine tra Inghilterra e Scozia, le colline dai profili arrotondati e dolci sono colline viola, porpora, completamente ricoperte solo da un fitto tappeto di erica fiorita ; i prati sono scompigliati dal vento, pieni di fiori brillanti in un mare di tutte le tonalità di verde. Il vento ci scompiglia capelli e pensieri che volano liberi . Anche la strada sembra danzare con tutto il resto, con salite e discese in molteplici e rapide successioni. Incanto assoluto . Mi viene da piangere dalla commozione.
Infine arriviamo a York, dove entriamo fortunosamente in campeggio : quando arriviamo l’impiegata ci dice che purtroppo è tutto pieno ; il campsite però fa parte della rete del Caravan and Motorhome Club e quando li informiamo che siamo soci trovano il modo di accoglierci . In Inghilterra non è ammesso lasciare fuori dalla porta un membro del club : ci fanno festa anche i due cani labrador alla reception !
Siamo quindi di nuovo con le gambe in spalla : passeggiamo in città, prima sulla bella cerchia di mura, poi nei vicoli medioevali della città, piena di case a graticcio. I cani di York continuano a darci grandi segni di apprezzamento.
Passeggiamo attorno alla immensa Cattedrale, vero fulcro della città, che sembra seguirci in ogni dove ; nella via più visitata del mondo, The Shambles, dove gli edifici Tudor del 1500 sono talmente inclinati, che sembrano toccarsi sopra le nostre teste ; dopo la cena in un ristorante italiano (soup of the day : verdure miste e prosciutto, spaghetti gamberi-mozzarella-pistacchio) , torniamo a passeggiare sotto il massiccio castello, un enorme cilindro in cima ad una ripida collinetta ; e poi – sfiniti- lungo il fiume fino al nostro letto. Prima di dormire faccio una doccia rigenerante.
Martedì 9 agosto 2022. Doccia rigenerante per la Jessica e usciamo dal campeggio, dove dovremo rientrare prima delle 11.30, perché poi chiuderanno l’accesso per lavori stradali. Non possiamo però lasciare York senza far visita alla splendida cattedrale, che abbiamo prenotato ieri sera. Colazione al Perky peacock (il pavone vivace), minuscolo bar nella torre adiacente al fiume, con i tavolini sulle scale che portano in acqua. Arriviamo alla cattedrale, York Minster, giusti per l’apertura : è “uno degli edifici gotici più belli al mondo” dice la nostra guida, la cattedrale medioevale più grande del nord Europa, seconda solo a Canterbury, sede del Primate di tutta l’Inghilterra. Quando entriamo è il volume degli spazi ad impressionarci e lo stile lineare e pulito, che ad un primo sguardo la fanno sembrare quasi vuota.
Meravigliosa la sala capitolare ottagonale.
Corriamo poi ancora tra i vicoli del centro medioevale, facendo alcune piccole spese e partiamo. Questa volta il viaggio finisce davvero a Londra : approdiamo al nostro Christal Palace Campsite dove ci fermeremo ancora qualche giorno, in totale riposo, che ci serve per affrontare il trasferimento Londra/Como (1215 Km.). La Jessica corre a prendere la metropolitana per casa.
Al Christal Palace Campsite oramai siamo di casa : all’ingresso ci riforniscono di acqua e di gettoni per la lavatrice (oramai improrogabile). Gabriele è identificato come Mr Mattarelli, the Man with the Rainbow Braces (l’Uomo dalle Bretelle Arcobaleno) : forse lo hanno registrato così anche alla reception . E con la fine del viaggio iniziano le lavatrici : accogliamo numerose signore campeggiatrici che vengono sorridenti a chiedere informazioni sull’uso delle lavatrici del campeggio e consigli di lavaggio a Mr. Raimbow Braces che si aggira soddisfatto e comodamente abbigliato con pantaloni retti da bretelle sgargianti, maglietta bianca (infilata dentro), calzini bianchi e ciabattine nere di gomma …. Nonostante ciò le signore inglesi mostrano una evidente ammirazione per un soggetto di sesso maschile in grado di completare diversi tipi di lavaggio .
Solite dimostrazioni di affetto e rilassamento da parte dei nostri amici all’arrivo a casa.
Mercoledì 3 agosto 2022 . Partenza al risveglio per macinare gli ultimi chilometri che ci separano da Glasgow (con i suoi 650.000 abitanti, la più grande città della Scozia). Ad un semaforo ci accolgono alcuni murales, tra i quali il ritratto iconico di Mackintosh attualizzato da una mascherina anticovid. Parcheggiamo senza problemi nel grande parcheggio di King Street, a St.Enoch e partiamo immediatamente per la visita alla città : continua a piovere e c’è vento. Abbiamo fatto un programma militare e cercheremo di vedere la città con i suoi luoghi iconici, le opere di street art famose sparse in tutto il centro, i luoghi di Charles Rennie Mackintosh ….
Cominciamo a respirare l’atmosfera della città e ci dirigiamo decisi verso la Cattedrale, Mentre percorriamo la salita nella zona universitaria siamo circondati dai palazzi in pietra rosso scura ed iniziamo ad avvistare alcune delle opere di street art : una stazione spaziale che decolla su un moderno grattacielo, una mamma che tiene in braccio il piccolo figlio dedicata a St. Enoch, l’immagine di un benevolo vecchietto con la cuffia che vuole essere un omaggio a San Mungo.
Questi due murales, enormi , ci conquistano ; sono di Smug (traduzione : soddisfatto di sé) , Sam Bates. Per chi come me sia interessato all’argomento :
Arriviamo alla Glasgow Cathedral, salutando la ragazza che gestisce il più piccolo bar del mondo ricavato da una delle vecchie cabine blu della polizia che consentivano di ripararsi dalla pioggia ; in realtà ne avvisteremo tante altre in giro per la città . La Cattedrale è dedicata al patrono e fondatore della città San Mungo, costruita tra il 1136 e la fine del Quattrocento in stile gotico.
Entriamo poi nel viale di accesso alla Necropoli, antico cimitero monumentale in stile vittoriano della città che si arrampica sulla collina dietro la Cattedrale. Ospita 50.000 sepolture, ma solo 3500 hanno una loro pietra tombale, alcune di carattere monumentale e di grandi artisti. All’inizio del 1800 si iniziò a pensare alla costruzione di cimiteri municipali, mentre sino ad allora le sepolture venivano accolte nel cortile delle chiese. Venne inaugurato nel 1833 ; vi si accede dalla cattedrale attraversando un ponte che scavalca il Molendinan Burn, diventato popolarmente noto come Ponte dei sospiri . La disposizione delle sepolture è informale e apparentemente casuale, ed i vialetti che si formano sono irregolari e convergono alla sommità della collina . E’ stata descritta come “una città dei morti”, forse anche perchè è uno dei pochi cimiteri a conservare i dati dei defunti (età, sesso, professione, causa del decesso).
Scendiamo poi nuovamente verso il centro città, attraversando una zona universitaria, per arrivare all’enorme George Square , popolata da una serie di statue che osservano la città da alti piedistalli ; e su uno di questi cavalieri , il duca di Wellington, è comparso un dissacrante cono stradale a strisce bianche e rosse, finito al centro di dibattiti politici e interpellanze contrapposte, tra i sostenitori (oramai era diventato un simbolo dello spirito innovativo della città) e i detrattori (con piani per impedire ai coni di finire sul capo dei propri personaggi storici, richiesta di divieti municipali, innalzamento dei basamenti…) , fino ad una petizione online sottoscritta da migliaia di persone per sostenere che il cono sul capo del Duca è oramai entrato a far parte del panorama urbano di Glasgow, forse a imperitura memoria delle sue famose bevute notturne.
Arriviamo quindi nella bellissima Buchanan Street, Princess Square con le belle Princess Galleries (bell’edificio liberty con cupola in metallo e vetro, e una giungla di ascensori e scale mobili) ed alle Buchanan Galleries piene di gioiellerie con vetrine scintillanti di centinaia di diamanti in sconto al 50% (dubitiamo).
Pranziamo, con un tè del pomeriggio acompagnato dai consueti tramezzini tortini paste scones burro e marmellata, alla imitazione delle Willow Tea Rooms : bella ma imitazione (infatti non porta il nome del famoso architetto, anche se ne imita perfettamente gli stilemi, in particolare gli arredi con le sedie nere con gli schienali alti a grata, e le declamate foglie di salice alle pareti, le cineserie). Però il pranzo non è male e, vista l’ora, ci rianima .
Continuiamo a passeggiare per la città, verso la Royal Exchange Square , dove avvistiamo un altro cavaliere con il cono in testa di fronte alla Gallery of Modern Art (GoMA) dove entriamo per una breve visita : bella la scala ovale, la mezza cupola liberty in vetro, l’atrio con le pareti a specchio che amplifica gli spazi.
Andiamo poi a cercare il Lighthouse , un edificio spettacolare progettato da Mackintosh con la sua caratteristica torre simile ad un faro, sede del Centro di Disegno ed Architettura : fu costruito nel 1895 e fu il primo commissionato all’architetto inizialmente per il Glasgow Herald.
Andiamo poi alla affannosa ricerca delle vere Willow Tea Rooms interamente progettate da Mackintosh e riusciamo a visitare il centro di documentazione, ma scopriamo amaramente che dopo aver ascoltato la storia e la descrizione di tutto l’edificio, le visite per oggi sono chiuse. Commissionate nel 1903 da Kate Cranston, intraprendente imprenditrice che fondò tre sale da tè per le signore che si recavano in città per fare compere ; una delle poche sostenitrice contemporanea dell’architetto, gli affidò la ristrutturazione completa di un edificio in Sauchiehall Street, completa di arredi e complementi (inferriate, boiserie, stucchi, porte, tende). Prendendo ispirazione dal nome della via (viale del salice) , scelse la foglia del salice come tema dominante per dare uniformità all’intera struttura. Chiuse per più di 50 anni , sono state riaperte nel 1983, e nuovamente chiuse nel 2016 per un intervento di recupero attentissimo al progetto iniziale,con ricerca FURIBONDA dei pezzi originali rimasti , magari in giacenza in alcune cantine (come il camino della sala donne). Rappresenta in pieno le idee dell’artista e contiene i suoi stilemi fondamentali : la gestione geometrica dello spazio quasi ossessivamente scandita da intervalli regolari e simmetrici, l’utilizzo della luce e del vetro per esaltare i colori, il riferimento ad elementi naturali stilizzati (foglie, fiori, uccelli), o a forme geometriche ricorrenti (il quadrato, l’ovale, la sfera, il concavo e il convesso), l’utilizzo delle griglie per la costruzione degli arredi…. Non possiamo perdere la visita di uno dei capolavori di uno dei maestri del Liberty inglese, che ha condizionato anche lo sviluppo del movimento negli Stati Uniti. Per cui prenotiamo per domani mattina.
Ci dirigiamo poi ai Botanic Gardens con le sue splendide serre vittoriane dove ammiriamo un bosco di felci secolari e un giardino di piante carnivore.
Cerchiamo poi la Glasgow School of Art, progettata da Mackintosh, che si trova al culmine di una delle colline più alte della città : visitiamo l’atrio attualmente in utilizzo, ma l’ingresso e la struttura principale sono attualmente chiusi e sottoposti ad un importante intervento di ricostruzione (da oltre 30 milioni di sterline) a seguito di un gravissimo incendio che le hanno distrutte nel 2014 e nuovamente nel 2018 ; la ricostruzione è finanziata con il contributo governativo, di privati, di molti artisti di fama mondiale che si sono mobilitati per ricostruire questo capolavoro, di cui ho recuperato alcune immagini storiche.
Rientro in camper stremati, dopo aver cercato gli ultimi murales, con i piedi in fiamme. Però ha smesso di piovere. Buonanotte.
Giovedì 4 agosto 2022. Altra giornata campale, dedicata al genio a lungo incompreso di Mackintosh : oggi però il cielo è azzurro e la luce ci regala un’altra atmosfera, illuminando tutti i colori di Glasgow ed il rosso dei suoi palazzi. Alle 9 puntuali come orologi svizzeri iniziamo la giornata finalmente con la visita alle vere Willow Tea Rooms, che non deludono le aspettative. La semplicità, le linee che dividono lo spazio, i dettagli dai colori brillanti, i temi decorativi che si ripetono con fluidità hanno quasi un andamento ritmico, musicale, armonico. La sala da tè a piano terra per tutti i clienti, con il suo bellissimo lampadario centrale incastonato in due cancelli incrociati ; i camini essenziali e purissimi. La sala da tè prosegue alla balconata del piano rialzato che occupa solo la parte posteriore del locale e lascia passare la luce dalla vetrata del soffitto . La piccola sala per le signore al primo piano, per una clientela selezionata, toglie il fiato : un tributo alla luce e all’acqua, che sembra sgorgare anche dalle pareti in piccole goccioline rugiadose tra la seta color perla. La cornice fatta di specchi sembra scrosciare sulla parete e fornisce un riflesso poetico dell’osservatore. La porta di ingresso è bellissima, i due lampadari stupefacenti : mentre tutti i maestri vetrai cercavano di eliminare le bolle nel vetro, Mackintosh le cerca e le sfrutta per creare giochi di luce evocativi. Al secondo piano la sala per gli uomini è scura ed appare più semplice ed austera, anche se i dettagli decorativi riportano tutti all’alfabeto dell’architetto.
Il progetto è totale : la struttura, gli spazi, le vetrate, le ceramiche, le decorazioni, gli arredi, le suppellettili, tutto è coerente, ritmato, geometrico, musicale, luminoso. E risuona, riluce, cattura.
Terminiamo grandiosamente la visita con una colazione-pranzo (all’inglese) : essendo i primi clienti della giornata ci accomodiamo nella struttura centrale della sala da tè. Una gioia di tutti i sensi, uno di quei momenti perfetti che non potremo mai dimenticare : sembra proprio che l’armonia che ammiriamo all’esterno ci penetri nell’anima .
Siamo quindi pronti per affrontare la seconda tappa della giornata : ci dirigiamo verso la University Avenue. A sorpresa, capitando di fronte all’entrata aperta, facciamo una rapida incursione nella Glasgow University, che meriterebbe una intera giornata per una visita seria. Riusciamo però a carpire alcuni colpi d’occhio che ci serviranno … per la prossima volta !
Di fronte alla Università c’è la seconda meta della nostra giornata : la Hunterian Gallery, che visitiamo, soprattutto per entrare nella Mackintosh House dove ha espresso al massimo livello il suo genio creativo. La casa è stata completamente ricostruita in una struttura di cemento (che sporge esternamente dal volume del museo, con due bowindow estranei alla restante volumetria geometrica) , dove sono stati inseriti gli arredi originali ; dall’esterno è possibile osservare anche la porta di ingresso. La linearità e semplicità apparenti nascondono una poesia, un’anima silenziosa ma percepibile e attraente. Ogni sedia ed ogni poltroncina sempre diverse ma coerenti, ogni intaglio illuminato da un vetrino colorato, tutto irrompe da uno spazio bianco luminoso, ed ogni cosa parla lo stesso linguaggio. Io e la Jessica siamo completamente rapite.
Al termine della visita recuperiamo gli zaini : ancora rapita dalla visita, mentre scendo la scala che conduce al sotterraneo, perdo una ciabatta che cade nella tromba delle scale ed inizia una impressionante parabola di caduta in verticale con un’energia incomprensibile ed un equilibrio impressionante : dopo un volo di tre piani alti che le fa acquistare una certa accelerazione cade piatta con un tonfo che rimbomba fragorosamente… una deflagrazione. Gli attimi della caduta sembrano un misto tra oggi le comiche e un film dell’orrore con visioni di persone tramortite sul fondo : si tratta di quegli attimi che sembrano eterni, durante i quali riesco a vedere le facce sbalordite della Jessica e di Gabriele che – all’altezza del primo piano- osservano il volo discendente della ciabatta come al rallentatore e iniziano a ridere. Per un attimo penso di aver ammazzato qualcuno : ma avrebbe fatto meno rumore.
Attraversiamo il quartiere adiacente all’università, molto elegante, con bellissime abitazioni, bowindows dove vorresti sedere a leggere un libro sulle belle poltroncine illuminate dal sole tra le piante verdi, giardini delicatamente fioriti…. Arriviamo alla stazione della metropolitana (che a Glasgow ha solo due linee che corrono vicine, una in senso contrario all’altra ; il sistema di chiusura delle porte non è automatizzato nel senso che è l’autista che si affaccia dal finestrino e chiude le porte quando tutti sono saliti ) e corriamo nel Southside, il quartiere a sud del fiume Clyde, dove all’interno dell’Art Park nel 1989 è stata costruita la House for an Art Lover, seguendo il progetto originale di Mackintosh del 1901. L’edificio ha l’intento di stimolare l’interesse per l’arte, il design e l’architettura : vi si organizzano anche eventi pubblici o privati. Il corridoio monumentale è scuro, con nicchie che fiancheggiano le finestre per conversazioni private ; vediamo poi la Oval Room sala destinata al riposo delle signore (Mackintosh ritiene che chiacchiere, relax e concentrazione necessitino di spazi diversi per uomini – spazi scuri – e donne – spazi bianchi e pieni di luce ) : infatti la stanza è bianca, e tutto segue le sue linee ovali e morbide, con due nicchie ai lati di una enorme finestra illuminata dal sole ; arriviamo poi alla Music Room, una enorme sala destinata a feste, con enormi porte finestre convesse illuminate dal sole e una bellissima balconata dalla quale ammirare lo splendido giardino , che con i suoi elementi stilizzati vuole ricordare una radura tra gli alberi , con il pianoforte contenuto in un grande letto a baldacchino ; si finisce poi con la Dining Room di nuovo scura . Tutto molto bello, ma un po’ impersonale e “da cerimonia”, poco famigliare: gli spazi così dilatati tolgono (o sono in contraddizione) con l’ intimità e la semplicità (del tutto apparente) che è uno dei caratteri che amo di più in questo architetto …
Per finire la visita facciamo un pranzo-merenda nel patio : ottima zuppa del giorno e ottimo avocado toast. Con un bel male ai piedi torniamo al nostro camper in bus e salutiamo Glasgow .
Ci dirigiamo verso Edimburgo e ci fermiamo circa a metà strada , a Falkirk , per ammirare i Kelpies, enormi sculture di Andy Scott del 2014 che si innalzano sul verde del parco The Helix . Raffigurano due teste di cavallo che escono dall’acqua e si innalzano sulla pianura imbizzarrite. Sono alte oltre 30 metri e pesano 600 tonnellate. La loro fama deriva da una leggenda popolare celtica : rappresentano degli spiriti maligni che infestano i laghi e i fiumi della Scozia. Lo scopo principale di questi demoni acquatici è quello di ingannare e “sedurre” poveri e ignari viandanti per condurli verso il loro terribile destino, il fondo del lago. I cavalli sono i più cattivi: si racconta infatti che se gli spiriti assumono le sembianze di cavallo, una volta saliti sulla loro groppa, sia impossibile scendere ; la vittima resta incollata alla schiena del Kelpie senza avere via di fuga, viene inabissata nelle acque del lago, dove poi il malvagio cavallo la divorerà. La leggenda è abbastanza terribile, ma lo spettacolo che regalano queste due sculture è davvero impressionante : le due enormi teste ti osservano con fierezza e aria minacciosa. Un po’ di ansietta e di emozione, ai loro piedi, sono garantite.
Troviamo infine campeggio a The Wheel caravan park : in mezzo alla campagna dopo uno sterrato circondato da pascoli pieni di calessi e cavalli, troviamo una sbarra solitaria . Chiamiamo il numero di telefono indicato e ci risponde gentilmente il sig. Hoggy che ci riferisce il codice di ingresso e dice che verrà a conoscerci più tardi ; il camping è spartano (quasi il set di un film western) , l’ambiente decisamente rurale, con baracche probabilmente costruite dallo stesso sig. Hoggy , ma tutto sommato ha tutto ciò che serve. All’ingresso dell’area di parcheggio vediamo un cartello che indica – in aperta campagna- il sito di atterraggio degli UFO. La Jessica commenta : “siamo in mezzo al niente nelle baracche di un pazzo”. Ci sono però molti camper parcheggiati, per cui decidiamo di fermarci. La doccia, alloggiata in una capanna di legno piena di spifferi , è scrosciante e calda, decisamente una delle migliori mai fatte in un campeggio, e mi consola della brutta esperienza di Inverness. Mentre stiamo cenando mr. Hoggy bussa alla nostra porta : ci appare un signore alto e magro con barba e capelli lunghi e bianchi, cuffia di lana in testa e giaccone pesantissimo. Sembra uscito dal film “Il signore degli anelli”; ha una espressione cupa, concentrata e serissima e molto misteriosa. L’odore che diffonde ci dice che è appena tornato dalla cura di (molti) animali. La Nina, quando si accorge della sua presenza con almeno 30 secondi di latenza, inizia incomprensibilmente ad abbaiare furiosa e devo tenerla, spaventando il sig. Hoggy che la guarda preoccupato aumentando il livello di tensione, che diventa spessa e percepibile. Si informa dei nostri programmi di viaggio e con ponderata lentezza ed espressione serissima ci consiglia di non portare il camper a Edimburgo : ci dice che sarebbe meglio lasciarlo nel suo campeggio ed andare in treno che ferma in centro ; ci penseremo, ma la distanza della stazione più vicina (tre chilometri di strada in aperta campagna), ci dissuade rapidamente. Riscuote il parcheggio notturno e fissandomi intensamente negli occhi ripete che verrà dopo per il regalo. Mentre aspettiamo che ritorni ci interroghiamo dubbiosi – e anche un po’ preoccupati- su cosa possa essere questo fantomatico regalo e iniziamo a pensare che non vorremmo sparire nel nulla rapiti dagli UFO. Quando bussa nuovamente alla porta c’è un attimo di terrore ; apro la porta e mi saluta nuovamente. Mi porge un biglietto dicendo : il regalo per voi. Il biglietto è la riproduzione di un quadro naif raffigurante un contadino che passeggia di fronte ad una baracca di legno : un autoritratto direi. Non è un biglietto di sola andata per Marte, per cui sono sollevata e grata : gli sorrido e lo ringrazio calorosamente. . Anche perché il posto naturale di questo biglietto – a noi giunto nelle campagne scozzesi intorno a Falkirk attraverso i misteriosi appuntamenti del destino – è esattamente sopra gli altri due che decorano la parete della dinette del nostro camperone Biagio : per dimensione e colori veramente viene da pensare che sia il frutto di una intuizione sovrannaturale : neppure a farlo apposta sarebbe stato così bene. Meravigliato del mio entusiasmo, anche la sua espressione tesa e preoccupata si distende. Con espressione serissima ed ipnotica inizia quindi a spiegarci che il mattino successivo potremmo approfittare della splendida – e praticamente unica – occasione di fare un giro in calesse con lui, per visitare il sito di atterraggio degli UFO. Ringraziamo dell’offerta, che però non possiamo accettare perché oramai i nostri giorni di vacanza stanno per finire. La conversazione, interrotta da saltuari risvegli della Nina che continua ad abbaiare minacciosa, si conclude rapidamente con i saluti. E il sig. Hoggy, così come è apparso, scompare dietro la porta del nostro camper : rimarrà però uno dei nostri pensieri più belli e preziosi di questa vacanza. Buonanotte.
Venerdì 5 agosto 2022 . Partiamo presto per visitare rapidamente la Falkirk Wheel, da cui il nome del campeggio di mr. Hoggy. Ambizioso ed innovativo progetto inaugurato nel 2002 per collegare i due canali di Falkirk (Union e Forth Clyde) con un’ascensore rotante per barche : consiste in due enormi artigli che agganciano un tratto di canale semicilindrico contenente acqua ed imbarcazione galleggiante e, ruotando, lo sollevano o abbassano portandolo al livello del canale sovra/sottostante, per un dislivello di 35 metri. Il meccanismo funziona con un ridotto consumo energetico (cioè l’energia necessaria per far bollire l’acqua per otto volte in un bollitore elettrico), in quanto la spinta per il movimento di rotazione deriva in buona parte dal contrappeso opposto a quello della barca (sull’artiglio opposto viene caricata una equivalente quantità di acqua). A questa opera ingegneristica si abbinano varie attività turistiche, comprese le gite in barca per provare il giro dell’ascensore.
Ultime foto recuperate in varie cartelle sparse ….
Venerdì 29 luglio 2022. Ripartiamo da Skye e salutiamo ancora l’Eilean Donan Castle : oggi iniziamo ad avventurarci sempre più in alto lungo la mitica North Coast 500 (500 miglia e circa 800 chilometri) sotto un cielo azzurrissimo : la mitica strada che segue il percorso litoraneo del territorio delle Highlands. E’ stata definita come “la risposta scozzese alla Route 66” ed è stata creata nel 2014 per favorire la conoscenza di questo territorio selvaggio e spettacolare. Anche non sapendolo, se si viaggia nelle Highlands si percorre questo tracciato, che non ha molte alternative ( a parte piccoli sentieri per il trekking). La bellezza del paesaggio è decisamente aumentata dalla quasi totale assenza di attività umane, sempre più evidente mano a mano che si procede verso nord : percorriamo decine e decine di chilometri senza incontrare alcuna abitazione o struttura ; non ci sono cavi elettrici… A perdita d’occhio solo colline, rilievi, avvallamenti, montagne, acque, fiori e vegetazione, cielo, nuvole e vento, in composizioni sempre diverse e abbaglianti. Poi – immersi in questi paesaggi grandiosi – ogni tanto improvvisamente compare una casetta bianca appoggiata su uno scoglio ad osservare il mare, o un grande albergo in pietra grigia e silenziosa, o piccole fattorie circondate dai boschi, con animali che ti guardano intensamente senza scappare.
Dal sito di Visit Scotland : Nulla è paragonabile alla libertà che si prova su una grande strada aperta. Strade secondarie senza fine, ampi tracciati tortuosi e percorsi misteriosi attraverso alcuni dei più splendidi paesaggi costieri della Scozia: queste sono solo alcune delle attrattive che potete aspettarvi dalla North Coast 500, la versione scozzese della Route 66. La North Coast 500 è molto più di una semplice strada: è l’ultima sfida di un ciclista, un sogno per gli escursionisti in collina, un parco giochi per kayakisti, un paradiso per i nuotatori selvaggi; è un’abbondanza di ampi spazi aperti, sede di alcune delle migliori spiagge della Scozia e uno dei posti migliori nel Regno Unito per gli osservatori del cielo notturno. E il modo migliore per esplorare il paesaggio meravigliosamente aspro delle North Highlands è rallentare, impostare la base e fuggire all’aria aperta.Allacciate le cinture e partite per il viaggio della vostra vita.
Attraversiamo Lochcarron e – dirigendoci a Kinlokewe – ammiriamo lo splendido panorama del Loch Maree (lock: lago) e del Glen Dockerty (Glen : valle montana profonda e stretta). Facciamo colazione in uno splendido angolino affacciato su una baia sabbiosa del loch Maree – lungo 20 km. – circondata da felci ed erica.
Ed infine approdiamo a Gairloch , dove non possiamo non sostare : rimaniamo abbagliati dall’immensità della spiaggia dorata e dai mille colori del mare che si apre improvvisamente di fronte ai nostri occhi . Ci dispiace non aver portato il costume da bagno insieme alla giacca a vento… Anche la Nina apprezza il luogo e si scatena in corse velocissime in spiaggia : alla fine sorride felice lasciandosi spettinare dalla brezza fresca.
Ci dirigiamo poi a Poolewe, a pochi chilometri, per visitare gli Inverewe Gardens : una dozzina di giardini, collegati da una labirintica rete di sentieri, che – alla stessa latitudine di Mosca o della Baia di Hudson beneficiando della corrente del Golfo – ospitano raccolte di piante provenienti da paesi lontani (Cile, Tasmania, Cina, Himalaya, Sud Africa, Nuova Zelanda) grazie alla passione del fondatore Osgood Mackenzie’s che ereditò la tenuta dal patrigno nel 1862. Il suo lavoro fu proseguito dalla figlia Mairi Sawyer, che alla sua morte lo cedette al National Trust nel 1951. “Un paradiso nato dal sogno di un padre e di una figlia . che hanno creato un giardino sul lago in mezzo ad una natura selvaggia e sterile sulla costa atlantica delle Highlands nord occidentali”. Il giardino sottomarino di Inverewe è un luogo speciale anche per la fauna marina, perché contiene una vasta area protetta di letti di maerl , la barriera corallina scozzese.
Dal sito della Scotland’s Nature Agency . Il maerl vivente è un’alga dura viola-rosa che forma “tappeti” sottomarini appuntiti sul fondo del mare, noti come “letti maerl”. Come tipo di alga “corallina”, il maerl deposita il calcare nelle sue pareti cellulari mentre cresce, creando uno scheletro duro e fragile. Le famose spiagge bianche della Scozia occidentale non sono fatte di corallo ma di frammenti di maerl morto, schiacciato dalle onde e sbiancato dal sole. Le aggregazioni di maerl viventi non attaccati sono spesso chiamate “rodoliti”.
Le due specie comuni scozzesi di maerl sono difficili da distinguere:
Phymatolithon calcareum è molto diffuso
Lithothamnion glaciale è più settentrionale nel suo areale
Sulle coste aperte esposte ad alcune onde, il maerl cresce come dischi appiattiti. Dove c’è meno azione delle onde, spesso forma noduli densi, ramificati e spinosi fino a 10 cm di diametro. In molte zone della costa occidentale, e nei laghi marini si restringono, ampi letti di maerl vivente si sviluppano sopra una profonda ghiaia di maerl bianco morto. Questi letti di maerl sono un habitat importante per molte piante e animali marini più piccoli (bivalvi, ricci,cetrioli di mare, anemoni,worms). Le giovani capesante in particolare cercano letti maerl viventi come aree di asilo nido. Proteggere i letti di maerl aiuta quindi a sostenere la nostra industria della pesca delle capesante. Tuttavia, il dragaggio delle capesante ha dimostrato di causare danni significativi ai letti di maerl e alle loro specie associate. Fragile e a crescita lenta, il maerl può infatti essere facilmente danneggiato da dragaggi, ancore pesanti e catene di ormeggio. Si prevede che Maerl sarà influenzato negativamente dall’aumento delle temperature e dall’acidificazione degli oceani causati da cambiamento climatico.
Concludiamo la visita alla House dove si respira ancora l’atmosfera dei primi anni del novecento e si intuisce la passione dei proprietari per il contatto diretto con la natura, e al favoloso orto-giardino affacciato sul mare dove vorremmo davvero tutti vivere, circondati da fiori, frutti ed ortaggi. Nel gennaio 2022 l’uragano Corrie ha purtroppo distrutto il bosco di rododendri e sradicato 70 alberi (il più grande pino scozzese del giardino, eucalipti, abeti ) che giacciono ancora con il loro piano di radici divelte, causando danni ingenti, ancora sotto i nostri occhi.
Riprendiamo il viaggio ed arriviamo ad Ullapool (1300 abitanti circa), il più importante centro abitato del nord ovest , che sorge su una riparata lingua di terra che si allunga nel Loch Broom, che in realtà non è un lago ma un profondo fiordo. Entriamo in campeggio sotto un cielo grigio/nero ed una sottile pioggerellina. Dopo le rapide operazioni di cura del camper e di noi stessi, corriamo – vento in poppa – verso la nostra agognata cena di pesce (non fish and chips però) a cui stiamo pensando dall’inizio della vacanza. Il grande piatto di pesce da condividere, le cozze, la golosa soup of the day alle patate dolci arancioni da Seaforth, dove occupiamo gli ultimi posti. Tutto ottimo, proprio come le cose a lungo desiderate….
Arriviamo in camper giusti giusti per non bagnarci troppo : camomilla e buonanotte…
Sabato 30 luglio 2022. Dopo i bagordi serali facciamo una colazione molto leggera e partiamo con l’entusiasmo nelle vene, per affrontare il tratto spesso descritto come il più spettacolare delle Highlands . Il percorso con le strade più difficili , quasi tutte one way strette/strettissime (non idonee per i mezzi superiori a 8 metri) con frequenti passing place (di lunghezza inferiore a 8 metri appunto) : e qui più diventa difficile, più diventa bello … Nonostante il tempo piovigginoso e le nuvole che a tratti -con la bruma- nascondono il paesaggio, non saremo affatto delusi. Le stradine sono molto caratteristiche, e scendono impavide in mezzo alle montagne, si arrampicano coraggiose su colline e scogliere, con curve continue dettate dalle necessità del territorio, e riescono a stringersi tra muretti ed alti argini oltre ogni ragionevole previsione. (prime tre foto da internet). Ci dirigiamo verso Lochinver tenendo la stradina costiera : incontriamo sul nostro percorso centinaia, migliaia (forse milioni) di pecore, che pascolano libere e circolano anche loro sulla North Coast con diritto di precedenza assoluta ( e iniziano a saltellare anche nei verdi prati della nostra immaginazione quando andiamo a dormire) : incontriamo ogni genere di segnalazioni rudimentali che allertano sulla loro presenza. E ci chiediamo in continuazione dove abita chi le accudisce : sono infatti tutte rasate e in salute. Ogni tanto incontriamo una piccola fattoria dalla forte identità : non può che essere scozzese….
Arriviamo a Lochinver – che segna il momentaneo ritorno alla civiltà – in tarda mattinata giusti giusti per un giro in paese : con i suoi 600 abitanti è un villaggio con una atmosfera molto tranquilla, ed uno dei porti pescherecci più attivi della Scozia (le sue grandi strutture occupano praticamente mezzo paese, e si elevano sul resto del paese in modo un po’ impressionante. Arriviamo al Lochinver Larder, superchiosco che produce eccezionali sformati fatti in casa, con ripieni molto particolari : carne, verdure, castagne, mele, mirtilli. Alcune delle sue pie sono state premiate –meritatamente- come le migliori della Scozia . Pranzetto delizioso in camper, affacciati alla baia sferzata da un bel vento gelido.
Proseguendo verso nord, sempre sulla litoranea, arriviamo a Cloahtoll, una spiaggia sferzata da un vento gelido che ci costringe a metterci tutte le felpe e giacche in nostro possesso ; l’acqua è azzurra e sembra uscita da un quadro di Turner, la sabbia bianca, le rocce rosse o scure raccontano che è passato un attimo dall’ultima eruzione vulcanica o dall’ultima glaciazione. Scende una pioggerellina fine e battente, che sembra provenire da ogni dove : nonostante ciò qualche ragazza coraggiosa si toglie il piumino e fa il bagno (con la muta). Alcuni cartelli ci avvisano di tenere i cani al guinzaglio e di fare attenzione alle carcasse di uccelli, perché probabilmente colpiti dall’influenza aviaria. Da qui in avanti avvisteremo infatti alcuni resti di gabbiani, ma anche di splendide sule. Contagiati dalla bellezza del posto, facciamo una passeggiata sulla scogliera, oltrepassando i cancelli che separano diversi pascoli e passeggiando su un prato spesso, soffice e imbevuto d’acqua. La pioggia ci costringe a rientrare in camper e riprendere il nostro percorso .
Attraversiamo un alto passaggio in quota immerso nelle nuvole ; poi costeggiamo una miriade di ampi laghi pieni di ninfee ; ci addentriamo poi in un’ampia vallata immersi nel verde placido di alte colline digradanti ricoperte di brughiera ; poi alla destra della nostra stradina che inizia a scendere dolcemente si elevano tre monti ( il Ben Hope 927 m. ; il Ben Hee 873 m. ; il Ben More Assynt 998 m.) ; poi compare alla nostra destra l’ampio fondale sabbioso di un profondo fiordo oltre il quale si eleva un imponente massiccio roccioso, che costeggeremo per chilometri e chilometri ammirando i rivoli ondulati lasciati dalla bassa marea sferzati dal vento, che ha portato via le nuvole e riaperto un cielo azzurrissimo. Non sappiamo piu’ dove guardare, dove fermarci, dove andare … siamo veramente persi in questa grandezza , e qui nel silenzio e nello sguardo solitario a questo tutto, sembra di ritrovare il richiamo più forte della nostra anima.
Arriviamo a Keoldale, località (non possiamo dire villaggio, perché sono presenti solo un piccolo parcheggio, una spiaggia, un albergo, un molo dal quale parte un barcone per escursioni a Cape Wrath) posta all’inizio del promontorio costellato da spiagge di sabbia bianca affacciate su un mare che ha tutti gli azzurri e i blu del mondo ed appoggiate su alte dune sabbiose ricoperte di vegetazione. Decidiamo di fermarci per la notte e ammiriamo la risalita della marea che riempie rapidamente i chilometri e chilometri del fiordo. Passeggiamo nella spiaggia dove avvistiamo una beccaccia di mare ed un piccolo spioncello marino e arriviamo al piccolo molo dove partono i barconi per traghettare il fiordo e fare escursioni guidate a Cape Wrath. Lo sperone roccioso che delimita l’altro lato del fiordo è un’area di esercitazioni militari : un cartello ci informa che domani non sono previste attività di bombardamento, per cui decidiamo di fare l’escursione .
Ci troviamo nel North West Highlands Geopark, che fa parte di una rete di oltre 240 aree di rilevante interesse geologico, riconosciute dall’UNESCO, e in particolare in una tappa della Pebble Route 4 (la strada delle pietre numero 4). Il fiordo comprende anche l’estuario del fiume Dionard , e questa particolare conformazione lo rende l’ambiente ideale per la pesca al salmone. La struttura del terreno (arenaria cambriana) lo ha reso un suolo fertile, adatto per attività agricole e pastorizia. Ci troviamo infatti nel territorio della fattoria Keoldale, una delle più estese della Scozia (che contiene anche un insediamento dell’età del bronzo) ; verso le 21 un anziano rappresentante della stessa bussa alla nostra porta e ci chiede di pagare il contributo per il parcheggio notturno (15 sterline), rilasciandoci regolare ricevuta scritta con calligrafia tremolante.
Quando il fiordo è oramai stato completamente riempito dall’acqua che risale dal mare, inizia lo spettacolo del tramonto, con il sole che si tuffa letteralmente dietro Cape Wrath continuando a lanciare raggi luminosi nel cielo, mentre sopra la collina dietro di noi si deposita -come una immensa e soffice coperta- una enorme nube lenticolare che diventa sempre più rosa .
Domenica 31 luglio 2022 . Risveglio a Keoldale : ci spostiamo subito nel parcheggio del piccolo molo dove aspettiamo il barcone che ci porterà a Cape Wrath. Sulla nostra carta geografica il luogo viene contrassegnato con le parole “Danger Area”, per la presenza di forze militari (di aria , di terra e di mare contemporaneamente) che fanno esercitazioni (bombing) su bersagli colorati dislocati nel territorio, con un calendario abbastanza fitto (le esplosioni si sentono chiaramente fino al vicino vilaggio di Durness. . Dopo una bassa marea notturna, siamo nuovamente in alta marea . Il barcone è una enorme vasca di metallo che ci porta alla partenza del pulmino dove un
Visitiamo quindi Cape Wrath, promontorio selvaggio di proprietà del Ministero della Difesa, area di addestramento militare e di “tiro vivo” , di 280 Km. Quadrati, che comprende le più alte scogliere dell’isola britannica, protese verso l’oceano Atlantico : qui siamo più vicini all’Islanda che a Londra , e la prima terra che incontreremmo se ce ne andassimo via mare verso ovest sarebbe la Groenlandia.
Da Wikipedia .
Le rocce sono composte da arenaria torridoniana e gneiss lewisiano : salgono a 281 metri sul livello del mare e includono le scogliere più alte sulla terraferma britannica a Clò Mòr a circa 4 miglia (6 km) a est del promontorio ; vicino alla costa si staccano alcuni faraglioni, come Stac an Dùnain al promontorio stesso e Stac Clò Kearvaig a est noto anche come “La Cattedrale” per l’aspetto di due guglie e una finestra naturale creata dall’erosione , con Duslic una barriera corallina circa 1,0 km a nord. La sua posizione esposta a nord può dare origine ad alcuni livelli di sole invernale eccezionalmente bassi: nel gennaio 1983 ha registrato solo 38 minuti di sole, un minimo storico per la Scozia. Questa posizione esposta, tuttavia, significa anche che il forte gelo è raro rispetto alle località interne. I forti venti possono essere una caratteristica delle condizioni meteorologiche al promontorio, con raffiche di 230 km / h. Le scogliere intorno al promontorio sono un sito di nidificazione di importanza internazionale per oltre 50000 uccelli marini. Il numero di uccelli marini nell’area ha visto un declino significativo all’inizio del 21 ° secolo con il numero di pulcinelle di mare in calo del 50%. La vegetazione in cima alla scogliera in siti come Clò Mòr comprende lo scorbuto comune Cochlearia officinalis , l’erica Calluna vulgaris , il ginepro Juniperus communis e le felci ; sono presenti una vasta gamma di habitat che includono dune di sabbia in cima alla scogliera al promontorio stesso e habitat montani trovati a livello del mare.
Dal 2005 l’area è stata utilizzata come area di addestramento multiservizi ed è uno dei siti utilizzati nelle esercitazioni Joint Warrior, la più grande esercitazione militare europea, e da altre operazioni della NATO. Questo utilizzo è consentito fino a 120 giorni all’anno, e di solito si svolge in primavera e in autunno, anche se i tempi possono essere imprevedibili. Il territorio è solitamente aperto al pubblico durante il periodo estivo e raramente si spara la domenica. È l’unico posto nell’emisfero settentrionale in cui le forze della NATO combinano capacità terrestri, aeree e marittime in modalità assalto per manovre di addestramento, schierando ordigni fino a bombe da 1.000 libbre (450 kg). Nel 2008 causarono un incendio che interessò 140 ettari di terreno , che impiegarono oltre 10 anni per ritornare alle loro condizioni naturali . Inoltre vengono espresse preoccupazioni sull’effetto delle esercitazioni militari sulla nidificazione degli uccelli marini, sulla salute delle pecore e dei residenti locali. Inoltre nel 2002 una pioggia di proiettili cadde a soli 2 km dalle abitazioni, a 13 km. dall’obbiettivo. Il promontorio è la meta finale di due sentieri : The Cape Wrath Trail (320 Km) e lo Scottish National Trail (740 kilometres). Gli unici abitanti stabili del promontorio sono la famiglia Ure che gestiscono il bar Ozone vicino al faro (il più remoto d’Inghilterra), e due camere. Una strada accidentata di circa 18 km collega il faro con il Kyle of Durness che è attraversato da un servizio di traghetti passeggeri che opera tra maggio e settembre. La strada fu costruita come parte della costruzione del faro nel 1828 e, in alcuni punti, utilizza una serie di strade rialzate rocciose per attraversare torbiere e rivetti per mantenere un percorso lungo pendii ripidi. I materiali per la strada sono stati estratti localmente. La strada è segnata da pietre miliari e attraversa i fiumi Allt na Guaille e Kearvaig su ponti ad arco temporanei. La strada, la U70, passa per la frazione di Achiemore dove un check-point del Ministero della Difesa blocca l’accesso al promontorio durante le esercitazioni di tiro dal vivo. Passa le fattorie di Daill e Inshore, dove il Ministero della Difesa usa le abitazioni, prima che una pista a destra colleghi la strada al vecchio borgo di Kearvaig, dove c’è una spiaggia e Kearvaig House che la Mountain Bothies Association ha convertito in un boothy. Margaret Davies, camminatrice lungo questi percorsi che vi si era rifugiata, è stata trovata lì quasi morta di fame nel 2002.
Margaret’s story. Two weeks ago a 39-year-old artist was found starving in this bothy in one of the remotest parts of Britain. She later died in hospital. But what had she been doing there? Why hadn’t she gone for help? And why did no one else know she was here? Libby Brooks travelled to Cape Wrath in search of answers
Wednesday 18 December 2002 . The Guardian . All that remains of Margaret Davies’s stay in Kearvaig Bothy is a Woolworths bag stuffed with rubbish – mottled tea bags, Kit Kat wrappers and two empty packs of dried rations. On the windowsill where she left a note begging for food sits a jam jar of dried-out wild flowers in a stagnant inch of liquid. The cinders in the open grate are flaky and insubstantial, suggesting she may have been burning paper and other debris after running out of driftwood collected from the beach that borders this isolated stone cottage. And opposite the fireplace is the low, netted bed base where Davies lay, weakening, until her discovery 13 days ago. She died in hospital two days later. We will never know conclusively what happened to the 39-year-old artist during her final weeks alone on the desolate Cape Wrath peninsula, the north-western tip of the British mainland, which takes its name from the old Norse hvarf, meaning “turning point”. She had told her parents, in Danbury, Essex, that she was not planning to return until after Christmas, and she had left gifts for her nephew and niece. No one from the Sutherland area recalls seeing or speaking to her, and the last evidence of her travels was a bus ticket from Inverness dated September 25. It is believed that she was walking the Cape Wrath trail, an intensive two-week hike north from Fort William, and had camped out before retreating to the bothy. When the local constabulary removed the tent which she had pitched in a sheltered nook closer to the sands, they estimated that the heather beneath had been dead for three weeks. A handwritten manuscript found beside her remains in police custody. Her mother Wendy believes that Davies, a prolific writer and painter, was working on a treatise on the nature of solitude, and had come to Cape Wrath to experience the intensity of isolation. But it is perplexing that the Cambridge-educated geographer and experienced traveller, who had trekked alone through Afghanistan, Nepal and the Ukon, should apparently fail to bring sufficient food and heating supplies. Notes found on the window of the bothy and by the bed begged passers-by to bring food. Although the authorities last week confirmed that they had found no suspicious circumstances surrounding Davies’s death, and dismissed press speculation that she had been a follower of Breatharianism, the Australian cult which advocates subsistence on fresh air and light, her passing remains a mystery. “I’ve no idea what happened to her,” says Hamish Campbell, one of the shepherds who found Davies. “She had left that note on the windowsill and there were others by the bed. But usually people bring more supplies than they need. She said she was thirsty but there was water right by her. [The bothy is bounded by two freshwater burns].” It was six months since Campbell had last visited Kearvaig beach. There are no working crofts on the peninsula, which is used as a naval gunnery range by the Ministry of Defence, although farms around Durness, the nearest village, continue to graze some livestock there. On December 5, Campbell was bringing the remaining sheep in for the winter, following the rocks along from the lighthouse to the west, while his colleague Alistair Sutherland worked his flock towards the open beach from the east. They brought the animals together around midday. “It was lovely weather and we discussed whether to have our sandwiches outside. But the bothy door was ajar, which is unusual because normally the people who use it are careful to keep it secure. We went in and there she was, lying on the makeshift bed. I didn’t know if she was alive or dead, but then I saw her throat moving and I put my hand on her. She was terribly anaemic and emaciated. She moaned and raised her arm.” While Sutherland started the three-mile run towards the lighthouse for assistance, Campbell lit a fire with some old newspapers and attempted to comfort the semi-conscious woman. “She couldn’t speak. I told her that Alistair had gone for help but I think she was beyond understanding.” Davies died two days later, after being airlifted by coastguard helicopter to the Western Isles Hospital in Stornoway. A postmortem examination last week confirmed that she had died from hypothermia. A traveller in search of isolation will find it at Kearvaig in December. The bothy is set above the shoreline of a wide, pristine beach, where the breakers unfurl on the north Atlantic tide. To the east, the land sweeps up to the Clo Mor cliffs. To the west, the hillside is scarred by the annual heather burning, the colours blending from charred brown through pale gold and russet and back to green. It is terribly beautiful. The three-room cottage is maintained by the Mountain Bothies Association, and provides shelter for the trekkers and birdwatchers who come to Cape Wrath during the summer season. But from September onwards, as the weather conditions grow increasingly savage, the ferry stops running across the Kyle of Durness, the inlet which separates the peninsula from the village. Temperatures regularly dip below freezing. There is no mobile network coverage on the Cape, and the only telephones are those contained in the well-secured MoD guard huts. The nearest house is seven miles away, but lies empty during the winter months. From the bothy, it would have taken more than a day’s hike over rough terrain to reach habitation. But all roads eventually lead to somewhere. How did Davies end up with neither time nor physical strength to walk towards help? It was coastguard John Ure who met Sutherland as he made his way to the lighthouse that morning. He remains quietly confounded by the coincidence – it can be weeks between cars passing on that road, he says. “There was a bug going round up here a few weeks ago, and if you had that you wouldn’t be going far. She must have caught it and things deteriorated from there. I think she just got caught out. People are surprised that there are still places in this country where that can happen.” The options for a sick woman would be even more limited, he notes. Both the bothy and Davies’s tent were out of sight of the road. “Had she been carrying a flare, someone might have seen it from Durness. There is a guard hut three-quarters of a mile from the bothy, with food and water and a phone, but she’d have had to make a good effort to break into it, and it’s not marked [on the map] so she perhaps didn’t realise it was there. Even if she’d made it to the road, it could be weeks before anyone came by.” It is a steep 20-minute trek across loose rocks and pooled burn water from Kearvaig beach up to the single track road. In a weakened state, and with no guarantee of help at the top, Davies may have considered it wiser to preserve her waning energy and remain in the relative shelter of the bothy. There she scribbled her plea: “Running low on food and dry milk. Willing to pay anyone who can bring food.” Had she run out of fuel? Did she panic? Or did she succumb to the advanced stages of hypothermia, the symptoms of which which can include listlessness, confusion and – most dangerously – a euphoric denial on the part of the sufferer that there is anything wrong. Davies’s parents believe that their daughter’s death was the consequence of a tragic misjudgment. “She liked to experience hardship,” says her mother Wendy, “and it wasn’t out of character for her to stretch herself far. She often came back from travelling very thin.” She last saw her daughter when she drove her to the station to catch the coach to Inverness at the end of September. “I remember her warning me that we probably wouldn’t hear from her because it was difficult to get to places with phones. I spent a great deal of her adult life worrying about her.” Wendy says that her family – Margaret’s father Richard and her two brothers and two sisters – have been deeply distressed by suggestions that Margaret died while following a Breatharian regime. Local press initially linked the death to that of an Australian woman Verity Linn, who was found dead beside her tent three years ago on a hill at Loch Cam, in Sutherland, after fasting for several days. “She hadn’t run out of money and it wasn’t deliberate. She had some fish hooks with her and perhaps thought she could catch something.” Wendy describes her daughter as an intensely private woman, who thrived on physical and mental challenge. “She wasn’t interested in money. All she wanted was enough to go travelling. Scotland was one of her favourite places. She spent the summer in Israel, working for the UN, and later visited Nepal, where she taught English, as well as trekked. She came back here to recuperate, and left us again, bonny and plump.” She says that her daughter had left behind jottings on the philosophy of solitude, and believes that this was her next writing project. “She was a loner but she never complained of being lonely. She liked to experience something first-hand so that she really knew about it before she wrote about it.” As a teenager, Davies had contracted osteomyelitis – an infectious inflammation of the bone – which left her with a severe limp. “That makes it all the more amazing that she went walking with a heavy backpack,” says her mother. “She would complain that she ached, but she had a lot of determination.” After graduating in 1985, Davies qualified as a teacher, but did a variety of jobs to fund her travelling. She wrote poems, short stories and illustrated children’s books, which she occassionally sent off for consideration. Although she did not market her paintings, Davies had exhibited in a gallery in Chelmsford and was listed on the Axis website, a database of contemporary artists. On the site she explained: “My aim is to make a statement about the human condition, whether on an emotional, psychological, sociological or philosophical level. Although I occasionally paint landscapes, the paintings which are most meaningful to me are those in which I try to capture the essence of an emotional state or to express an idea.” The local weekly, the Northern Times, carries a section on hypothermia in its “Watch out for winter” page. As the festive season approaches, Kearvaig Bothy will be busy again as walkers arrive to see in the new year amid the wild and lonely beauty that so drew Margaret Davies.
Vi risiedono pochissimi abitanti, in alcune fattorie solo nel periodo estivo e nel faro di Cape Wrath, dove il bar Ozone è gestito da una anziano signore e la figlia, che vivono lì, in totale isolamento per buona parte dell’anno … E risiede qui anche una ricca fauna : foche nell’ingresso del fiordo, cervi, una coppia di aquile reali, migliaia di uccelli marini, tra i quali i famosi puffins, i pulcinella di mare (che però sono appena migrati sulle isole Ebridi), gli albatros e le sule . Anche la flora riserva sorprese : i prati sferzati dal vento sono punteggiati da piccole bandierine bianche sfilacciate che non sono riuscita a identificare ; crescono piante carnivore nutrite dai famigerati midges succhiasangue ; cresce anche un muschio dalle miracolose proprietà antinfiammatorie e assorbenti, che veniva essicato ed usato per medicare ferite e come pannolino. Avvistiamo qualche torrente, qualche pulmino abbandonato ai bordi del sentiero (quando i mezzi si rompono, vengono abbandonati dove sono e magari colorati di giallo e bombardati, perché sarebbe più che complicato rimuoverli) qualche bersaglio colorato, null’altro : attraverso un sentiero sconnesso e pieno di buche (20 Km.), due ponticelli “pericolosi” (accompagnati dal commento dell’autista : “speriamo che reggano anche stavolta…e comunque la caduta non sarebbe troppo alta”) ed un paesaggio brullo, severo e scolpito dal vento dall’acqua (la brughiera acquitrinosa denominata parph) ed anche dalle bombe, arriviamo al faro, dove ci viene chiesto di non lasciare alcun rifiuto e di affidarci alla natura per i rifiuti organici, per quanto possibile : in caso di utilizzo del bagno, evitare (se non necessario) di consumare acqua inutilmente. Ci viene anche consigliato di fare attenzione praticamente a tutto: dirupi, scogliere altissime, prati scivolosi, colline instabili, serpenti velenosi, piante carnivore, residui metallici esplosivi, raffiche di vento improvvise (che pare possono farti volare via). Il nostro autista è un ex camionista, ma soprattutto un poeta-musicista , che ci racconta questo territorio, che anche John Lennon amava e dove trascorreva le vacanze estive ospitato da una zia che si è sposata nella romantica chiesetta della spiaggia di Faraid Head, ora diroccata : quando socializziamo un po’ vuole farci leggere alcune delle canzoni che ha scritto, e ne manderà molte alla Jessica via mail , e ci dà consigli utili per la visita del territorio.
Dopo un caffè allo spartano bar Ozone, dove il gattino bianco e nero è il cliente piu’ viziato (gli viene servito un bel ricciolo di panna montata in un piattino di ceramica blu e bianca), visitiamo il Capo dalla cima della sua alta scogliera. Il faro è una bella torre bianca alta 200 metri, costruita nel 1828; fu presidiato fino al 1998, quando fu convertito al funzionamento automatico. La sua luce è visibile per 22 miglia marine (41 Km.) ; in caso di malfunzionamento o di nebbie molto dense, si associa un allarme sonoro (che renderà la vita difficile ai gestori del bar Ozone)…
Al ritorno facciamo una tappa per ammirare il faraglione Stac Clò Kearvaig, detto “La Cattedrale” per l’aspetto di due guglie e una finestra naturale creata dall’erosione ; nella spiaggia c’è anche un boothy . Scopriamo che nel territorio selvaggio scozzese esistono questi ripari , piccole casette in pietra con la porta sempre aperta, disponibili per i camminatori per la sosta gratuita : sono semplicissimi bivacchi senza elettricità, acqua o luce, con un caminetto. Per quello sulla spiaggia di Kervaig si sta presentando il problema di permanenze gratuite troppo prolungate in questa sistemazione privilegiata … E quasi alla fine del viaggio di ritorno, in mezzo al grande fiordo, avvistiamo alcune foche che si godono il sole e la fresca corrente dell’acqua su un affioramento sabbioso.
Ci dirigiamo poi con decisione a Faraid Head dove pranziamo molto velocemente per fare una delle più belle passeggiate di questa vacanza (10 Km.) : lungo l’enorme spiaggia (impieghiamo mezz’ora per percorrerla tutta sotto un cielo azzurrissimo dove corrono veloci nuvole bianche) e attraverso le imponenti dune di sabbia (alte oltre 20 metri) che nascondono altre spiagge bianchissime, con l’acqua azzurra e cristallina. Queste dune si sono formate grazie all’azione del fortissimo vento, che ha prelevato la sabbia dal fiordo di Durness (scavandolo) , trasportandola sopra il mare, e depositandola nella lunga striscia che ha lentamente formato il promontorio di Faraid. Un grandioso gioco di creazione …. Le altissime dune sono ancora sabbiose sul lato verticale affacciato al mare, dove soffia ancora un fortissimo vento, mentre digradano più dolcemente sul lato opposto, coperto di vegetazione. La sabbia delle spiagge – bianchissima – è formata da frammenti di conchiglie che si sono frammentati da 4000 anni fa e continuano ancora oggi … prendo un pugno di sabbia e la lascio cadere lentamente nel vento : pensando che mi stanno rotolando in mano conchiglie di 4000 anni… E non vorrei più andare via da questo incanto. Unica nota triste : le tre bellissime sule morte che incontriamo in spiaggia (influenza aviaria ?) . E invece torniamo al camper sotto un cielo che diventa sempre più grigio ; invidio i conigli che abitano a migliaia le dune sabbiose, dove hanno costruito favolose gallerie e che ci osservano attenti sulle loro verande, pronti a nascondersi se necessario .
In ultimo alcune fotografie a : il Balnakeil Cemetery affacciato sul mare (dove riposa la zia di John Lennon) , ai resti della Balnakeil Church, alla splendida Balnakeil Farm (proprietaria del passaggio). Con gli occhi, la mente e il cuore pieni di luce e vento, ci dirigiamo poi alla vicina Durness, che attraversiamo velocemente per sostare brevemente alle Smoo Cave : nella grotta principale una cascata scende dal centro della volta … ma le scarse piogge di questa estate hanno seccato il torrente che la alimenta. Le visite però per oggi sono chiuse (e comunque richiederebbero una ardita discesa su una scaletta metallica verticale che ti porta al barcone che rende possibile la visita al dedalo di grotte allagate). Per cui ci accontentiamo di una veloce passeggiata sui sentieri del luogo.
Proseguiamo quindi verso Tongue : costeggiamo i due lati del Loch Eriboll (in realtà un profondo fiordo delimitato da altissime colline che cadono in mare ), per avvistare poi ed infine attraversare un altro fiordo, su un lunghissimo ponte. Approdiamo infine al campeggio di Tongue, accolti da un annoiatissimo impiegato che raccoglie le prenotazioni per la cena da asporto fornite dalla cucina che serve il anche un piccolo albergo. Veniamo anche assaliti da un battaglione affamato di midges succhiasangue : facciamo una lavatrice, in una atmosfera generale un po’ marziana tra persone che girano con le orrende retine verdi in testa e lenzuoli arrotolati addosso a mantello. Vista l’atmosfera generale, decidiamo di rinunciare alla passeggiata serale in paese (distante circa 2 Km., salita all’andata e discesa al ritorno).
Approfittiamo per rivedere il nostro programma di viaggio : per fare metà della North Coast 500 abbiamo impiegato tutti i giorni che avevamo preventivato per l’intero percorso, che invece richiede almeno 8 giorni (meglio 10). A questo punto – tenendo conto dei giorni di ferie che restano alla Jessica – dobbiamo scegliere se completare la Route o dirigerci verso le città . Anche perché a Tongue c’è l’unica strada alternativa al percorso completo. Scegliamo la seconda opzione, in quanto siamo oramai certi che torneremo Scozia per un altro viaggio .
Lunedì 1 agosto 2022. Abbandoniamo quindi la North Coast – a malincuore – e rinunciamo alla parte a est – temporaneamente : prendiamo l’ultima strada disponibile che scende verso Inverness attraversando il cuore delle Highlands (A836), attraverso paesaggi sempre spettacolari. Costeggiamo il Loch Loyal (un vero lago) ; attraversiamo territori collinari/montuosi, praterie verdi, brughiere, acquitrini, boschi ; costeggiamo/attraversiamo alcuni fiordi ( Dornoch, Cromarty Firth, ed infine il Moray). Ci circonda una esplosione di colori sotto un cielo azzurro e terso : paesaggi coltivati (i primi che vediamo in Scozia) con ampi campi di grano dorato che brilla al sole , delimitati da ciuffi di fiori viola e più discrete distese di erica a ricoprire completamente i pendii più dolci delle colline . Approdiamo infine al campeggio (Bought Drive, che si rivelerà tranquillo e comodo per la visita del centro città , ma decisamente costoso con servizi carenti) a Inverness (100.000 abitanti) e partiamo subito per la visita alla città.
Brusco ritorno alla civiltà ed alla folla. Visitiamo le Ness Islands , isolotti sul fiume Ness su cui crescono alberi secolari, collegati da romantici ponti vittoriani bianchi . Seguiamo il fiume Ness (che proviene dall’omonimo lago e dove si pescano i salmoni) fino al centro città . Pranziamo alla Castle Tavern (zuppa del giorno piccantina e pesce) per poi girovagare nel centro città, visitando vari negozi molto caratteristici (whisky, tartan, quilt), il Viktorian Market. Mercato coperto del primo novecento, che – eliminati i negozietti più turistici – ospita ancora antichi negozi che ti catapultano in un’altra dimensione : un negozio di cornamuse, una bottega di orologi ferroviari, un gioielliere che vende esclusivamente anelli di fidanzamento. Scopriamo che però con delusione che quasi tutti i negozi chiudono alle 15-16 e quindi corriamo a vedere la Leakley Book Shop, negozio di libri usati che ha occupato una vecchia chiesa sconsacrata. Saliamo quindi alla Old High Church St. Stephen : dal cimitero antistante abbiamo una stupenda visuale sul fiume e sui ponti vittoriani che lo attraversano. Il suo campanile è stato per anni la costruzione più elevata di Inverness : dal 1703 la sua campana suonava ogni giorno alle 17 per decretare l’inizio del coprifuoco notturno (dopo le 17 infatti per girare in strada occorreva accendere una lanterna ; ma essendo la maggior parte degli edifici costruiti in legno, il fuoco era considerato pericoloso ed evitato ) ; ancora oggi suona ogni giorno alle 20 . Entriamo alla Coop sotto il sole e – dopo una piccola spesa – usciamo sotto la pioggia battente, che ci accompagna per tutto il rientro in campeggio. Decido di fare una doccia, che sarà la peggiore della mia vita : un flebile rivolo di acqua che scende solo premendo un durissimo pulsante (che richiede l’impiego di due mani rendendo difficili ogni altra azioni). Impossibile regolare la temperatura : prima scende un filo di acqua gelata, e sto quindi per desistere, quando inizia a scendere un rivolino tiepido, per cui decido per un rapido shampoo … e a quel punto inizia un rivolo bollente che non riesco a raffreddare neppure chiudendo ed aspettando (bagnata e insaponata) per alcuni minuti. Quasi ustionata ed imprecante torno in camper, avvistando una comitiva di allegri anziani (mi chiedo come hanno fatto a fare la doccia) alloggiati in un Bus Hotel, di cui non conoscevo l’esistenza : un autobus con un rimorchio con tre file di finestrini (che contiene le camere da letto ed una cucina completa). Consiglio visita del sito internet, da annoverare nella categoria “i bus più strani e originali del mondo” : con prezzi che vanno dai 600 ai 6000 euro offrono da una settimana di viaggio in diverse mete europee, a viaggi nel lontano oriente, o sul monte Everest, o nei deserti più spettacolari del pianeta, fino ad un tour dell’Australia della durata di 50 giorni. Anche per oggi : buonanotte .
Martedì 2 agosto 2022 . Colazione veloce con ritorno in centro città per visita di una gioielleria vintage del Viktorian Market, dove ammiriamo alcuni bellissimi gioielli liberty del primo novecento, e dove la Jessica (in altro settore più economico) trova alcuni regalini molto originali . Visitiamo poi un altro negozio del quilt (che vedremo declinato in ogni possibile versione ed utilizzo, anche tra i più bizzarri ) , deludente rispetto a quello di ieri dove una sorridente nonnina faceva gli onori di casa ringraziando per la visita, e ci aveva accolti con una grazia e gentilezza di altri tempi. Dopo aver visitato la Albertarff House (1593), la casa integra più antica di Inverness, e aver attraversato per ben due volte il Woobly Bridge ( letteralmente ponte debole, traballante : e garantisco che non delude le aspettative ), approdiamo al favoloso Mustard Seed, ristorantino che ci offre una splendida visuale sul Ness ed un indimenticabile pranzo : tartare di aringa, spigola in padella accompagnata da una insalatina fredda di patate, cipolline e limone, biscottini al burro che sono così buoni da essere commoventi . Premiato nel 2019 come Best Everiday Dining del Regno Unito .
E’ quindi giunta l’ora di partire, diretti al famosissimo Loch Ness : vorremmo visitare le rovine dell’ Urquhart Castle, posto in posizione privilegiata per ammirare il lago in tutta la sua lunghezza (37 Km.), ma il parcheggio è pieno e per entrare si deve preventivamente prenotate la visita al castello, oggi comunque esaurita. Quindi salutiamo un po’ a malincuore e ripartiamo fiancheggiando il misteriosissimo lago, nascosto da alti abeti ; a differenza di tutto il resto del viaggio l’atmosfera è cupa anche per i nuvoloni grigi e poi la pioggia battente che inizia a scendere, che però non hanno il consueto carattere romantico al quale la Scozia ci ha sinora abituati. Il lago è molto profondo (230 m. , quindi più profondo di gran parte del mare del Nord , oltre ad un fondale di fango e limo), con la superficie scura increspata da rabbiose ondine spumeggianti ; è circondato da aspre montagne che si innalzano rapidamente da una riva boscosa. La sua fama è legata Al Mostro che lo abiterebbe, Nessie (Nessiteras rhombopterix, per i più seri estimatori) , il suo leggendario abitante, che alimenta un enorme indotto economico (musei per chiarire qualcosa che non sembra essere mai esistito ; decine e decine di negozi che vendono ogni oggetto decorato con varie versioni del dinosauro) : e tutto ciò, dopo tanta solitaria bellezza, non ci piace molto. Ci sono le ipotesi più disparate sulla sua esistenza e natura : alcuni sostengono che sia un relitto dell’era dei dinosauri, altri che si tratti di un tritone gigante , o di un enorme storione del Baltico in gita. La vicenda non ci appassiona, piove fitto e quindi procediamo spediti (probabilmente unici turisti in Scozia che non si fermano al misterioso e famosissimo lago). Dopo una delle nostre foto (che documenta nuvole, pioggia e acque cupe e riassume le nostre considerazioni), ho recuperato alcune foto che rendono giustizia a questo lago ed alla sua bellezza ( scattate da mio cognato dal suggestivo Urquhart Castle).
Arriviamo a Fort Augustus dove ci fermiamo in un parcheggio dove incontriamo un segnale di pericolo che ancora non avevamo visto. Facciamo una passeggiata a fianco ed attraversando le 11 chiuse monumentali lungo il Caledonian Canal : consentono alle barche in transito di salire (o scendere) dal livello del lago a quello del canale ( importante via di navigazione che conduce al Loch Oich, e a seguire al Loch Lochy ed infine -attraverso il fiordo di Lorn- al Mare interno della costa occidentale scozzese e quindi al bacino del nordest atlantico).
Attraversiamo quindi un ramo del Loch Linnhe e scendiamo verso il Loch Lommond and Trussach Natural Park, che avevamo già attraversato (su un percorso diverso) e la Queen Elizabeth Forest Park : montagne brulle o ricoperte di muschi, altipiani increspati da onde rocciose, geroglifici di acque in movimento o ferme ; le strade sono un po’ piu larghe ma ciò non migliora la situazione per la presenza di molti camion che sfrecciano a tutta velocità facendoci ondeggiare . Approdiamo a Luss, dove il campeggio è pieno e quindi parcheggiamo sotto la strada principale in un bel parcheggio affacciato sul Loch Lomond . Il cielo è sempre nero e minaccioso, il vento forte, il lago tranquillo. Questa sarà l’ultima notte che passeremo nella Scozia selvaggia che ci ha completamente conquistato : da domani visiteremo le due grandi città e torneremo definitivamente alla civiltà. Buonanotte.
Londra, Chester, Stirling, Loch Lomond and Trossach Natural Park , Oban, Castle Stalker, Eilean Donan Castle, Kyleakin, Skye Bridge, Portree, penisola del Trotternish, Old Man of Storr, Mealt Loch, Mealt Falls, Kilt Rock, Dunvegan, Fairy Pools, Plockton.
Finalmente è arrivato il momento di realizzare questo piccolo sogno. La Scozia è una meta alla quale pensiamo da tempo, soprattutto per la bellezza del paesaggio , per il suo carattere incontaminato, lontano, estremo : terra forte e potente, dove la natura è la padrona indomata e la bellezza assoluta del paesaggio ti racconta la storia della terra. Il viaggio in Scozia per noi camperisti esperti e oramai pensionati è una piccola avventura: non fosse altro per la lontananza, in quanto è già un bel viaggio arrivare all’inizio del viaggio vero e proprio.
Quest’anno però sembra che le costellazioni siano tutte in posizione a noi propizia e riusciamo a partire, seppure a rate. Mentre Gabriele, la Nina e Biagio 2.0 carico e pronto per l’avventura sono partiti da casa venerdì sera 8 luglio e ci aspettano a Londra , io e la Jessica riusciamo a partire solamente lunedì 11 luglio . Partiremo da Malpensa alle 20, con oltre un’ora di ritardo che non mi pesa assolutamente perché sono in compagnia di Jessica. Dal caldo torrido milanese passiamo al gelo polare del gate e ancor di più dell’aereo, e di nuovo al caldo londinese (solo temporaneamente mitigato dalla notte) in una dimensione spaziale che inizia a diventare sfuggente.
Il nostro aereo – dopo essere passato sopra le Alpi e le pianure francesi – sembra accelerare e intraprende un giro nuovo, che ci regala un fine volo panoramico e mozzafiato : non arriva a Londra da sud come solitamente accade … ma attraversando la Manica allarga verso est con una ampia virata attorno alla regione del Kent, sovrasta affiancandole le bianche scogliere e si porta fino alla foce del Tamigi – illuminato come un nastro dorato dalla luce del tramonto – e lo risale fino al centro della città, che sorvoliamo planando fino al London City Airport.
All’uscita dal controllo doganale incontriamo i nostri due principi azzurri, Gabriele e Reef, che – senza alcun accordo precedente – si sono trovati proprio lì . Dopo i saluti e gli abbracci ci diamo la buonanotte, anche perché quando sono stanca , la mia modesta capacità di parlare in inglese si esaurisce completamente.
Io e Gabriele arriviamo al nostro Christal Palace Campsite – dove oramai siamo di casa – su un bus a due piani che viaggia a tutta velocità impennandosi sui dossi e rasando i rami degli alberi sul nostro percorso : welcome to London, guys !!!
A questo punto sorvoliamo le due settimane trascorse a Londra, passeggiando (150 Km a piedi ) e riprendendo confidenza con le consuetudini britanniche , in attesa delle nuove ferie di Jessica ed arriviamo quasi immediatamente alla partenza per le vacanze in Scozia.
Unica citazione doverosa : il caldo torrido di questa estate (con punta massima di 40 gradi, quasi insopportabili a Londra, non pensata nè attrezzata per il caldo torrido ) e sgomento nel vedere che tutti i parchi londinesi non sono più verdi come al solito e che il soffice manto erboso e muschioso in cui era idilliaco passeggiare anche a piedi nudi, è solo un ricordo lontano : nell’afa di queste giornate, in tutti i parchi , a Greenwich, è tutto giallo oro … sembra di essere nelle campagne della Spagna.
Gli inglesi – solo un po’ disorientati – mantengono l’abitudine di prendere il sole sdraiati nei parchi, magari rinfrescandosi nelle fontane : ma nulla rallenta il frenetico ritmo di vita della città, se non il fuoco.
Nelle due settimane di permanenza londinese incapperemo in tre interventi dei pompieri per incendi , evento mai successo nei nostri numerosi viaggi precedenti : il primo nelle cucine dell’Admiralty Pub a Trafalgar Square a tardo pomeriggio; il secondo a mezzanotte a Brixton ; il terzo con arresto delle corse ed evacuazione della stazione della metropolitana di Green Park. In tutti i casi fumo denso, acqua che corre in strada e scende verso il Tamigi (dove il livello del fiume è molto basso e sono emerse sconosciute spiagge sotto gli argini), ampio intervento di molti equipaggi dei Vigili del fuoco e della Polizia, blocco completo del traffico stradale, una folla di persone che si riversa e vaga nelle strade, non potendo più fluire nella perenne corsa della vita cittadina . Mai come quest’anno il cambiamento climatico risulta drammaticamente evidente di fronte ai nostri occhi.
Noi abbiamo cercato refrigerio in tutti i possibili luoghi freschi … che a Londra però sono solamente i negozi (non tutti) : anche i musei sono stati improvvisamente chiusi a metà giornata per le temperature tanto elevate da mettere a rischio le opere esposte. Un pomeriggio siamo persino finiti nel settore pasticceria di Harrods, una delle poche mete refrigerate londinesi.
Cattedrale di Southwark il gatto della cattedrale , Hodges Le serre dei Kew GardensGreat Pagoda Visitatori collassati nei museiVisioni di brezze marineShorenditch
Il 23 luglio finiamo la vacanza londinese e siamo pronti per partire per la Scozia … quasi pronti :
Domenica 24 luglio 2022. La Jessica arriva puntualissima in campeggio alle 7.30 : colazione , doccia (il bagno del suo appartamento è fuori servizio per una brutta perdita in attesa di riparazione) e finalmente partenza. Oggi ci aspetta il primo trasferimento lungo ( 350 Km.) : la meta della giornata è Chester, piccola cittadina (meno di 100.000 abitanti) che abbiamo scelto unicamente perché si trova circa a metà della distanza che ci separa dalla Scozia e ci consente di fare la prima tappa di trasferimento veloce ma anche turistica, e di sgranchire un po’ le gambe .
Facciamo una unica sosta per un pranzo veloce a “Albrighton home of the English Rose”, piccolo villaggio di poche case che avvistiamo proprio di fianco alla nostra strada. Atmosfera bucolica, con cavalli al pascolo, una grande corte circondata da case a graticcio, belle residenze di campagna, una grande chiesa, che visitiamo velocemente. La Collegiate Church of St. Bertholomew ospita antiche tombe medioevali, alcune delle quali a più piani, e la Golden Chapel dove è sepolto il fratello di Enrico VIII.
E – in mezzo al nulla – facciamo il pieno accanto all’auto dei Ghostbuster : esatto una delle auto originali usate per girare il film, completamente attrezzata. E molto frettolosi : evidentemente spazientiti di fronte al nostro stupore – che rallenta le nostre operazioni – ed alle domande che non riusciamo a non fare. Finiscono il loro rifornimento alla velocità della luce e sgommano proprio come in un film.
Arriviamo a Chester a metà pomeriggio, e parcheggiamo lungo il fiume Dee al Little Roodee Car Park, silenzioso e grande parcheggio sotto al castello, dove dormiremo anche la notte (15 sterline il parcheggio dal pomeriggio al mattino successivo) . La nostra guida afferma che “la splendida Chester è uno dei doni più grandi che la storia inglese possa offrire ” : il centro storico – fondato in epoca romana nel primo secolo d.C. – è protetto da una bellissima cerchia di mura in arenaria rossa ad oggi quasi completamente intatte. Inizialmente è stata il quartier generale della ventesima legione romana che presidiava a nord i confini dell’impero : la chiamarono Deva Victrix e le diedero una forte e duratura impronta culturale (anche nei secoli successivi – quando venne conquistata dai Sassoni e poi dai Normanni , rimase in abitata dai britannici romanizzati). Conobbe poi una enorme espansione commerciale dal medioevo grazie ai traffici nel suo porto, che oggi non esiste più. Nel centro storico si trovano i caratteristici Rows , gallerie commerciali su due livelli che riempiono le quattro vie che si diramano dalla Central Cross : praticamente i primi centri commerciali della storia, che riunivano decine e decine di piccoli negozi protetti da portici . Passeggiamo circondati in ogni dove da edifici Tudor e vittoriani, originali o perfettamente restaurati e il colpo d’occhio è notevole : qualcuno l’ha descritta come un gigante Liberty (riferendosi all’edificio vittoriano che a Londra ospita il magazzini Liberty), e il paragone è azzeccato. In uno dei portici commerciali ci incuriosisce un avviso che rassicura i passanti sulle buone condizioni di salute del gabbiano Steven, che evidentemente si finge malato per ottenere cibo e per introdursi dentro ad uno dei negozi : vorremmo conoscerlo, ma non è nei paraggi. Attraversiamo il Godstall Lane, vicolo medioevale che merita l’appellativo di “cuore romantico di Chester”. Visitiamo anche la Chester Cathedral dove siamo calorosamente accolti : sorta come abbazia benedettina sui resti della precedente chiesa sassone dedicata a Santa Werburga , patrona della città, fu chiusa nel 1540 durante la dissoluzione dei monasteri ordinata da Enrico VIII e in seguito riconsacrata come cattedrale : in pietra rossa , di stile normanno gotico perpendicolare, svetta con leggerezza. Ci stupisce e non riusciamo a capire la motivazione dell’illuminazione decisamente viola della crociera, dell’organo e dei bellissimi fregi lignei dietro all’altare …
E la seconda osservazione cui non riusciamo drammaticamente ad attribuire senso (anche per la fame) è l’amara scoperta dell’orario di chiusura della cucina dei pub di Chester (alle 19-20) . Dopo affannosa ricerca, quando stiamo per disperare, troviamo un locale che ci offre ospitalità : la Brewery Tap ci offrirà una ottima cena con ottima birra in un bellissimo pub . L’angelo protettore dei viandanti ritardatari, romantici ed incoscienti ci assiste. Ceniamo tra antiche mura , che hanno ospitato re, nell’ altissima sala in cui troneggia un enorme camino in pietra dietro al bancone delle birre. Tutto molto rassicurante. All’uscita ci aspetta un tramonto che illumina tutto di rosa :
decidiamo quindi di fare una romantica passeggiata sopra le mura, densa di confortanti chiacchiere e confidenze che ci regala il calore e la magia dei momenti di felicità : ovunque si dirige lo sguardo è tutto bello, l’incanto ci avvolge . E ci regala una diversa linea di osservazione – quasi in volo – del centro storico, dell’intricato groviglio dei binari che si diramano dalla stazione, dell’ippodromo e ci riporta al nostro parcheggio avvolto nel buio e nel silenzio. Buonanotte.
Lunedì 25 luglio 2022. Dopo una tranquilla e rapida colazione in camper (Gabriele trova le sole briosche da asporto da Caffè Nero) partiamo per il secondo trasferimento lungo, che ci porterà da Chester alla nostra prima tappa scozzese, Stirling (420 km.). Viaggio tranquillo, tra sole pieno, sprazzi di sole tra le nuvole, finalmente pioggia battente, pioggerellina con sole… e chi più ne ha più ne metta. Bellissimo il passaggio attraverso le dolci colline verdi del North Yorkshire e della Cumbria : qui il paesaggio è tutto verdissimo, di mille tonalità di verde che rinfresca solo a guardarlo ; mucche pezzate e pecore libere al pascolo ; larghe chiazze di fiori gialli e fucsia interrompono il verde …
Arrivati a Stirling parcheggiamo nel Linden avenue car park dove non ci sono divieti per la sosta notturna (2 sterline per le 24 ore). Passeggiata di circa 20 minuti (in salita) per raggiungere la Old Town , raccolta sotto il castello, fortezza inespugnabile situata sulla cima di un possente dirupo boscoso (il tappo di un vulcano estinto) . E’ un dedalo di edifici grandiosi e di strade acciotolate che salgono tortuosamente verso il nucleo centrale raccolto sotto al castello. “Prendi Stirling e controllerai la Scozia” : questa massima conferma l’importanza strategica del castello, confermata dalla presenza di una fortezza in questo luogo fin dall’era preistorica. L’attuale struttura risale al XIV-XVI secolo, quando fu eletto a residenza degli Stuart : non visiteremo però le strutture del castello (Great Hall, Royal Chapel, Great kitchens, Tapestry Studio…) né il Royal Palace e la Prince’s Tower (suite di sei camere , tre per il re e tre per la regina, con i soffitti decorati, i camini, gli arazzi) restaurato di recente in un sontuoso tripudio di colori, perché arriviamo quando oramai gli ingressi sono bloccati . Propendiamo quindi per l’unica visita che l’orario ci consente : la Old Jail . Un attore in costume, impersonando diversi ruoli con cambi d’abito, ci illustra in modo coinvolgente i due periodi della storia penitenziaria : dalle vecchie prigioni che avevano la fama di essere le peggiori di Inghilterra (Tolbooth, costruzione poco distante, ora riconvertita in un centro per la musica e le arti) dove ogni crudeltà era giustificata da una logica unicamente punitiva, a quella riformata ed illuminata, ispirata dall’idea del recupero e della riabilitazione sociale e lavorativa. La visita alla torre ci regala una vista a perdita d’occhio sulla città e sulla regione : a parte i raggi di sole che filtrano tra le nuvole incrociati (proprio come il tartan scozzese ! ) e l’arcobaleno, avvistiamo il misterioso Wallace Monument, una torre in stile gotico vittoriano circondata voli di corvi e pipistrelli e dedicata a Braveheart : William Wallace (nato in Scozia nel 1270 e morto a Londra nel 1305) il leggendario combattente per l’indipendenza scozzese soprannominato Hammet of the Scots (il martello degli scozzesi) , divenne eroe nazionale per aver guidato una insurrezione contro Edoardo I d’Inghilterra che nel 1296 aveva deposto e imprigionato il re di Scozia John Balliol. Nel 1297 a capo di 30 uomini assalì la cittadina di Lanark, uccidendo il governatore inglese e sconfisse gli inglesi in una prima battaglia ; venne quindi proclamato Guardiano del regno, ma venne sconfitto dagli inglesi a Falkirk nel 1298 ; nel 1305 fu catturato , processato, torturato e giustiziato a Londra. Le sue vicende ispirarono il film di Mel Gibson del 1995, vincitore di 5 premi Oscar, non pienamente fedele alla intricata vicenda storica. Entriamo poi nel cortile della Church of the Holy Rude, una delle più belle chiese medioevali della Scozia, circondata dal vecchio cimitero .
Di fronte ci incuriosiamo per il Boy’s Club (attualmente sede dei boys scout) : club giovanile per ragazzi, fondato nel 1929 dalla riconversione del vecchio mercato del burro. Le finestre e le porte sono sormontate da brevi motti di incoraggiamento : “Keep smiling” (Sorridi), “Quarreling is taboo” (Proibito litigare), “Play the game” (Stai al gioco… come ci ricordano anche i Queen qualche decennio dopo). Dopo aver disceso e salito ripetutamente le vie della città vecchia alla ricerca di un pub, scegliamo di tornare al Portcullis pub, proprio sotto il castello, accolto nell’edificio settecentesco dell Old Grammar School (istituto di educazione per ragazzi, poi da metà ottocento anche per l’alfabetizzazione di alcune ragazze di famiglie illuminate, e in seguito convertito in struttura militare, poi in hotel) . Cena discreta, senza infamia né lode. Torniamo quindi al nostro parcheggio, con una lunga passeggiata che si conclude in un parco e in un bosco abitati da decine di conigli.
Abbiamo avvistato anche un bellissimo bar-libreria (The Book Nook ) da ricordare : decidiamo infatti di non prolungare la permanenza oltre quanto programmato, e di ritornare – non so se in questo viaggio – per visitare il castello (e il suo ristorante, che serve una buona zuppa del giorno) , il Wallace monument ; d’altronde Stirling – per la sua posizione strategica al centro dell’inizio della Scozia – è una tappa obbligata di ogni itinerario possibile. Adesso il nostro programma è piuttosto serrato, e non ci consente divagazioni o ritardi, soprattutto per l’intenzione di affrontare la mitica North Route 500 che ci porterà a percorrere tutte le coste della regione impervia delle Highlands (più di 800 km su one ways) . E’un percorso mitico , che si presenta come un monolite e richiede almeno una settimana : una volta che la inizi , diventa difficile tornare indietro, e ci sono anche poche occasioni per abbandonarla prima del termine. Quindi anche per oggi : nanna, dopo aver recuperato un bell’ombrello a doppio telo abbandonato nel parcheggio, che potrebbe rivelarsi utile nel clima scozzese : pioggia, sole, pioggia/sole, vento, vento/pioggia, arcobaleno/sole, luna/stelle. Buonanotte.
Martedì 26 luglio 2022. Colazione e spesa da Waitrose, vicino al nostro parcheggio (in Scozia è consigliato seguire la regola : se incontri un distributore o un supermercato, cerca di fare rifornimenti) , e partenza veloce per il vero inizio del percorso verso la Scozia sempre più selvaggia . Diretti a Oban e poi a Dornie e all’isola di Skye (ancora un trasferimento lungo : 330 Km su strade panoramiche) , iniziamo ad attraversare il Loch Lomond and Trossach Natural Park , seguendo la strada alta del parco : paesaggio mutevole ed incantevole, selvaggio, primordiale, incontaminato. Siamo in un bosco e tra gli alberi vediamo brillare le acque di un lago ; poi i boschi si diradano e ci inerpichiamo tra colline brulle che scendono in acque ferme, scure e tranquille ; immensi tappeti verdi e muschiosi ricoprono colline possenti ; poi all’improvviso compaiono rocce antiche o ancora terreni scoscesi digradanti ; ovunque e in ogni forma scorre acqua in rivoli arborescenti che solcano le colline , le rocce o il fondo valle, fiumi, laghi, sottili cascate, enormi stagni in cui fioriscono centinaia di ninfee ; intricati disegni d’acqua dominano sempre il paesaggio ; i bacini – fiumi, laghi o fiordi – sono interrotti da strette penisole o piccole isole che moltiplicano le linee di orizzonte e non riesci a contarle, a vederne la fine . Rilievi imponenti che emergono e contengono bacini di acque nere e ferme ; una immensa creazione incontaminata e selvaggia della natura , che incanta, incute rispetto e a volte timore, toglie il respiro. Ci sentiamo davvero piccoli viaggiatori in un universo potente, capace di vivere e di modificarsi incessantemente.
Vorrei fermarmi ogni 5 minuti per fotografare l’incanto che si apre continuamente di fronte ai miei occhi, ma le strette stradine e le rare piazzole di sosta sono implacabili : impossibile fermarsi, se non bloccando completamente il traffico. Le strade sono decisamente strette e anche quelle a doppia corsia richiedono attenzione : attenzione in particolare all’arrivo dei camion, che circolano MOLTO VELOCEMENTE. Noi abbiamo adottato la strategia di tentare di accostare a sinistra appena possibile, dando SEMPRE la precedenza. All’inizio di una piccola galleria situata al centro di una doppia curva arriva un bel camion a tutta velocità e facciamo appena in tempo a frenare e buttarci a sinistra in un angoletto della strada. Iniziamo ad incontrare tratti per ora brevi delle famose one way con i passing place : sono strade con una unica corsia per il transito nelle due direzioni di marcia, con regolari piazzole di sosta dove ci si può fermare per consentire il passaggio di un veicolo proveniente in senso contrario ; sono stradine molto caratteristiche, in mezzo alle montagne, che si arrampicano coraggiose su colline e scendono impavide dalle montagne, con curve continue dettate dalle necessità del territorio, che riescono a stringersi oltre ogni previsione tra muretti ed alti argini. E devo dire che non abbiamo (quasi) mai incontrato alcun problema : i passing place sono frequenti e gli automobilisti molto corretti (attenzione però ai camion : lavorando in queste difficili condizioni generali, corrono il più velocemente possibile, talvolta ‘armati’ di specchietti retrovisori corazzati con gusci di acciaio) . Occorre dire che il territorio è vastissimo, impervio, con inverni rigidi e nevosi, e più ci dirigiamo verso nord più si riduce la presenza umana. La rete stradale serve al passaggio di una popolazione molto limitata : la Scozia occupa un terzo della superficie della Gran Bretagna ed ha 5.300.000 abitanti (8% della popolazione dell’isola), in maggior parte concentrati nelle grandi città (Glasgow ed Edimburgo in testa) ; nella central belt (zona industriale delle due grandi città ) la densità arriva a 700 abitanti per Km quadrato ; in alcune regioni delle Highlands (Terre Alte) ci sono meno di due abitanti per Km quadrato.
Quindi (oggi non abbiamo ancora compreso che) più procediamo, meno case/persone/villaggi incontreremo : i centri abitati diventano sempre più piccoli e distanti, i supermercati ed i grandi negozi tendono a scomparire. Anche i piccoli cimiteri – che circondano le chiese o si stagliano solitari sulle colline circondati da muretti in pietra – sono poco affollati. Siamo molto attenti ai rifornimenti di carburante che facciamo appena il serbatorio si avvicina a metà capienza , e non avremo alcun problema.
Arriviamo quindi a Oban , tranquilla cittadina affacciata sul profondo e frastagliato fiordo Firth of Lorn, di fronte alle isole di Kerrera e Mull. Con i suoi 8000 abitanti e’ il maggior porto della Scozia occidentale, il secondo più grande centro della regione, punto di partenza dei traghetti per le isole Ebridi interne. Sede della Oban Distillery (che non riusciamo a visitare per esaurimento dei posti) , una delle più antiche della Scozia (1794), che produce oltre un milione di bottiglie l’anno di whisky torbato. Entriamo in molti negozi dove troneggiano montagne di rotoli di lana scozzese, il tartan di ogni colore, riferibile alla famiglia o creati ad hoc per particolari eventi (matrimoni importanti) : ovviamente si può acquistare di tutto, cappelli, quilt, vestiti, giacche, cappotti, borse, plaid, o ancora meglio farli confezionare su misura.
Scozia vuol dire tartan. E tartan vuol dire kilt. Ma perchè? La leggenda narra che gli scozzesi abbiano inventato il kilt per non ritrovarsi sempre, a causa delle numerose piogge, con l’orlo dei pantaloni bagnato! Ma prima di parlare di Kilt e Tartan, dobbiamo parlare di Clan. Il tipo di relazione che c’è tra gli scozzesi è quella alla base della società celtica. La parola gaelica clann significa “figli”, “discendenza”. In origine il clan era una famiglia con a capo il padre che istruiva il figlio che poi sarebbe diventato capo clan in futuro. Nel tempo il significato di clan si è allargato fino a divenire quello che intendiamo noi oggi. Il clan era quindi il gruppo a cui appartenevano tutti coloro che riconoscevano la figura e l’autorità di un capo di cui tutti portavano il nome. La netta divisione geografica della Scozia ha anche favorito la nascita e il perdurare di questo sistema che se per noi è molto romantico, allora non lo era. Frequenti e sanguinose erano le battaglie tra i clan scozzesi e i vari Re nel tempo hanno sempre cercato di ridurne l’influenza e il valore…. La repressione dei clan raggiunge però il culmine nel 1746 quando i giacobiti – che rivendicavano l’indipendenza dall’ Inghilterra – vengono brutalmente sconfitti dalle giubbe rosse del duca di Cumberland nella celebre battaglia di Culloden, nei pressi di Inverness. La corona Inglese, forte della schiacciante vittoria, confiscò le terre dei clan, vietò il possesso di armi, l’uso del kilt, del tartan e di tutti gli elementi degli abiti tradizionali. Inoltre venne vietato l’uso della cornamusa e della lingua gaelica. Infine venne dato il via alle cosiddette Clearences ovvero degli sgomberi forzosi: intere famiglie e villaggi vennero cacciati dalle proprie case, spediti in Canada e America o al sud, strappati dalla loro vita e dalla loro storia. Oggi ne sono registrati 4.000 anche se i tipi in commercio si aggirano tra i 600 e i 700. Sapevate che anche gli italiani hanno un tartan ufficiale? Infatti ci è concesso l’uso del Royal Stewart Tartan… Il Kilt, come tutti sapranno, è una pezza di tartan indossata alla vita. Tuttavia un vero kilt, inteso come abito tradizionale deve essere sempre accompagnato dalla sporran (cioè un borsellino sempre legato alla vita), da una spilla per unire le due estremità del tessuto ed immancabile lo sgian dubh, il piccolo pugnale infilato nel calzettone!
Domina dall’alto la città la McCaig’s Tower, bizzarro anfiteatro in granito nato dalla fantasia di un banchiere che voleva creare un museo, una galleria d’arte e una cappella, riducendo la disoccupazione che colpiva i tagliapietre nella stagione invernale; il progetto comprendeva l’aggiunta di una torre centrale, ma al momento della sua morte erano state completate solo le mura esterne di granito. Gli eredi non diedero seguito alle sue istruzioni e lo strano edificio si è trasformato in una sorta di giardino segreto, dal quale ammirare il fantastico panorama sul mare al tramonto (che noi non vediamo perché arrivano minacciosi nuvoloni neri ed inizia a piovere). Pranziamo con gusto al Coast restaurant, iniziando con la consueta zuppa del giorno (che riuscirà ad essere diversa quasi ogni giorno) … Quando ritorneremo però, ritenteremo di assaggiare il pesce preparato da Oban fish and chips (piccolissimo e oggi affollatissimo) (dall’oceano al tuo piatto, semplice, gustosissimo, con preparazioni molto particolari).
Riprendiamo il nostro percorso e iniziamo a salire verso Dornie : il nostro programma implacabile ci dice che questa sera dovremo arrivare all’isola di Sky, dove finalmente rallenteremo un pò. A Connel attraversiamo il primo di una serie di ponti che attraversano i profondi fiordi che intagliano la costa e proseguiamo la nostra marcia verso nord. Il paesaggio inizia a seguire il ghirigoro delle vie d’acqua e di terra che colora le mappe e contribuisce a determinare una sorta di disorientamento : a volte diventa difficile capire dove ci troviamo… e a volte il cielo e la terra si specchiano e si confondono. La luce diventa protagonista assoluta della bellezza che ci circonda .
A Portnacroish avvistiamo le romantiche rovine di un castello (Castle Stalker) costruito su una minuscola isola rocciosa nel fiordo di Loch Linnhe, vicino ad una baia dove marea riposa un peschereccio ormeggiato, sotto nuvoloni minacciosi e scuri tra i quali filtra una luce intensa e suggestiva … finalmente riusciamo a trovare un parcheggio per fermarci e fare alcune fotografie .
Verso sera arriviamo all’ Eilean Donan Castle , che riusciamo a visitare (all’esterno) approfittando dell’orario di accesso gratuito prima della chiusura (biglietteria chiusa, liberi tutti) . E’ una delle mete di ogni tour in Scozia, immagine iconica che tutti noi abbiamo già visto (qui sono stati girati Highlander e Il mondo non basta, della saga di James Bond) , circondata da un’atmosfera magica e fiabesca . Costruito nel 1230 da Alessandro II per proteggere l’area dai Vichinghi, fu distrutto durante la rivolta giacobita del 1719; venne poi ricostruito all’inizio del ‘900 da un ufficiale dell’esercito britannico. Sorge su un isolotto roccioso collegato alla terraferma da un bellissimo ponte con archi di pietra, che termina con un piccolo ponte levatoio che blocca l’accesso , ancora in funzione. Qui facciamo il nostro primo incontro con i minuscoli quanto famigerati midges: gli sciami di tremendi moscerini, che vivono nei luoghi umidi, e in luglio e agosto escono quando non piove e non c’è vento, ti assalgono insidiosamente e ti pungono a centinaia, procurandoti bollicine rosse che perdurano per giorni e giorni. Come per tutte le calamità naturali esiste un sistema di monitoraggio della presenza degli sciami, su una scala di intensità da 1 a 4 : e qui adesso siamo al livello 3. Ovviamente siamo preparati ad affrontare questo pericolo : siamo dotati di copricapi in rete e lozioni repellenti recuperate diligentemente nei negozi locali visitati … e che abbiamo lasciato in camper, dove ci rifugiamo dopo le prime punture .
Il castello è visitatissimo : e di conseguenza è vietato tutto, anche il parcheggio notturno . Dopo aver recuperato 15 costosissime bottigliette da 300cc di acqua (nessuno ha bottiglie grandi) per non morire di sete, cerchiamo sistemazione per la notte : i due campeggi vicini sono pieni ; a parte i parcheggi lungo la strada, non troviamo sistemazione gradevole nelle numerose aree di sosta presenti. Tra qualche malumore legato alla stanchezza del viaggio, non vogliamo rassegnarci all’idea di essere in uno dei luoghi più belli della Scozia e dover dormire sacrificati in brutti parcheggi : di essere a un passo dalla meraviglia e circondarci di angusti orizzonti, per cui decidiamo di non desistere e approfittiamo della luce del lunghissimo tramonto scozzese per arrivare sull’ isola di Skye, peraltro ormai vicinissima. Iniziamo a percorrere lo Skye Bridge : in realtà si susseguono tre lunghissimi ponti , improvvisamente illuminati dalla luce folgorante del tramonto che irrompe tra il basso confine delle nuvole e quello del mare e ci fermiamo immediatamente nel porticciolo di Kyleakin (190 abitanti) , su cui vigilano le rovine di un piccolo castello : un piccolo paradiso illuminato dalla luce del tramonto che buca (letteralmente) le nuvole prima grigie, poi blu. La luce è padrona dell’orizzonte e cambia velocemente il colore del cielo e del mare.
E scopro che l’isola di Skye (an t-Eilean Sgiathanach in gaelico) prende il nome dall’antico termine vichingo sky-a , che significa “isola delle nuvole” : e non ho bisogno di nessun’altra spiegazione.
Bene : “stiamo”, “siamo arrivati” , in armonia completa con il luogo.
E – con il cielo – andiamo a dormire quando si spengono gli ultimi riflessi blu e la notte ci circonda.
Mercoledì 27 luglio 2022 . Iniziamo la giornata con una passeggiata nel porticciolo, dove scopriamo che il paesino ospita una colonia di lontre residenti, che però non riusciamo ad avvistare. Troviamo solo un hotel che offre una colazione completa a buffet (dolce o salata) a 12 sterline (non esiste alcun bar aperto al mattino). Ci accompagnano nuvole e pioggerellina per tutta la giornata. Il programma è apparentemente semplice : cercheremo di fare il giro completo dell’isola di Skye , percorrendo la strada che ci condurrà via via a scoprire le bellezze naturalistiche del paesaggio. E’ la più estesa delle circa 800 isole scozzesi, con i suoi 9900 abitanti : 80 chilometri di brughiere vellutate, aspre montagne, fiordi e laghi scintillanti, scogliere a picco sul mare delle Ebridi. Con queste isole rimane il centro della cultura gaelica : ospita la scuola gaelica più importante e oltre un terzo della popolazione parla correntemente il gaelico. Non è semplice neppure fare una semplice conversazione in inglese, per una inflessione che lo rende abbastanza incomprensibile (anche per gli inglesi). La strada è discreta , a percorrenza lenta perché si snoda generalmente sulla costa attraversando un territorio montuoso, che scende nel mare dolcemente o precipita da alte scogliere. Su un altipiano incontriamo la nostra prima mandria delle mucche scozzesi con il ciuffo e le ampie corna : le Highlander (o Hebridean breed, o Heilan coo, o Kyloe ). E’ capace di resistere alle temperature più rigide (-40°) ed alle malattie e puo’ rimanere in alta quota anche durante la stagione fredda. Non sono solo bellissime, ma anche tranquille e simpatiche, pacifiche e mansuete: ci osservano incuriosite e si avvicinano lentamente, mentre alcune osservano il panorama meditabonde.
La prima tappa è la capitale dell’isola , Portree . Con i suoi 2500 abitanti è una specie di metropoli, ma ai nostri occhi conserva l’atmosfera di un villaggio, con il suo porticciolo circondato da case colorate. Mangiamo un fish and chips seduti nel porto, facendo attenzione a non farci rubare nulla dai gabbiani famelici che sorvegliano il traffico. In Scozia non ci sono animali feroci, ma è meglio stare molto attenti ai gabbiani : nelle terre del nord diventano instancabili predatori, furbi e alla ricerca continua di cibo. Oggi continuano a fare ampi giri tondi sulle nostre teste e sul porto , con acuti richiami : e all’improvviso un vorace gabbiano è planato in picchiata sul vassoio di una signora e le ha abilmente rubato in un attimo ed una unica mossa tutto il fish (un intero filetto di merluzzo impanato e fritto). Scena divertente, che però ci ha messo in allerta e ci ha costretto a pensare ad una strategia per consumare il nostro pesce ; tutti vicini e chinati in avanti, per nascondere il bottino. Il problema non riguarda solo noi, ed ognuno trova soluzioni personali : i più solitari mangiano nascosti dalla chioma protettiva degli alberi. Giro panoramico e nei negozi, tra tessuti scozzesi, highland cows , puffins e pecore e magnifici panorami che ispirano artisti e pittori.
Seguiamo poi la litoranea verso nord e iniziamo il giro della penisola del Trotternish, che offre paesaggi spettacolari. Arriviamo alla salita per l’ Old Man of Storr , un pinnacolo di basalto che un terremoto ha staccato dalla roccia madre (lo Storr appunto) e sembra osservare la vallata e il mare di fronte a sé . L’Old Man sembra sparire, a seconda dei punti di osservazione, per poi ricomparire come un possente guardiano ; oppure sembra inclinarsi verso il mare ed essere sul punto di cadere. La salita è ripidissima ed impegnativa, e ancora di più la discesa, nella quale vengo praticamente trasportata dalla Jessica. L’orizzonte verso il mare è punteggiato da più linee di terra, che sembrano moltiplicarsi all’infinito ; tra la roccia e il mare si apre una larghissima vallata disseminata di laghi e fiumi. Non resisto alla tentazione di citare alcune delle bellissime fotografie che lo hanno immortalato : io sono talmente emozionata e rapita che non riesco più a capire dove devo puntare la macchina fotografica.
Incontriamo poi la Kilt Rock, una scogliera di basalto colonnare (linee verticali) poggiato su una scogliera di arenaria (linee orizzontali) , che assomiglia veramente allo scozzese del quilt ; in questo scenario da un lago (Mealt Loch) origina un piccolo ruscello che precipita in mare dall’alto di una scogliera verticale con un salto di quasi 100 metri (Mealt Falls) .
La punta nord di Skye, con l’ altopiano di Quiraing increspato da dolci formazioni rocciose che sembrano altissime onde (frutto di una slavina avvenuta nel Giurassico) ricoperte di un verde tenero e primaverile che digradano fino alle scogliere e precipitano in mare, sembra veramente l’ultimo lembo di terra del mondo. La sommità della strada attraversa il passo e ci porta sul lato ovest della penisola. In questo territorio che sembra non finire mai, sono accampati liberamente molte tende e camper e siamo veramente dispiaciuti di non riuscire a sostare qui per la notte, perché dobbiamo assolutamente trovare un campeggio per le operazione di carico/scarico delle acque.
Arriviamo quindi a Uig (tra i 200 e i 300 abitanti), dove riusciamo a trovare accoglienza in un campeggio dotato anche di docce (non scontate in questo territorio) : cena in camper e buonanotte.
Giovedì 28 luglio 2022. Appena svegli ci trasferiamo a Dunvegan (380 abitanti) , dove facciamo colazione affacciati su un fiordo, sotto un cielo che oggi è azzurrissimo. Ci trasferiamo poi al castello (rinunciamo alla visita, troppo costosa) e decidiamo di cercare di vedere autonomamente le foche residenti nel fiordo. Proseguendo lungo la stretta stradina oltre il castello arriviamo ad una piazzola panoramica che ci regala un’ampia visuale sulle isolette che “popolano” il fiordo : avvistiamo prima i turisti alla ricerca di un contatto ravvicinato con le fochine (su barca, su tavola…) poi riusciamo a localizzare anche le foche , che si immergono nelle acque e risalgono per respirare, poi stanno stese a prendere il sole sugli isolotti .. e sembra quasi che sorridano beate della propria libertà .
Qualche problema nell’inversione di marcia (scopriamo che la one way è senza uscita, ed è anche bloccata da un grosso camion per lavori stradali, con minacciosi specchietti retrovisori corazzati da un robusto involucro di acciaio) .
Decidiamo poi di puntare direttamente alle Fairy Pools letteralmente le piscine delle fate , dove facciamo un veloce pranzo-merenda. E senza sosta partiamo per la visita del luogo, che richiede una passeggiata gradevole, ma impegnativa : il primo tratto in mezzo ai prati (che noi prendiamo come una scorciatoia ), che si rivelano zuppi di acqua e solcati da rivoli nascosti dall’erba. Tra scivoloni, salti e risate recuperiamo il sentiero che ci porta alle cascate che , scendendo lungo la collina, hanno formato gruppi di ampie vasche nella roccia calcarea, dove decine di persone fanno il bagno, si tuffano dalle alte rive, si immergono ed attraversano passaggi sommersi da una vasca all’altra facendosi portare dalle acque in caduta.
Mentre torniamo al camper e chiacchieriamo del film Starwars, dalla quinta di montagne che ci circonda, con un rombo violento sbuca improvvisamente un aereo militare che vola a bassissima quota e buca velocissimo il cielo sopra di noi, facendoci pensare ad un attacco di forze aliene .
Da Wikipedia. Si chiama Fairy Glen, letteralmente “valle delle fate“, ed è una delle mete più incantevoli dell’Isola di Skye, in Scozia. Il sentiero si dipana intorno a piccoline collinette arrotondate, punteggiate da lochans (che significa piccoli loch, ovvero piccoli laghi) e da cascate sparse qua e là. L’atmosfera è ultraterrena, ed è proprio questa che ha fatto guadagnare al luogo il suo nome: tutti gli elementi naturali sono raccolti in una piccola area, che sembra quasi una versione in miniatura di una meraviglia geologica di larga scala. Il Fairy Glen non ha reali leggende o storie che riguardano le fate e che collega il luogo a un mondo magico, benché qualcuno affermi che siano state le fate a creare il paesaggio, e che ancora oggi abitino le fessure tra le rocce. In realtà, le formazioni geologiche uniche del Fairy Glen sono il risultato di una frana. Una delle colline ha ancora uno strato di basalto in cima. Da una certa distanza, somiglia quasi ad un’antica rovina, e per qualche motivo è stata chiamata Caste Ewan. Ci si può arrampicare fino in cima, da cui si gode di una bella vista. Nella bassa rupe dietro al “castello” c’è una piccola caverna dove, a quanto si dice, inserire monete nelle crepe nelle rocce porta fortuna. Di recente, i visitatori hanno iniziato a spostare piccole rocce per creare spirali sul terreno. Le guide turistiche dicono che si può lasciare una moneta al centro, come offerta per le fate, ma gli abitanti del luogo non sono entusiasti della cosa, in quanto preferirebbero lasciare la valle al suo stato naturale.
All’uscita dall’isola, incrociamo una mandria di Highland Cows che procede placidamente sulla one way in direzione contraria alla nostra sotto lo sguardo divertito ed orgoglioso del mandriano che impartisce indicazioni gentili : ovviamente ci fermiamo ed attendiamo il passaggio di tutte le mucche, che hanno la precedenza assoluta (come tutti gli animali in Scozia) e ci osservano curiose e placide, sfiorandoci con le lunghe corna.
Ci dirigiamo infine a Plockton (380 abitanti), dove non riusciamo a mangiare all’Inn che serve favolosi piatti di pesce ; ci accontentiamo di una cena da asporto consumata in riva al mare, in compagnia di ragazzi che fanno il bagno (in acque gelide) e di famiglie che fanno picnic serali suonando la cornamusa. Belle casette affacciate al mare; in un negozio una tazza ironica annovera il villaggio tra le grandi metropoli : NEW YORK-LONDON-PARIS-PLOCKTON. Noi siamo d’accordo ….
Sentiamo già la nostalgia dei paesaggi di Skye per cui decidiamo di ritornare al porticciolo di Kyleakin : ancora non troviamo le lontre, ma vediamo una grande medusa che nuota sinuosa nel porto, con un’alternanza regolare di allargamenti e propulsioni quasi ipnotica. Penso che sia una medusa criniera di leone (Cyanea capillata) una delle più grandi specie conosciute (ombrella di 30-50 cm, con tentacoli che possono raggiungere i 10 metri) tipica delle acque fredde più settentrionali; l’ombrella ha otto lobi, che diventano più evidenti con l’età, e le conferiscono l’aspetto di una stella a otto punte. I tentacoli esterni, più chiari, sono quelli fortemente urticanti . Probabilmente è una cucciolina perché alla fine del loro primo anno di vita tendono a ritirarsi in baie chiuse, anche in gruppi molto estesi. In mare aperto i loro folti tentacoli offrono riparo sicuro dai predatori a molti pesciolini ; per fare lunghi tragitti si affidano alle correnti oceaniche.
Wikipedia : Questa medusa, piuttosto diffusa nelle acque del nord dell’Inghilterra e soprattutto della Scozia, è comparsa come vera e propria antagonista del celebre detective Sherlock Holmes nel racconto La criniera del leone (The Adventure of the Lion’s Mane, 1926), pubblicato nella raccolta Il taccuino di Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle. In questa storia breve, oltretutto eccezionalmente narrata in prima persona dallo stesso Holmes (per una volta non accompagnato dal fido Watson) l’investigatore londinese tenta di far luce sulla misteriosa morte di un giovane insegnante, trovato morto su una spiaggia inglese, con la schiena ricoperta di un gran numero di bruciature e senza alcuna traccia di accessi alla spiaggia da parte dell’assassino. Dopo una dettagliata indagine secondo il suo tipico metodo dell’analisi deduttiva, che lo porta ad escludere ogni possibile coinvolgimento umano, il detective intuisce (sulla base di un episodio analogo del quale aveva letto anni prima) che si possa trattare di questa medusa e, correndo alla spiaggia, riesce con altri ad individuare in mare e a uccidere con un lancio di pietre l’animale. Nella realtà, la puntura di C. capillata, benché dolorosa, non risulta fatale per gli esseri umani, a meno di predisposizioni o di reazioni allergiche, cosa che effettivamente poteva essere attribuita al personaggio del racconto il quale soffriva di cuore.
Dopo un incontro molto ravvicinato ed intenso con i midges che – puntuali come ragionieri – escono a godersi gli ultimi raggi di sole e ci costringono ad indossare gli orrendi ma efficaci copricapi verdi in rete fittissima, l’isola per salutarci regala un tramonto veramente impressionante : il cielo e l’acqua brillano di colori intensi : prima giallo dorato, poi rosa sempre più intenso fino al rosso ed infine viola. Per poi scolorire in un’azzurro luminoso e in un blu avvolgente. Rimarrai nei nostri cuori cara isola, ad illuminare i nostri pensieri : grazie e arrivederci ….