Domenica 24 agosto ripartiamo : visitiamo molto velocemente Treguier,
ed arriviamo a Le Sillon du Talbert, particolare formazione geologica di sabbia e pietre.
✤ La Réserve naturelle du Sillon de Talbert
La Réserve naturelle régionale du Sillon de Talbert se situe sur la commune de Pleubian, au Nord du département des Côtes-d’Armor (22). Elle comprend différents milieux littoraux et marins indissociables de la flèche littorale du Sillon de Talbert. La flèche du Sillon de Talbert d’une longueur exceptionnelle de 3,2 km est la plus grande observable en France. C’est un objet géomorphologique d’intérêt international : forme rare d’accumulation sédimentaire, remarquable cordon de galets en Europe, cordon de galets le plus mobile de Bretagne. La Réserve naturelle représente une surface de 205 ha de domaine public maritime (DPM) comprise dans un périmètre plus large de 1000 ha affectés au Conservatoire du littoral.
Lors de la dernière période glaciaire, d’importants volumes de cailloux provenant de l’éclatement de la plateforme rocheuse sous l’effet du gel ont été fournis. A cette époque, le niveau marin se situe 120 m plus bas. La déglaciation qui a suivi cette période a vu une remontée rapide du niveau marin remobilisant les cailloux présents sur la plateforme continentale, les émoussant en galets et les organisant en cordons. Par endroits, d’imposantes masses de granite ont offert des points d’appui stables sur lesquels sont venus s’accrocher ces différents cordons. Progressivement, au cours de sa remontée, la mer a fait reculer ces cordons de galets qui peu à peu se sont réunis par coalescence pour former un grand cordon barrière. Ce cordon primitif reliait l’archipel d’Ollone à la côte et cette configuration se retrouve sur les cartes anciennes, levées entre 1666 et 1675. A partir de 1750 environ, de nouvelles cartes montrent le détachement de la partie terminale du cordon des îlots d’Ollone par une brèche de 200 à 300m de long. Cette première rupture intervient probablement lors d’une forte tempête dans un contexte de pénurie sédimentaire. La forme primitive de cordon barrière évolue ainsi naturellement vers une forme de flèche littorale à pointe libre : le Sillon de Talbert. Le Sillon de Talbert est donc une forme résiduelle résultant de cet événement érosif passé. Sa formation n’est pas liée aux courants et aux apports fluviatiles du Trieux et du Jaudy. D’une longueur d’environ 3 Km, le Sillon de Talbert est l’exemple de flèche littorale à pointe libre le plus significatif de France et est remarquable au niveau européen.
Le Sillon de Talbert, dont la forme et la topographie varient suivant les portions de plage, constitue un environnement sédimentaire hétérogène. Le Sillon de Talbert est composé de sable, de graviers et de galets dans des proportions variables suivant les endroits. Le premier kilomètre de la flèche est essentiellement composé de sable à la différence des 2,2 Km restants composés majoritairement de galets. Plus d’une vingtaine de roches différentes sont actuellement connues sous forme de galets sur le Sillon de Talbert. Pour la plupart, leur provenance est à rechercher dans la géologie régionale et plus particulièrement dans le Trégor. Elles ne sont pas distribuées de manière égale sur le cordon avec une proportion plus importante de granodiorite de Talbert et microgranodiorite de Pleubian qui forment le socle du Sillon de Talbert. a flèche littorale du Sillon de Talbert est un environnement très évolutif. Les événements météo marin sont les facteurs déterminants dans l’évolution de cette flèche. Lorsque le passage d’une tempête coïncide avec une marée de vives eaux (forte hauteur d’eau), les jets de rive sont susceptibles de franchir la crête du Sillon et de déverser les sédiments accumulés au sommet vers l’arrière de la plage. La flèche recule ainsi naturellement vers le sud-est. À l’heure actuelle ce recul est estimé à environ 2 m par an en moyenne. C’est le cordon de galets le plus mobile de Bretagne. En période de calme météo marin le cordon tend plutôt à s’exhausser car les événements météo marin morphogènes sont limités.La dérive littorale (courant marin longitudinal) joue également un rôle important dans le transfert des sédiments le long de la flèche en les transportant vers sa pointe favorisant une accumulation qui donne au Sillon sa forme caractéristique de « spatule » dans sa partie terminale. Les évolutions du Sillon de Talbert sont mesurées et suivies dans le cadre des travaux scientifiques de la Réserve naturelle.
Proseguiamo il nostro percorso e ci fermiamo all’Abbazia di Beauport : le rovine della cattedrale e del chiostro affacciate sul mare sono davvero magiche . L’abbazia è il punto di partenza di uno dei cammini di Santiago di Compostela : il km. zero. La visitiamo senza fretta e ci lasciamo incantare dalla sua atmosfera , fermandoci anche a fotografare le rondini in volo (o meglio tentare di fotografare). Lasciandoci trasportare da questo rilassato pomeriggio, perdiamo tutte le altre tappe previste per la giornata.
Costruita all’ inizio del XIII secolo, l’abbazia marittima di Beauport si trova nella Côtes-d’Armor, nel comune di Paimpol, nel villaggio di Kérity. Affacciato sul mare, in un ambiente naturale preservato, il complesso monastico è classificato Monumento Storicoe il suo sito è protetto dal Conservatoire du Littoral.
Caratterizzata dalla sua duplice vocazione di accoglienza dei pellegrini e di centro commerciale marittimo, l’abbazia, in stile gotico, è incastonata in un ambiente magnifico, con il suo roseto, i frutteti, le paludi e il porto riparato.Questa oasi di pace è aperta ai visitatori. Costruita attorno ad un chiostro, l’abbazia di Beauport comprende una chiesa, un refettorio, una sala capitolare e alcune cantine, una sala dedicata ai religiosi e un’altra dedicata agli ospiti. La funzione del “Bâtiment au Duc”, situato all’esterno del recinto monastico, rimane oscura: scavi archeologici hanno scoperto alcune fornaci per il bronzo. Nel XX secolo l’edificio è stato trasformato in una fabbrica di sidro.L’abbazia divenne proprietà privata dopo la Rivoluzione. Oggi, con il sostegno del Conservatoire du Littoral, che ne tutela la fauna e la flora, la riqualificazione ha permesso di aprire ai visitatori questa superba testimonianza del patrimonio architettonico bretone.
Approdiamo a St. Brieuc al Camping des Vallees , dove finalmente riusciamo a fare una bella e scrosciante doccia calda (dopo aver capito come si apriva il rubinetto). Anche oggi 8 km a piedi.
Lunedì 25 agosto decidiamo di trasferirci in Mont St. Michel : con qualche malumore rinunciamo a molte tappe per cogliere le ultime giornate di sole ; inoltre l’area di St. Malò e Dinan non offre sistemazioni comode per la visita, e oramai il tempo restante ci costringe a fare delle scelte drastiche e rinunciare anche a Cap Frehel . Per consolarci un po’ iniziamo a pensare che vorremmo tornare per recuperare molte delle tappe lasciate indietro ; e per godere della stagione delle fioriture (maggio-giugno). Parcheggiamo nell’area di sosta a 5 km dal monte (vedendo poi che sarebbe stato più comodo entrare nel bel campeggio adiacente alla diga ed alla fermata delle navette.
Una delle particolarità del Mont-Saint-Michel è quella d’innalzarsi su un isolotto roccioso circondato da una magnifica baia, teatro delle più grandi maree dell’Europa continentale. Il Mont e la sua baia sono classificati nel patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1979. I lavori di ripristino del carattere marittimo del Mont-Saint-Michel, iniziati nel 2005 e conclusi nel 2015, vi offrono la possibilità di vedere questo luogo unico sotto una nuova luce. È l’inizio di una nuova pagina nella storia del Mont: se nulla fosse stato intrapreso, nel 2040 il Mont-Saint-Michel si sarebbe ritrovato circondato da prés salés (prati salati). La scelta di questo luogo da parte dei monaci del Medio Evo fu determinata dall’ambiente marittimo, essi si stabilirono in questo luogo preciso e costruirono quello che sarebbe diventato uno degli edifici più straordinari dell’architettura religiosa. Il vescovo d’Avranches, Aubert, avrebbe fondato un santuario nel 708 sul Mont-Tombe dopo tre apparizioni successive dell’arcangelo San Michele. Il momento culminante della visita è, senza alcun dubbio, la visita dell’abbazia che sovrasta l’immensità della baia. La baia del Mont-Saint-Michel è teatro delle più grandi maree d’Europa continentale. Venite a vedere le grandi maree e ammirate lo spettacolo che vi offre la natura! Alcuni giorni dell’anno si prestano maggiormente per osservare il fenomeno. Non appena il coefficiente di marea supera 110, il Mont ridiventa un’isola nel giro di poche ore. L’acqua ricopre il guado sommergibile e la rocca rimane senza accesso al continente.
Per osservare il fenomeno dell’alta marea e l’arrivo del mascheretto, è consigliato di essere presenti 2 ore prima dell’orario di alta marea. Osservate il fenomeno dal Mont, le mura, la terrazza dell’Ovest (sagrato dell’Abbazia il cui accesso è compreso nella visita), o il nuovo ponte-passerella. La baia dispone di molti punti d’osservazione privilegiati come Roche Torin a Courtils, Grouin du Sud a Vains-Saint-Léonard o ancora Gué de l’Epine a Val-Saint-Père.
Pedalata fino alla diga che controlla la risalita delle acque marine della marea ; da qui si prosegue con una navetta gratuita che porta i turisti al Monte, a ciclo continuo. Visita veloce al borgo e all’ufficio turistico (dove prenotiamo la camminata nella baia) . La passeggiata a piedi nudi nella baia con la bassa marea è una esperienza indimenticabile : la sabbia è argillosa – e questa particolare composizione che rende il fondale molto stabile, è uno dei motivi che sono all’origine della grande marea. La guida ci insegna un metodo per affondare e per risalire : tutti sembrano tornare un po’ bambini che giocano con il fango.
Prima del tramonto facciamo la passeggiata sulle mura e riusciamo e trovare il nostro posto di osservazione per ammirare l’incredibile spettacolo dell’arrivo dell’alta marea. Casualmente abbiamo avuto la fortuna di vedere un’alta marea di coefficiente elevato ( 91/110) : al di sopra del coefficiente di 90 si vede il fenomeno del mascheretto, cioè l’arrivo delle onde che corrono veloci sulla spiaggia, cambiando velocemente i riflessi delle aree bagnate che si allargano sempre piu’ , con i gabbiani che si lasciano trasportare, ci volano sopra, la precedono giocando, fino a radunarsi tutti in cerchio nell’ultima area di sabbia, sempre piu’ piccola, ad attendere l’arrivo dell’acqua sulla quale lasciarsi galleggiare. Ed ammiriamo l’incantevole tramonto che questa giornata ci regala : l’unico tramonto tinto di rosa di questa vacanza. La luce è indescrivibile e non riusciamo a smettere di ammirare, adorare e fotografare ; e non riesco neppure a cancellare alcune delle foto, doppie, triple. Vorremmo davvero tenere per sempre questo sguardo nei nostri occhi.
(In tutto facciamo 9 km a piedi e 11 in bicicletta).
Martedì 26 agosto ci svegliamo sotto un cielo nuvoloso : pedalata al monte – con sosta nei prati di pascolo per foto panoramica – per la visita della Cattedrale (direi quasi d’obbligo) , prenotata per le 11 ; nonostante l’anticipo riusciamo ad entrare solo un’ora dopo. Qui ci sono due maree : quella marina e quella umana, che scorre inarrestabile nelle strette viuzze (si tratta del secondo monumento più visitato in Francia, dopo la Tour Eiffell). La salita alla cattedrale è molto affollata ; controlli di sicurezza, mostra di fotografie del Monte e visita in autonomia. Mont St. Michel conta meno di 40 abitanti, quasi tutti compresi nella comunità religiosa della cattedrale : le monache ed i frati che abitano l’Abbazia sembrano peraltro del tutto indifferenti al continuo flusso di persone e non esitano a farci uscire dalla chiesa per la messa del mattino, a loro riservata.
Usciamo sotto la pioggia battente e decidiamo di arrivare ad un ristorante vicino alla diga (bagnati fradici nonostante le giacche) , sperando nel miglioramento del tempo previsto dal meteo. Pranziamo a La Ferme di Mont St. Michel : tutto buono, seppure non memorabile (uovo in camicia con salsa ; mousse di melanzane con verdure al limone ; trancio di merluzzo con verdure ; polletto arrosto con patate schiacciate e salsa al limone ; gatzpacho di frutta fresca con salsa pinacolada ; assaggio di formaggio bretone con insalatina e pinoli). All’uscita altre foto alle rondini nel nido ; mentre i quattro piccoli aspettano nel nido spalancando il becco al momento giusto, sfrecciano ad una velocità tale che è veramente difficile fare le fotografie : quando mi rendo conto che sono arrivate e scatto, se ne sono già andate. E mentre osservo i due genitori andare avanti e indietro con gustosi insetti nel becco, penso alla forza di questi minuscoli uccelli. Ogni anno arrivano dall’Africa insieme alla primavera, ritrovando il proprio nido, riparandolo affinchè protegga la nuova nidiata ; depongono le uova ; nutrono i piccoli rondinini e li addestrano velocemente alla vita. E con l’autunno sono pronte per affrontare un nuovo viaggio di migliaia di chilometri sfidando le tempeste, per ritornare al caldo.
Troviamo un bellissimo cielo azzurro abitato da spumeggianti nuvole bianchissime. E quindi ci facciamo la nostra bella biciclettata sulla ciclabile che corre sulla sponda a est del monte, che ci osserva sempre all’orizzonte. La luce, il paesaggio brullo , giallo, rosso e verde, abitato da migliaia di pecore, sono un vero incanto, una vera e propria galleria d’arte. Ritorniamo nel campo dove tentiamo di ripetere uno dei più famosi scatti del Monte. La sera il rientro viene interrotto dal rientro delle greggi nei fienili, con i pastori 2.0 che le radunano correndo negli immensi pascoli a bordo di luccicanti quad. L’ultimo gregge, che è costretto ad attraversare la strada per raggiungere il proprio ovile, viene gestito da un magnifico border collie, che è molto di più di un capace operatore : non sbaglia una mossa, mantenendo il gregge compatto e conducendolo con precisione millimetrica nella giusta direzione. E terminato il proprio compito salta velocissimo sulla sua postazione nel quad, impassibile come un soldato. Il pastore non deve fare altro che dargli il via ed alla fine dare un cenno di approvazione del lavoro.
Mercoledì 27 agosto ripartiamo sotto un cielo molto grigio che ci regala scrosci di pioggia. Il clima è perfettamente allineato con le emozioni suscitate dalle visite di oggi, che ripercorrono alcuni luoghi e le drammatiche vicende dello sbarco degli alleati in Normandia . E la storia prende vita di fronte ai nostri occhi in ogni paese, in ogni strada, disseminati delle fotografie dell’arrivo degli alleati, delle fotografie e dei nomi, dei racconti, dei fatti e delle persone lì dove sono avvenuti gli eventi ; le trincee, i cimiteri, i buchi delle bombe, i piccoli musei popolari allestiti nelle piccole chiese, che raccolgono cimeli e ricordi non più solo individuali, ma di una intera collettività, che porta orgogliosamente e dolorosamente il ricordo della propria storia.
Pointe du Hoc ; Omaha Beach ; l’impressionante Cimitero americano di Colleville sur Mer, dove ogni mattina e ogni sera si svolgono la cerimonia di alzabandiera e ammainabandiera ; Arromanches le Bains, dove Churchill organizzò sin dal 1942 la costruzione dell’enorme porto servito per il supporto logistico dell’intera operazione. Sulla spiaggia il cielo cupo e minaccioso sembra partecipare al nostro stato d’animo .
Dormiamo nella piccola area di sosta di Leon sur Mer.
Giovedì 28 agosto , Venerdì 29 agosto, Sabato 30 agosto
Partiamo, oramai sulla via del ritorno, diretti a Caen. Parcheggiamo proprio dietro all’area del castello . Dove visitiamo – un pò di corsa – il Musee des Beaux Arts ; le mura del castello con vista panoramica della città ; le vie pedonali del centro che ci portano al Palace de Justice, l’ Abbaye aux Hommes (con la mostra L’oie de le collecteur) , l’ Eglise St. Etienne (famosa sin dall’antichità per le sue bellissime le vetrate dai colori intensi) .
Purtroppo non ci abbandona il pensiero molesto di essere alla fine della nostra vacanza e di dover oramai solo affrontare il viaggio di ritorno : pensiero rinforzato dalla pioggia scrosciante che ci impedirà di fare altre visite di trasferimento. Giovedì dormiamo nel parcheggio gratuito con servizi (carico, scarico, elettricità) nel parcheggio di un comune di cui abbiamo dimenticato il nome. Passeggiamo verso il centro del paese per sgranchire le gambe : inizialmente ci sembra del tutto anonimo e trascurato, poi scopriamo una sua bellezza raccolta nel piccolo centro storico, con la cattedrale che svetta nella piazza stretta tra i vicoli in cui si sporgono le case a graticcio, piccoli canali. Ma la trasandatezza generale, i rifiuti nelle strade, i marciapiedi dove si susseguono profonde buche, l’abbandono di molte abitazioni chiuse e scrostate, purtroppo rovinano l’impressione generale del paese : e ci assale lo sconforto della bellezza trascurata ed offesa. Venerdì sera entriamo nell’area di sosta sotto Digione, che pure rinunciamo a vedere per la pioggia che continua e ci accompagna fino a casa, dove approdiamo alle 18, accolti a gran voce dalle micette.
Giovedì 21 agosto riusciamo ad entrare nel’affollata area situata nel cuore della costa di granito rosa, che ci consentirà di visitarla tutta a piedi, utilizzando anche la comoda fermata dei bus di Le Ranoilien per i rientri serali. Siamo contenti di aver rinunciato a varie tappe del nostro percorso (che avrebbe richiesto almeno un mese completo), perche i prossimi tre giorni ci regaleranno l’incontro con un territorio indimenticabile .
Nel cuore della Cotes d’Armor, in uno degli angoli più affascinanti della Bretagna, si trova la Costa di Granito Rosa: la roccia, in questo tratto di mare, è caratterizzata da una incredibile colorazione rosa e si presenterà a voi in forme spesso bizzarre e stravaganti, che si alternano a insenature verdissime e vivaci stazioni balneari. Il colore rosa dei graniti è dovuto a una particolare miscela di quarzo, mica, feldspato e ossido di ferro. Dopo l’ossidazione ad una temperatura di circa 800 ° C, il granito diventa rosa. Questo è un fenomeno raro che si è verificato solo in Bretagna, in Corsica e in Cina. La costa di granito rosa si estende per circa 16 km dalla città di Trébeurden a Perros-Guirec, attraversando 4 comuni tra cui Trébeurden, Pleumer-Bodou, Trégastel e Perros-Guirec. Ogni città ha il suo angolo di paradiso che vale la pena esplorare. – https://www.franciaturismo.net/bretagna/cotes-darmor/perros-guirec-costa-granito-rosa/
Il primo giorno partiamo alla grande: il cielo è azzurro e limpido, il sole caldo, facciamo una stupenda passeggiata di 8 km (che potrebbero essere 80 per la meraviglia che continuamente si apre al nostro sguardo ) lungo il sentiero dei doganieri, da Perros Guirec a la spiaggia di Saint Guirec. Facciamo il nostro picnic appollaiati in una bellissima roccia di granito, che ci rinfresca anche un po’. Ovunque guardiamo scopriamo solo la Meraviglia : enormi massi rosa, scolpiti dal mare, dalla pioggia e dal vento, dalle forme più fantasiose ed evocative . Rocce da scalare, su cui stare in precario equilibrio protesi nella brezza respirando il mare, nelle quali sdraiarsi, accoccolarsi, sulle quali sedersi contemplando la bellezza, dalle forme sempre e sempre ed ancora nuove ovunque il nostro sguardo si posi. Fino ai due massi che si baciano, proprio sotto al Faro.
Rimaniamo abbastanza stupiti dalla totale assenza di strutture balneari pubbliche : in Francia le coste ed il mare sono di tutti ; ed ammiriamo anche la presenza di molte bellissime abitazione appollaiate tra i massi della costa, senza rovinare o invadere l’ambiente . Arrivati alla spiaggia facciamo una passeggiata nel borgo e facciamo alcuni acquisti (un bellissimo cappello antipioggia giallo, una morbidissima felpa a righe per Gabriele, ed una calda felpa blu per me) e ci gustiamo un buon gelato (scopro il limone al basilico).
Venerdì 22 agosto sempre baciati dal sole e da un cielo azzurro e limpido, decidiamo di completare il sentiero dei doganieri con il tratto – meno affollato ma altrettanto spettacolare – che va dal Moulin a Maree di Tregastel (un mulino azionato dalle maree : quando cresce la marea, l’acqua del mare riempie un grande bacino intrappolato da chiuse , ed il deflusso dell’acqua verso il mare viene incanalato in due stretti passaggi che muovono le ruote e le macine del mulino) e attraversa tutte le spiagge (Sant’Anna, Coz Pors…) affacciate sull’arcipelago delle Septe Iles (riserva integrale che permette la nidificazioni di molti uccelli) e compie il periplo de l’Ile Renote (in realtà una penisola). Al mattino costeggiamo ampie spiagge in bassa marea, con le barche arenate ; le stesse spiagge la sera saranno completamente riconquistate dal mare : cambiano i colori, le forme, i riflessi, l’atmosfera, nel continuo divenire di un paesaggio vivo, che respira e si muove.
Ci concediamo il nostro primo ed ottimo pranzo di pesce (con un buon bicchiere di vino bianco) al ristorante Le Transat : zuppa di pesce, baccalà mantecato su tortino di bietola rossa, piccole cozze alla marinara (ci spiegano che rimangono così piccole per l’alternarsi dell’alta e bassa marea), un trancio di merluzzo alla marinara (con molte verdurine). Dopo 14 Km. a piedi, ed una spesa serale, decidiamo di rientrare in bus. Procedendo per il sentiero sulla costa incontriamo sempre nuovi e spettacolari panorami, che sembrano non finire mai : nel mare si stagliano scogliere affioranti, i profili delle sette isole, in un susseguirsi infinito di orizzonti .
Sabato 23 agosto ci spostiamo di poco verso est e ci trasferiamo all’area di sosta di Trevou-Treguignec, sempre accompagnati dal sole e dall’azzurro. Partiamo immediatamente per una importante biciclettata (38 Km) tutti in salita/discesa associata ad un bel percorso a piedi (7 Km) , che ci portano lungo la costa fino a la Pointe du Chateau. Non abbiamo portato niente da mangiare, ma per fortuna a Port Blanc troviamo lo spettacolare Restaurant de Le Grand Hotel de Port Blanc : a parte il nome ridondante, si tratta di una piccolissima frazione di Penvenan (tutta l’ampia area comunale conta 2700 abitanti) : il piccolo borgo sembra ospitare più barche che case. Mangiamo le moules marine’, un piatto di gamberetti e maionese, un piatto di pesce freddo (con una mousse di merluzzo e cipollotti fantastica, sgombro ed altri pesci affumicati). Procedendo, le spiagge diventano sempre più brulle, quasi un deserto roccioso affacciato sul mare.
Dopo molte salite e discese, arriviamo infine alla Pointe du Chateau, dove ritroviamo la casa del guardiacoste , magicamente incastonata tra due rocce annidate su uno scoglio che la protegge dal mare.
L’immagine della casetta costruita tra le rocce sul mare è diventata famosissima dopo essere stata una delle copertine memorabili della rivista Bell’Europa : il mare punteggiato di scogli affioranti, la risacca delle onde sugli scogli, creano un’atmosfera potente e minacciosa, in cui offre la piccola casetta costruita tra le rocce crea un rifugio caloroso e sicuro , rispecchiandosi nella ferma superficie della spiaggetta circolare, che rivive e respira con le maree .
L’arrivo però ci riserva una piccola delusione : la casa è ora abitata dal nipote del vecchio proprietario, che giustamente impedisce l’avvicinamento dei turisti anche per evitare il danneggiamento dell’area naturale, ma – cosa più disturbante – parcheggia la propria automobile (e quelle degli ospiti) di fronte alla bellissima casetta. Non posso dargli torto : anch’io abiterei questo paradiso, ma forse un riparo per l’auto lo si potrebbe trovare.
Alla maison de littoral vediamo una bella esposizione delle bellissime fotografie di Theo Maynier : la scelta della stampa in bianco e nero dona alle immagini del mare una immediata centratura sulla vita dei suoi abitanti e ci porta a nuotare insieme a loro e ad interrogarci sulla loro esistenza.
La pedalata di rientro è un po’ faticosa, e fortunatamente troviamo una scorciatoria distante dal mare ma abbastanza pianeggiante. Abbiamo gli occhi e il cuore pieno della gioia, dell’energia, della luce, dei colori, del vento , dei sapori che hanno riempito queste giornate.
Da alcuni anni non riusciamo a fare vacanze che siano vacanze, rinforzando l’impressione funesta che fosse finita una fase della nostra vita : da due anni si sono alternati eventi felici ed altri tristi .
In questo succedersi di eventi tutto sembrava congiurare anche contro la semplice idea di partire (anche il guasto definitivo del frigorifero del camper proprio a luglio). Per cui ci siamo lasciati andare al fato : che attraverso il matrimonio di amici di nostra figlia a Plougastel St. Germain ci ha portati in Bretagna per la settimana del matrimonio (dal 12 al 17 agosto 2025) – noi e metà della nostra attrezzatura di cucina , sistemata in vari scatoloni, che ci hanno poi accompagnato in tutta la vacanza, ben allineati ed incastrati sul sedile della dinette.
Trattandosi di un viaggio piuttosto lungo (oltre 1300 Km) , che ci portava all’estremità di una regione incantevole come la Bretagna – meta del nostro primo viaggio in camper nel lontano 1994 – abbiamo pensato che tutto si incastrava in modo armonioso e perfetto, come solo il fato sa fare : matrimoni presenti e passati, nostro 40 anniversario di convivenza, primo giro in camper, vacanza ….. E quindi non abbiamo fatto altro che cavalcare l’onda della nostra vita …..
Le ultime settimane e soprattutto gli ultimi giorni prima della partenza sono stati veramente frenetici : preparativi viaggio, camper e matrimonio ; sistemazione del ballatoio e del balcone ; gita in val Formazza ; vari incontri con il serramentista per finestra e tapparelle ; gita in treno a Firenze insieme a nostra figlia (cabin crew della British Airways) , che tra un volo e l’altro il giorno dopo è anche venuta a casa per andare dalla parrucchiera e cenare con Alida.
Finalmente alle 17 di sabato 9 agosto, dopo un carico camper molto faticoso sotto lo sguardo smarrito e deluso di Sky e il miagolio sconsolato di Nebbia, siamo riusciti a partire. Dopo 240 km. arriviamo al lago artificiale del Moncenisio, dove tutte le aree di parcheggio sono affollate e abbiamo faticato a trovare un posto di sosta a bordo strada : gran bel freschino, passare dai 39 gradi di casa ai 20 serali del passo. Lo stato d’animo è insicuro, incerto, ci sembra quasi di non farcela, quasi di affrontare una avventura troppo grande. Facciamo giusto in tempo a scattare due foto ed è già buio pesto; al mattino altre due foto, colazione e partenza. Iniziamo ad attraversare paesaggi bellissimi e ad affrontare il velato rammarico per il continuo distacco .
Domenica 10 agosto è una intera giornata di viaggio intenso : Gabriele guida per 740 km. per approdare al Camping Municipal di Cinq Mars la Pile (vicino a Tours), molto vicino all’autostrada : sistemazione molto confortevole in grandissima area erbosa alberata. Cena e buonanotte.
Lunedì 11 agosto ripartiamo diretti a Carnac, dove vorremmo fare l’unica sosta del viaggio di andata, per sgranchire le gambe e per visitare il sito degli allineamenti di megaliti : annullato il resto del programma di tappe sulla costa ovest impossibili da recuperare. Dopo 325 Km. di traffico intenso arriviamo alla affollatissima Carnac : vano il tentativo di trovare un posto in area attrezzata. Tutto pieno e caldissimo (unico giorno con oltre 30 gradi) ; alla fine troviamo posto al sole in un parcheggio per camper, senza elettricità (che scopriremo essere per noi indispensabile : nonostante il sole cocente, la batteria interna non è sufficiente a sostenere il nuovo frigorifero, che raffredda benissimo, ma consuma l’intera carica nel corso della notte e prima di mattina non abbiamo più luce). Nonostante la stanchezza partiamo per la visita al sito dei megaliti, con le idee un po’ confuse : abbiamo già prenotato l’ingresso, ma dobbiamo passare a vidimare i biglietti alla Maison des Megalithes, dove ci diranno in quale campo faremo la nostra visita guidata. Ci dirigiamo quindi verso la Maison, scoprendo con meraviglia che percorriamo un sentiero che circonda ogni campo dei vari allignements : la visione è meravigliosa, stupefacente, entusiasmante. Fiancheggiamo le lunghissime file dei megaliti, gli enormi massi che si ergono come sacerdoti eterni, ordinati in lunghissime file, che solo nella fuga della prospettiva – che sembra senza fine – sembrano rimpicciolirsi. E pensiamo a quante stagioni hanno scandito il ritmo del tempo e quante vicende si siano succedute intorno a loro, silenziosi testimoni della storia. Che cosa rappresentassero o quale funzione svolgessero questi enormi massi eretti in file ordinate che corrono da est ad ovest, dall’alba al tramonto, dall’entroterra al mare, rimane un enorme mistero. Molto meno entusiasmante si rivela la visita guidata, condotta in un campo posizionato esattamente dietro al nostro parcheggio : per cui dobbiamo rifare tutto il percorso inverso di corsa – per non arrivare in ritardo- perdendo anche la possibilità di visitare il centro di documentazione della Maison (per la quale non abbiamo le forze di rifare l’intero percorso di 2 km avanti e indietro, di nuovo di corsa, perché i tempi sono ristrettissimi ) ; inoltre la visita guidata si traduce in alcune tappe all’interno del campo di Allignements di Loqmarier, nel quale veniamo chiusi, durante le quali dovremo ascoltare la nostra guida – del tutto indifferente a qualsiasi sollecitazione o richiesta – stando in piedi fermi sotto il sole a picco, con 36 gradi di temperatura : neppure lo svenimento di una ragazzina, che poi prosegue tutta la visita rimanendo seduta a terra smuove la indefessa ragazza che continua a parlare, ponendo a se stessa continui quesiti ai quali fornisce risposte di cui non riusciamo a capire granchè. Si sofferma a lungo nella descrizione dell’erbetta che circonda i megaliti : sembra che la differenza tra un megalite che sta ancora in piedi ed uno caduto al suolo sia da ricondursi alle solo apparentemente fragili erbette che ricoprono il terreno, lo rinforzano tanto da fornire una solida base alle millenarie rocce. Tutto ciò invidiando le persone fuori dal recinto, che possono vedere esattamente le stesse cose che vediamo noi, senza aver pagato il biglietto, ma soprattutto passeggiando liberamente e tranquillamente all’ombra di qualche alberello , senza dover sopportare la tortura di lunghissime soste inutili ed un soliloquio di cui non capiamo quasi nulla. Comunque tutti i campi sono aperti e visitabili gratuitamente da ottobre ad aprile : e penso a quale meraviglia possa essere vivere tra queste pietre millenarie, risvegliarsi alle prime luci dell’alba insieme al loro maestoso orgoglio , e addormentarsi nell’ombra lunare di rocce testimoni di antichi segreti, osservare il cambiare delle stagioni, l’arrivo delle nuvole, guardare il cambiamento dei loro colori con il variare della luce e del cielo al quale si tendono ….
Nella suggestiva campagna bretone, in Francia, e più precisamente a 4 km dalla baia di Plouharnel, sull’oceano, vi sono circa3000 (TREMILA) megaliti: si tratta degli allineamenti di Carnac, tra i più estesi complessi megalitici al mondo. Risalgono al Neolitico (l’ ultimo dei tre periodi che costituiscono età della pietra, che va dall’ 8000 al 3500 a.C. : in questo periodo, oltre alla levigatura della pietra, iniziano a svilupparsi la ceramica, l’agricoltura, l’allevamento, con l’evoluzione di strutture famigliari e la trasmissione di beni all’interno del clan).
Si tratta di tanti menhir posti a formare dei cerchi oppure allineati in file molto lunghe. Vi sono poi dei menhir isolati oltre che dei tumuli e dei dolmen.
Menhir deriva dal bretone men e hir “pietra lunga”. I Menhir sono dei megaliti monolitici di epoca neolitica di enormi dimensioni: alcuni raggiungono i 20 metri.
I tumuli e i dolmen sono tombe :
un tumulo è una sorta di montagna o collina artificiale, fatta di terra e pietre, costruita sopra una o più sepolture.
un dolmen è un tipo di tomba preistorica megalitica, costituita da una camera spesso interrata.
Gli allineamenti di Carnac sono molto estesi, e suddivisi in diversi campi ; i più importanti allineamenti sono: Le Ménec, Kermario, Kerlescan et Le Petit Ménec.
Le Ménec sono allineamenti di oltre 1000 menhir, divisi in 11 file su un’area lunga 950 m, i menhir più alti hanno un’altezza di 4 metri. È poi presente un prolungamento orientale e una serie di menhir isolati a est.
Vi è inoltre un enorme cerchio formato da 71 menhir all’interno del quale sorge l’omonimo villaggio di Le Ménec. Tra i menhir che circondano il villaggio vi è il famoso Grande menhir spezzato, noto anche con il nome “Pietra delle fate”, risale al 4500 a.C. ed è enorme: alto 20 metri, largo 3 metri e pesante 300 tonnellate circa. Originariamente era parte di un allineamento, lungo circa 55 metri, composto da una ventina di menhir posti in ordine di grandezza. Oggi il menhir non è eretto ma appare abbattuto al suolo e spezzato in 4 parti. Non si sa quando e perché il menhir venne abbattuto: in ogni caso, in base alle ricerche archeologiche, pare che la distruzione avvenne circa 2 o 3 secoli dopo la sua costruzione. Questo gigante era noto sin dall’epoca dei romani che lo chiamavano “Colonna del Nord” e lo usavano come punto di riferimento per identificare la strada che portava al porto del Golfo del Morbihan. L’enorme menhir venne realizzato in granito, un granito che, a differenza di quello degli altri menhir di Carnac, proveniva da un’altra zona sita a circa a 15 km e trasportato qui non si sa come. Vennero probabilmente usate delle strutture in legno e un sistema di leve per issare l’enorme pietra, poi vennero usati strumenti in quarzo per levigarla.
Kermario è costituito da 980 menhir circa suddivisi in 11 file, vi è anche un dolmen. Questo è stato per molto tempo la parte più famosa e visitata degli allineamenti ; infatti è oggi quella più rovinata ed erosa proprio a causa dei troppi visitatori non sempre rispettosi. Inoltre nel XIX secolo qui è stato costruito un canale che ha distrutto parte delle pietre, modificando lo scenario.
Vicino a questo vi è il Quadrilatero di Le Manio. Si tratta di un recinto rettangolare di 37 metri x 7 metri costituito da pietre di granito tutte alte un metro circa. A queste fa eccezione il Gigante di Manio, un menhir alto circa 6,5 metri.
Le Kerlescan et Le Petit Ménec sono allineamenti di 540 menhir divisi in 11 file.
Questi menhir sono giunti fino a noi molto ben conservati, almeno lo erano fino alla fine dell’Ottocento, quando hanno iniziato ad essere saccheggiati da “antiquari”, appassionati e vandali. D’altronde un po’ tutti gli allineamenti di Carnac hanno avuto questa sorte: considerate che per secoli queste pietre sono state usate come materiale da costruzione per case, strade e ponti! Inoltre molti menhir sono stati anche spostati o distrutti per far spazio alle attività agricole.
Come per tutti i grandi monumenti neolitici non è conosciuto il motivo della loro costruzione, con massi che venivano trasportati da altre regioni . Chi glielo ha fatto fare a quegli uomini e donne del Neolitico di fare tutta questa fatica?? Di rischiare di farsi male o addirittura morire schiacciati da questi giganteschi massi per costruire gli allineamenti di Carnac? Le ipotesi sul perché vennero costruiti gli allineamenti di Carnac sono molte: steli funerarie, calendari solari, un tempio a cielo aperto, una sorta di sismografo primitivo.
In passato alcuni studiosi hanno anche proposto teorie strampalate.. Come il fatto che questo fosse un antico campo militare romano oppure una sorta di segnalazione per indicare i campi o zone d’affluenza delle falde sotterranee acquifere e metallifere.
E poi ci sono le leggende!
Gli allineamenti di Carnac hanno stimolato la fantasia popolare: sono tantissime le leggende che circolano su di esse! Secondo alcune leggende queste pietre sarebbero persone pietrificate da divinità per punirle di azioni malvagie commesse: ad esempio sono molte le leggende sulla pietrificazione dei soldati romani venuti ad invadere le terre bretoni. Per altre leggende le pietre sarebbero vive e si animerebbero e andrebbero ad abbeverarsi in alcuni periodi dell’anno. In altre potrebbero uccidere o maledire coloro che tentano di danneggiarle!
Comunque gli allineamenti di Carnac i menhir sono diventati un vero simbolo della Bretagna francese, anche grazie ai fumetti di Asterix. Asterix (nell’originale francese Astérix o Astérix le Gaulois) è una serie a fumetti francese di genere umoristico/avventuroso, creata da René Goscinny (testi) e Albert Uderzo (disegni), pubblicata a partire dal 1959 e tradotta in molte lingue. Sono stati fatti anche diversi film. Asterix è famoso: il fumetto ha venduto oltre 200 milioni di copie. Ambientato nell’antica Gallia al tempo di Giulio Cesare, attorno al 50 a.C., il fumetto ha per protagonisti il guerriero gallo Asterix, il suo miglior amico Obelix e gli altri abitanti di un villaggio gallico sito nell’attuale Bretagna. Circondato dagli accampamenti romani, il piccolo villaggio gallico rimane l’unico pezzo di Gallia libero dal dominio romano: questo grazie alla pozione magica preparata dal druido Panoramix, in grado di rendere fortissimo, anche se per brevi periodi di tempo, chi la beve. Obelix, l’amico di Asterix, è caduto da bambino nella pozione magica e questo fatto lo ha reso fortissimo per sempre: placido, gioviale e non proprio sveglissimo, il grasso (anzi, come dice lui, “robusto, non grasso!”) Obelix va spesso in giro portandosi dietro un enorme menhir in granito!
Rientriamo stremati nel nostro camper surriscaldato ; per fortuna la sera l’aria rinfresca decisamente e verso le 23 anche il nostro Biagio 2.0 è un po’ piu fresco. Chiacchieriamo con una coppia di giovani camperisti toscani, che ci chiedono informazioni su Londra e l’Inghilterra in generale ; manderemo un po’ di notizie pratiche -che ho già scritto e salvato- e qualche diario di viaggio, per fornire qualche idea. Notte molto buia : verso mattina smettono di funzionare tutte le luci e Mattarelli entra immediatamente in modalità allerta rossa, accendendo il motore per ricaricare la batteria interna. Da ora in avanti il nostro destino è segnato : solo aree con attacco elettrico (salvo emergenze).
Martedì 12 agosto, dopo un veloce passaggio alla Maison des Megalithes percorriamo gli ultimi trafficati 130 km. e corriamo a Plougastel St. Germain , sotto Brest . Seguirà una intensa settimana di lavoro, emozioni e divertimento per i preparativi ed il matrimonio. Alla fine della quale corriamo verso il mare a Ruscumunoc , dove abbiamo un appuntamento con il tramonto e dove iniziano ufficialmente le nostre vacanze in Bretagna.
Lunedì 18 agosto ci concediamo un risveglio con tutta calma. Al mattino operazioni di riordino e pulizia del camper . Poi partiamo per una bella passeggiata di 7 km. sul sentiero litoraneo della Bretagna (GR 34) : picnic in spiaggia ascoltando lo sciabordio delle onde. Vediamo qualcosa muoversi in acqua verso riva, ma io sono senza occhiali e Mattarelli in modalità pranzo : due ragazzi ci dicono essere una foca ( e io non l’ho fotografata : sono ancora arrugginita). Superando varie baie tra una rada nebbiolina ogni tanto trafitta dal sole, raggiungiamo la Pointe du Corseu, il punto più occidentale della costa francese. Ci trasferiamo all’area di sosta di Lampaoul Plouarzel : dove ci facciamo una corroborante doccia fredda, prima di cenare con vista sul mare.
Martedì 19 agosto ci trasferiamo a Ploudalmezeau , nel camping comunal Les Dunes. Il tempo è sempre grigio : sembriamo – in realtà siamo – immersi in una enorme nuvola . Decidiamo di esplorare la costa in bicicletta. Sul percorso vediamo : il Dolmen di Guilliguy ; la Chapelle Notre Dame de Kersaouit ; Tremazan, dove imbocchiamo la bellissima route touristique ; la Chapelle de Saint Sanson ; le Ruines du Semaphore de Kerhozoac ; il Dolmen di Saint Gouvel . Tra le indicazioni in francese e le traduzioni in bretone (molto simile al gallese, per l’origine legata alle invasioni dei popoli nordici) che non sono indicate insieme, facciamo una gran fatica a trovare le strade e a capire dove siamo : ogni cartina o sistema di orientamento sambra parlare una lingua diversa, in una miriade di villaggi Plou..qualcosa. Alla fine faremo 33 km , tra bruma, nebbia fitta, rischiarite improvvise : il rientro è surreale. Pedaliamo velocissimi e bagnaticci (ha inizato a cadere una sottile pioggerellina), completamente immersi in una nuvola, senza sapere esattamente dove siamo : ogni tanto vediamo comparire e sfilare via veloci ombre di mare o di colline o di case, sembra l’atmosfera fatata di un racconto fantastico.
Arrivati in camper, dopo una settimana di vegetarianesimo, decidiamo di farci un bel piatto di tortellini in brodo, che ci stanno anche perfettamente con il clima e con l’umidità generale.
Mercoledì 20 agosto decidiamo di completare la visita della zona : prima con la visita del piccolo memoriale Ancre en Eor (che ricorda l’enorme disastro ecologico che colpì l’intera costa di tutta la Bretagna nel 1978, quando la petroliera Amoco Cadiz si spezzò lberando tutto il suo carico di petrolio grezzo) .
Passeggiamo poi sulla enorme spiaggia di Treompan, abbracciata dal massif dunaire sul quale si allunga la Rocher du serpent.
Ci trasferiamo a Plouguerneau, dove facciamo una bella passeggiata : avvistiamo un falco e mangiamo una buona crepe, ammiriamo da non troppo lontano il grande Phare de l’Ile Vierge, facciamo qualche acquisto in un negozio che vende abiti vintage.
Guardando le previsioni del tempo che ci danno qualche giornata di sole, decidiamo di tagliare alcune delle prossime tappe e di dirigerci spediti verso la costa di granito rosa. Dormiamo quindi al camping municipal de Tregastel (per fare la prenotazione all’area di sosta di Perros Guirec – o Ploumanach – ci rassegnamo a fare la tessera associativa del Camping Car Park, supportati dall’assistente telefonico che riordina la confusione da noi fatta tentando di attivarla).
Edimburgh, North Berwick, Tantallon Castle, Bass Rock, Melrose Abbey, Borders, York.
Venerdì 5 agosto 2022 . Ripartiamo velocemente diretti ad Edimburgo, capitale della Scozia (500.000 abitanti). Decidiamo incautamente di cercare parcheggio in prossimità del centro, dove sbagliamo anche strada e ci areniamo in un fiume IMPRESSIONANTE di traffico e di persone : sembra che tutto il mondo si sia dato appuntamento qui. Scopriamo che è il primo giorno del Fringe Festival (teatro, musica, danza) che durerà tutto il mese di agosto e porterà centinaia di artisti ad esibirsi in ogni luogo della città ; del Royal Military Tattoo che porterà decine di bande e battaglioni militari ad esibirsi in parate e concerti serali di fronte al castello, con regolare chiusura del centro storico a metà pomeriggio per le operazioni di controllo ed ingresso del pubblico; e di altre decine di iniziative culturali e ricreative collegate : l’apice dei festeggiamenti annuali della città. Iniziamo a temere che il saggio mr. Hoggy avesse ragione … Nonostante tutto la prima impressione della città è GRANDIOSA : sembra di essere in un enorme teatro, con quinte di scena successive che disegnano campanili, torri gotiche, palazzi, strade , ponti , che si innalzano progressivamente : il centro storico ci sembra enorme e complicato… Perdiamo circa due ore alla ricerca vana di un parcheggio : riusciamo a parcheggiare tre volte nell’area decentrata del porto per poi renderci conto che siamo sempre in aree con limite orario (massimo 4 ore di parcheggio) e divieto di sosta notturna. Alla fine ci sembra di trovare fortunosamente uno splendido parcheggio in un’ampio spazio tutto libero adiacente ai verdi e tranquilli Leith Gardens ( e anche ad un incrocio) : nessuno di noi vede la doppia striscia gialla in terra, che indica divieto assoluto di parcheggio e che circonda le ruote del nostro camperone. E così sentendoci quasi miracolati, incoscienti ed ottimisti, partiamo alla conquista della città che ci ha già stregato. Scopriamo immediatamente che ho acquistato i biglietti del bus hop on hop off (circuito turistico, con soste nei luoghi più importanti) , purtroppo per i giorni sbagliati : contattiamo il call center (che si trova in Spagna) ed una signorina gentile (ma completamente ignara della topografia di Edimburgo) ci risolve il problema delle date, ma non sa assolutamente dirci dove si possa trovare la fermata più vicina a noi. Alla fine capiamo che per attivare il nostro biglietto dobbiamo andare in centro e quindi cerchiamo un altro bus. Arrivati in centro ci muoviamo nel flusso incrociato di FIUMI DI PERSONE che arrivano da ogni direzione, tra rumori e confusione, e ci sembra complicato anche solo trovare un semplice panino . Visto che sono oramai le due passate, ci rassegnamo a prendere un asporto da Macdonald e di mangiarlo durante un primo giro sul bus scoperto. In realtà ne dobbiamo cambiare due per trovare posto nel piano alto scoperto, con i capelli al vento sotto il sole : ma almeno cominciamo a prendere confidenza con la città, che è bellissima soprattutto dalla nostra prospettiva alta rispetto alla confusione che regna nelle strade. Insomma non partiamo proprio con il vento in poppa : qualche malumore non troppo strisciante e nervosismo. Il panino è un po’ triste, ma buono, soprattutto perché siamo abbastanza affamati.
Il giro nel bus scoperto ci regala la prima immagine della città : che in realtà non è così grande come ci è sembrata : è divisa in due da Princess Street : la Old Town o Città Vecchia abbarbicata sulla collina, e la New Town o Città Nuova creata dal settecento in poi. Scopriamo che la molteplicità di torri e palazzi avvistati, in realtà sono il profilo dei palazzi , torri e campanili del Royal Mile (Miglio reale) o High Street – la famosa lunga strada nel cuore della città vecchia , che collega il castello ad una estremità al Palace of Holyroodhouse dall’altra , residenza ufficiale della Regina ad Edimburgo : è il cuore della città e la domina in altezza , offrendo i suoi diversi profili a seconda del punto da cui li si osserva . Tutto intorno alla strada reale, al castello e al palazzo reale, ed alla collina su cui svettano, corrono alcune strade che formano un cerchio : da un lato Princess Street e Regent Road, che segnano l’inizio della New Town settecentesca ed austera e la dividono dalla Old Town medioevale, che si sviluppa con il Royal Mile, il Grassmarket, Victoria street,Greyfriars Graveyard e tutto il nucleo più antico, formato da un dedalo di vicoli e closes che salgono e scendono vertiginosamente in ogni direzione. La città vecchia si sviluppa su più piani e spesso intere strade sono costruite sulle strutture di quelle più in basso : e così passeggiando per una larga via, ci accorgiamo in realtà di essere sopra un enorme ponte costruito su una parte più bassa della città. Sembra di essere in un quadro di prospettive impossibili Escher….
Dalla guida Feltrinelli : “La venerabile, scenografica Edimburgo, capitale-vetrina della Scozia, è una città storica, cosmopolita, ricca di cultura, immersa in una cornice sensazionale : abbarbicata ad una serie di vulcani estinti e spuntoni rocciosi che spiccano nel paesaggio in gran parte pianeggiante dei Lothians”.
Sir Walter Scott la chiamava : “la mia città romantica”.
Robert Louis Stevenson così descrive la sua “ripida città” : “nessuna posizione potrebbe essere più preminente per la città principale di un regno ; nessuna meglio scelta per grandiose prospettive”.
Terminato il giro in bus iniziamo a prenderci gusto, per cui decidiamo di rifarlo tutto a piedi : questa volta iniziamo da High Street (o Royal Mile), e al percorriamo tutta (impossibile però avvicinarsi al castello) ; da qui partono –a spina di pesce – una serie di stradine e ripide scale , i closes e pends, talvolta con un cancello iniziale. Vediamo il piccolo bar, ora chiuso, dove J.K. Rowling ha scritto il primo libro di Harry Potter.
Ai piedi di castlehill ammiriamo The Hub, una imponente ed altissima torre gotica nera (la sua guglia è la più alta di Edimburgo), dove ora si trova il Festival Centre .
Visitiamo la High Kirk of St. Jilles (santo patrono di storpi e mendicanti) , chiesa parrocchiale della Edimburgo medioevale, con la sua guglia a forma di corona. Alcune delle bellissime vetrate sono opera di William Morris.
Percorriamo ripetutamente nei due sensi una delle vie più iconiche e fotografate, Victoria Street, che ha ispirato la creazione di Diagon Alley della saga di Harry Potter .
Visitiamo il Greyfriars Cemetery dove alcune lapidi hanno ispirato il nome dei personaggi della saga e dove c’è il monumento che la città ha dedicato al piccolo cane Bobby , ricordato anche da una statua situata fuori dal cimitero. Era il piccolo cagnolino di un poliziotto, John Gray ; qualche giorno dopo la sua morte il piccolo Bobby fu trovato sulla sua tomba dove rimase di guardia fino alla sua stessa morte, 14 anni dopo : in quegli anni divenne una celebrità e la gente gli portava da mangiare e da bere. La statua fu posizionata subito dopo la sua morte nel 1872, per omaggiare la sua eccezionale fedeltà e dedizione.
Oltre a questa storia edificante, si deve invece ricordarne un’altra decisamente meno romantica : nel 1600 fu necessario recintare i cimiteri perché esisteva un grave problema relativo al furto di cadaveri, ricercatissimi per le ispezioni autoptiche, che alimentavano un fiorente e redditizio commercio. I corpi da poco interrati, venivano riesumati e venduti alla scuola di medicina. Il reato venne portato all’estremo dai famigerati Burke e Hare , che aggiravano il furto al cimitero semplicemente assassinando le vittime che poi avrebbero rivenduto.
Passeggiamo sotto alla ripida collina sovrastata dal castello, vediamo due grandi teatri di Edimburgo (il nuovo Traverse Theatre e l’antico Royal Lyceum Theatre) , e passeggiamo per i Princess Garden: dove un tempo fluivano i liquami della Old Town, oggi corrono i binari della adiacente stazione ferroviaria.
Risaliamo Princess Street ammirando il profilo della città vecchia illuminato dalla luce del tramonto; l’atmosfera di festa, che comincia a contagiarci, è completata dalle persone in vestiti eleganti, dalla musica di molti gruppi ed artisti in costume che si esibiscono in strada e che accompagnano incessantemente la nostra passeggiata.
Ammiriamo anche lo Scott Monument , una torre alta 60 metri, la più imponente al mondo dedicata ad uno scrittore ; la sua architettura gotica riproduce quella di Melrose Abbey, molto amata da Scott; le decorazioni scultoree raffigurano 16 scrittori scozzesi e 64 personaggi dei suoi racconti. Sul piedistallo centrale è collocata una statua dell’autore con il suo cane levriero Maida (scolpita in un blocco di marmo di Carrara di 30 tonnellate). All’interno c’è una stretta scala a chiocciola di quasi 300 scalini che conduce ad una piccola piattaforma panoramica vicina alla cima.
Ci dirigiamo poi a Calton Hill, l’acropoli di Edimburgo, una roccia di origine vulcanica che ci regala una panorama a 360 gradi, sulla città e sul mare. La piccola torre che ancora campeggia è ciò che resta dell’antica prigione della città, Calton Gaol, dove venne rinchiuso il famigerato Burke prima dell’esecuzione pubblica. Troviamo poi il City Observatory, l’osservatorio astronomico del 1800 che rimase in funzione fino a che l’inquinamento luminoso della città rese impossibile osservare le stelle. Ed infine il colonnato del National Monument, spesso chiamato “l’abominio di Edimburgo” : ciò che resta del tentativo incompiuto e sgraziato di riprodurre il Partenone, come monumento ai caduti delle guerre napoleoniche. I lavori vennero interrotti per l’insufficienza di fondi, ma la stravagante costruzione rimane come punto di riferimento nel paesaggio.
Per la cena troviamo l’incantevole Cafè Royal Circle Bar (interamente decorato da quadri in ceramica) dove – come in tutti i pub – se trovi un posto a sedere puoi mangiare. Veniamo invitati a condividere il tavolo di una coppia di Glasgow in vacanza, con cui facciamo una bella chiacchierata ; uno sveglissimo cameriere che riesce da solo a gestire la sala gremita e incredibilmente ci recapita una ottima cena.
Non possiamo rinunciare poi ad un’ultima passeggiata notturna, attraverso il North Bridge che passa sopra la stazione ferroviaria, improvvisamente interrotta dallo spettacolo di fuochi d’artificio dal castello per il Military Tattoo. Bene …. nonostante qui la festa continui, noi per oggi salutiamo Edimburgo e torniamo al camper . Buonanotte.
Sabato 6 agosto 2022. Decidiamo di andare a fare colazione in centro e la Jessica (sentita una sua amica di Edimburgo) ci porta al Black Medicine Coffe, dove mangiamo superbi croissant dolci o salati, in un’ambiente degno del nome. Chiedo se posso acquistare un piatto del locale che mi ricordi questo bell’inizio di giornata e il barista me lo regala con un sorriso. Sento che oggi partiamo con il piede giusto.
Oggi Edimburgo è un grandissimo teatro : il Royal Mile non è più una strada ma un palcoscenico a cielo aperto, dove si susseguono artisti di strada, musicisti, spettacoli itineranti, centinaia di giovani attori in costume che con le più fantasiose strategie propongono decine di rappresentazioni e cercano il conquistare loro pubblico. L’atmosfera – superata l’iniziale confusione – è molto vitale ed allegra, con sorprese che possono apparire in ogni dove e in ogni momento. Ascoltiamo per un po’ due ragazzi che suonano la chitarra con un ritmo trascinante e ci dispiace non poter sentire tutta l’esibizione o partecipare allo spettacolo serale. Acquistiamo il loro CD e li salutiamo .
Dopo una rapida incursione nel cortile dell’Università , visitiamo il Gladstone Land , abitazione seicentesca di un benestante commerciante di stoffe ed affittacamere . Nel piccolo appartamento l’unica camera, riscaldata da un enorme camino, serviva da sala da pranzo camera da letto e bagno (rappresentato da una comoda che veniva utilizzata al bisogno, in un contesto generale di scarsissima igiene, con liquami che correvano nelle strade). Viveva qui una famiglia con 5 figli : il maggiore dormiva nel letto con i genitori, il piccolo nella culla, gli altri tre su un materasso che veniva tirato fuori la sera . Nella cucina viveva la domestica che dormiva in un letto a scomparsa incassato nella parete di fianco al camino, con pitale annesso. A salire le camere affittate, sempre più modeste mano a mano che si procedeva verso l’alto. Questo era il lusso….
Arriviamo poi puntuali alla visita all’ Edimburgh Castle , che abbiamo prenotato ieri, attraversando l’Esplanade, una ampia piazza ora occupata dalle tribune allestite a sbalzo sullo strapiombo per assistere al Military Tattoo.
Il castello domina la città dall’altura rocciosa di un vulcano spento ; da qui si comprende l’importanza strategica della fortificazione, e si ammira il panorama più ampio della città e del mare. Attraversiamo il Portale di accesso, l’ Half Moon Battery (fortificazione semicircolare più esterno delle varie mura di difesa) e il Portcullis Gate (ulteriore porta fortificata di sbarramento) .
In questo primo slargo ci sono i passaggi di osservazione e le batterie di cannoni per accogliere i visitatori. Si arriva poi al National War Museum of Scotland (uniformi, armi, medaglie, cimeli, trofei, dipinti, documenti) , che non suscita la nostra passione, ma visitiamo velocemente per curiosità : mi soffermo ad osservare la scatola farmaceutica in dotazione ai militari più fortunati, oltre che i piccoli oggetti affettivi che i soldati portavano con se (fotografie, lettere, sassi, conchiglie…).
Negli altri edifici sono alloggiati alcuni corpi militari e si svolgono incontri di rappresentanza ad alto livello.
Arriviamo poi alle prigioni, quella militare per i soldati e quella più spartana per i prigionieri di guerra. Nel robusto muro di cinta una targa ricorda l’evasione clamorosa di un gruppo di 43 soldati.
Si arriva quindi al cuore del castello, la Crown Square quadrata con gli edifici più importanti e protetti : qui scopriamo che il castello non è in realtà un castello nel senso comune del termine, ma una cittadella militare fortificata . Il Palace, palazzo reale, è in realtà molto modesto, con alcune piccole stanzette spoglie. Fu ristrutturato per Maria Stuarda regina di Scozia che qui viveva con il consorte ; un bizzarro specchio rotondo consente di intravedere (un po’ come guardoni) l’angusta alcova dove Maria Stuarda diede alla luce Giacomo VI (praticamente uno sgabuzzino verde). Oggi accoglie solo i gioielli della corona (Honours of Scotland), i simboli più importanti della Scozia come nazione : la corona tempestata di gemme di Gacomo V incorpora la precedente di Roberto I , lo scettro sormontato da una enorme sfera di cristallo , la Stone of Destiny (la Pietra del Destino : la pietra sopra la quale Giacobbe sognò una scala di angeli che collegava cielo e terra, portata in Irlanda da alcuni missionari e da qui in Scozia : venne usata per l’incoronazione di tutti i re di Scozia fino al 1266, quando Edoardo I rubò quella che credeva essere la pietra del destino e la trasferì nell’Abbazia di Westminster a Londra, dove rimase fino al 1950 quando venne trafugata da un gruppo di nazionalisti scozzesi. Nel 1996, con fastosa cerimonia ufficiale la Stone of Destiny è stata riportata da Londra a Edimburgo, in uno dei molti tentativi del moribondo governo conservatore di convincere gli scozzesi che l’Unione era un’ottima cosa, nella completa indifferenza dell’opinione pubblica. In realtà ci sono molti dubbi sulla autenticità della pietra, un semplice blocco di arenaria liscia, dove mancherebbero alcune intricate incisioni ; si ritiene che gli astuti monaci di Scone abbiano consegnato ad Edoardo I il coperchio di un pozzo nero, ed abbiano nascosto la pietra originale in un luogo noto solo a pochissimi eletti.
Bene : dopo queste edificanti narrazioni, proseguiamo la visita degli edifici sugli altri lati della piazza reale, la Great Hall, camera delle sedute del Parlamento scozzese fino al 1639, e la Hall of Honour che ospita lo Scottish National War Memorial.
Usciti dal castello ripercorriamo il Royal Mile alla ricerca di un posto dove mangiare, impresa non semplice vista la folla. La Jessica ci porta al Makars Gourmet Mash Bar : geniale idea in cui il cliente può abbinare una serie di secondi di carne o verdura ad una serie di mash (patate schiacciate, insaporite con varie preparazioni) ad una serie di salse di accompagnamento, in moltissime possibilità di incrocio. Pranzo ottimo, con alcune citazioni letterarie .
Seguiamo poi le tracce sul selciato che ci conducono al vicino Writer’s Museum.
Saliamo e scendiamo scale vertiginose e la bella Victoria Street : una insolita strada curva su due livelli . Quello inferiore ospita negozi colorati sotto le arcate ; quello superiore una terrazza-passaggio pedonale. Anche qui non mancano scale, scalette, closes più o meno segreti.
Visitiamo il Grassmarket (la piazza dove si svolgeva l’antico mercato del bestiame, oggi affollata di bancarelle e circondata da pub, ristoranti e negozi turistici) e l’Armachair Book (libri antichi ed usati), e facciamo qualche foto dal Vennel Viewpoint.
Tramortiti entriamo in qualche negozio per acquistare un po’ di sciarpe scozzesi che regaleremo a Natale a tutti i parenti. Decidiamo di trascurare completamente The Holyroodhouse e la nuova controversa sede del Parlamento scozzese, che sta di fronte : teniamo qualcosa da vedere per quando torneremo. Rientriamo in camper e troviamo sul parabrezza una multa per divieto di sosta: 60 sterline, ridotte a 30 se paghiamo entro 14 giorni. Impieghiamo un po’ di tempo ad individuare l’evidente doppia striscia gialla sotto alle ruote del nostro camper, e quindi ci rassegnamo a pagare: meno di quanto ci sarebbe costato un qualsiasi parcheggio. Il sollievo per la sventata rimozione, la clemenza della municipalità, oltre all’aspetto grafico della multa (mai ricevuta prima una multa così bella), ci consolano .
Quindi siamo obbligati a spostarci e a cercare un’altro parcheggio ; dopo un tentativo fallito nei paraggi del Dean Village (ultima meta di Edimburgo), facciamo una veloce spesa, e troviamo una comoda area di sosta (gratuita) a Fettes Avenue di fronte alla sede della Polizia di Edimburgo, che consigliamo caldamente. Siamo circondati da altri camper e da numerosi mezzi della polizia di ogni dimensione, con agenti che vanno e vengono tranquilli. Cena leggerissima e buonanotte.
Domenica 7 agosto 2022. Dopo la colazione lunga passeggiata a piedi verso il Dean Village : piccolo villaggio sede degli antichi granai e mulini affacciati sul fiume Water of Leith, oggi riconvertiti in appartamenti esclusivi. Il villaggio vittoriano, uno degli angoli più pittoreschi e sorprendenti di Edimburgo, è incastonato sui ripidi argini del fiume , lungo il quale passeggiamo per alcuni Km. lungo la bella walkway (il percorso completo è 19 Km. ) che porta fino a Princess street.
Noi ci fermiamo prima per visitare la bella Circus Lane, e le più austere grandi piazze circolari Royal Circus e Moray Place circondate da eleganti e regolari palazzi settecenteschi.
Avvistiamo laSaint Stephen’s Church , dove è in cartellone Amleto di Shakespeare con Ian Mc Cullen (purtroppo sold out) : sin dai tempi della sua costruzione all’inizio dell’Ottocento, ha avuto una vocazione educativa (istruzione degli analfabeti) . Nel 2014 è stata acquistata (per 500.000 sterline) da un produttore di videogiochi, che avviò una fondazione con l’intento di preservare l’edificio e sviluppare iniziative legate all’arte al servizio della collettività . Nel 2017 Peter Schaufuss, stella della danza e fondatore del English National Ballet School, annunciò l’intento di fondare una scuola di teatro internazionale capace di attirare compagnie da tutto il mondo. La Ashton Hall è quindi diventata uno degli spazi teatrali più grandi della Scozia ; è attualmente la sede di molte attività culturali , della Scuola e dell’ Edinburgh Festival Ballet , della Scottish theatre school MGA Academy. Ovviamente è di diritto una delle sedi di punta del Fringe Festival.
Torniamo poi al nostro camper e salutiamo Edimburgo, diretti sulla costa a est .
Le nuvole che ci hanno accompagnato questa mattina sono velocemente spazzate via da un bel vento vivace. Sotto un cielo azzurro riprendiamo rapidamente confidenza con il giallo dorato dei campi, il fucsia dei fiori e tutti i verdi del panorama : e dopo la folla torniamo a respirare a pieni polmoni l’aria libera delle campagne. Arriviamo così a North Berwick. La bella cittadina è composta da una lunga fila di eleganti case vittoriane ed edoardiane affacciate su due enormi spiagge (est e ovest) : le due lunghissime mezzelune di sabbia dorata sono separate dal porticciolo e dal centro di osservazione degli uccelli che nidificano sull’enorme scoglio vulcanico di Bass Rock. Le sule sono stanziali, ma i pulcinella di mare, così come le foche che arrivano fino alle spiagge, hanno appena completato la migrazione di giugno sulle isole (Orcadi /Ebridi) .
Percorriamo tutta la prima spiaggia per poi proseguire nella via interna del paese, circondata da negozietti molto particolari. Avvistiamo anche un’opera di Bansky : sebbene non ci siano conferme sulla autenticità, si tratta sicuramente di una delle sue intuizioni ironiche.
Raffigura il topolino ( RAT , in inglese, che non casualmente è l’anagramma di ART ) Indica la direzione per mettersi in coda per la grande fuga, l’uscita di sicurezza … E indica proprio la spiaggia e -sulla sua estremità- l’ultima delle case, che –sono sicura- sta guardando il mare, con le sue belle finestre colorate di azzurro. E io RICONOSCO questa casa … riconosco la bellezza degli oggetti polverosi di una particolare quotidianità (che assomiglia tanto alla mia) e quelli regalati dal mare disposti oltre i vetri, riconosco la quiete che regna all’interno della veranda dove c’è la più bella cucina del mondo e un raccolto angolo per la musica, le tazze per il tè, una avvolgente poltroncina dove leggere o raccogliere le idee per scrivere : riconosco l’incanto della luce dorata che illumina tutto . Mentre ho quasi l’impressione un po’ strana di essere arrivata a casa, incrocio lo sguardo della proprietaria che mi osserva un po’ divertita, ma anche orgogliosa di tanto splendore. E sembra quasi che ci conosciamo un pò, senza saperlo….
Torniamo al camper e ci dirigiamo alle rovine del Tantallon castle, vecchio guardiano arrampicato sulla scogliera : le visite sono consentite solo all’esterno, perché ci sono strutture pericolanti.
Il castello sembra dialogare con l’acqua, con il vento che spettina i prati e con il Bass Rock, che svetta luminoso in mezzo al mare. E’ una roccia vulcanica ( sembra bianca solo perché completamente ricoperta di guano ) che potrebbe raccontare storie intriganti : questo approdo aspro ed ostile ha accolto santi, eremiti, soldati, re e prigionieri e naturalmente gli uccelli, i veri padroni. Un santo vi si stabilì in eremitaggio. Nel quattrocento la famiglia Larder vi costruì il castello : tra i visitatori si annovera anche il giovanissimo James I, dodicenne, in navigazione verso la Francia ; sfortunatamente fu imbarcato sulla nave sbagliata e trascorse 18 anni in una forzata residenza inglese. Nel cinquecento un battaglione di cento soldati difese strenuamente la roccia e sopravvisse mangiando pesce e scaldandosi bruciando i nidi degli uccelli. Nel seicento divenne una famosa prigione e tutto lo scoglio venne tenuto in ostaggio per tre anni da un gruppo di prigionieri giacobiti evasi. Dall’inizio del novecento lo scoglio fu abitato dal guardiano del faro, fino al 1988 quando venne automatizzato. Oggi è la casa di una delle più grandi colonie di sule al mondo, che vi soggiornano da febbraio a ottobre.
La sula bassana è un uccello marino dal corpo affusolato, con ali strette e un becco a punta leggermente ricurvo; la sua struttura corporea è perfettamente adatta per tuffi e immersioni (ha quattro narici due chiuse, due che si chiudono al contatto con l’acqua e sacche d’aria nel capo per attutire l’impatto con l’acqua) . Ha un piumaggio di colore bianco immacolato, con le punte delle ali nere. Gli occhi sono grigio-azzurri e circondati da pelle nuda e nera. La sula bassana è lunga 80–90 cm, ha un’apertura alare di 170–185 cm e pesa 2–3 kg. Durante l’allevamento dei pulcini, la testa e il collo diventano di un colore giallo pallido. Sono quasi completamente bianche, per aumentare la resistenza all’abrasione da parte del sole e del sale ; Darwin affermò anche che questa colorazione era un attrattante, col fine di segnalare la propria posizione alle altre sule per indicare la posizione dei banchi di pesci. Quando molte sule si tuffano in acqua su un banco si ha infatti confusione tra i pesci, che combinata con la fatica, rende massimale la probabilità di cattura da parte delle sule. Ha uno strato di grasso sottocutaneo per i lunghi periodi di digiuno, e inoltre per affondare maggiormente in acqua. Questi uccelli sono tuffatori spettacolari: possono lasciarsi cadere da 50 metri di altezza o volare in picchiata a 100 km/h per raggiungere la preda. Quando si tuffa (arrivando generalmente a 3-5 metri sotto la superficie con la sola spinta del tuffo, e poi potendo nuotare in basso fino a 10-12 metri) stringe le ali al corpo ripiegandole all’indietro assumendo la forma di freccia ; da questo comportamento deriva il nome celtico. La sula si nutre di piccoli pesci e granchietti che pesca anche in volo radente dai banchi che stanno in superficie. Anche se la popolazione di sule bassane è ora numerosa, questi uccelli rischiarono l’estinzione all’inizio del ventesimo secolo, con la caccia, la distruzione dell’habitat e la predazione delle loro uova da parte dei ratti. Questo uccello nidifica in colonie numerosissime dove fa ritorno ogni anno; i nidi, molti e molto vicini, sono posti su scogliere o isole rocciose. Le più grandi colonie di questo uccello, con oltre 60.000 esemplari, si trovano sull’isola di Bonaventure, in Canada (Quebec), e in Gran Bretagna (dove si trovano il 70% delle sule bassane del mondo) sull’isola di Boreray e su quella di Bass Rock che ha dato il nome alla specie. La sula forma coppie fisse, che durano anche tutta la vita. Nella stagione riproduttiva, la femmina depone un solo uovo, di colore celeste, che viene covato da entrambi i genitori. La sula bassana difende il nido con aggressività da qualsiasi minaccia, non esitando a colpire altri individui con forti beccate. I piccoli, di colore marrone, lasciano il nido a 3 mesi e emigrano senza i genitori. Raggiungono la maturità dopo cinque anni. La stagione degli amori inizia tra febbraio e marzo. In questo periodo abbandonano il mare per spostarsi sulla terra ferma per costruire il nido con alghe e steli raccolti tra quelli che galleggiano sulla superficie dell’acqua. Descrizione scientifica da: https://it.wikipedia.org/wiki/Morus_bassanus
Vorremmo entrare in campeggio , ma l’unico in zona è pieno ed ha chiuso la reception. Per cui decidiamo di tornare alla bella area di sosta che abbiamo intravisto all’inizio della spiaggia di Nord Berwick, anche perché riusciamo a prenotare la cena ad un ristorante che ci ispira e che ci sembra un buon modo per concludere il viaggio. Arriviamo al parcheggio che è rappresentato da un’ampio slargo SULLA scogliera che chiude la enorme baia di North Berwick : sembra di essere in volo sul mare. Passeggiata fantastica verso il centro ammirando da vicino le belle residenze del paese. Cena ottima, con la consueta soup of the day e una buonissima sogliola .
Ritorniamo al camper giusto per ammirare incantati il fantastico tramonto con cui la Scozia ci saluta (e mi scuso sin d’ora per il numero di foto, che però non riesco ad eliminare).
E direi che non servono altre parole.
Lunedì 8 agosto 2022. Con gli occhi ancora rosa, iniziamo il viaggio di ritorno, con poche tappe veloci di trasferimento. Decidiamo di non correre troppo e ci fermiamo a Melrose per visitare le suggestive rovine dell’Abbazia benedettina .
Ci osservano dall’alto numerose gargolle maligne : bestie accovacciate, maiali che suonano la cornamusa, angeli spaventati.
Sembra che qui sia sepolto in uno scrigno il cuore di Robert I the Bruce che combattè a lungo contro l’Inghilterra per l’indipendenza della Scozia con alterne vicende , ed alla fine sconfisse un esercito molto più grande del proprio.
Il paesino meriterebbe una visita più approfondita, ma oramai non abbiamo tempo e quindi facciamo una veloce colazione/pranzo e partiamo. Percorriamo la regione dei Border ed il paesaggio si addolcisce, mantenendo la sua forza . A Carter Bar , al confine tra Inghilterra e Scozia, le colline dai profili arrotondati e dolci sono colline viola, porpora, completamente ricoperte solo da un fitto tappeto di erica fiorita ; i prati sono scompigliati dal vento, pieni di fiori brillanti in un mare di tutte le tonalità di verde. Il vento ci scompiglia capelli e pensieri che volano liberi . Anche la strada sembra danzare con tutto il resto, con salite e discese in molteplici e rapide successioni. Incanto assoluto . Mi viene da piangere dalla commozione.
Infine arriviamo a York, dove entriamo fortunosamente in campeggio : quando arriviamo l’impiegata ci dice che purtroppo è tutto pieno ; il campsite però fa parte della rete del Caravan and Motorhome Club e quando li informiamo che siamo soci trovano il modo di accoglierci . In Inghilterra non è ammesso lasciare fuori dalla porta un membro del club : ci fanno festa anche i due cani labrador alla reception !
Siamo quindi di nuovo con le gambe in spalla : passeggiamo in città, prima sulla bella cerchia di mura, poi nei vicoli medioevali della città, piena di case a graticcio. I cani di York continuano a darci grandi segni di apprezzamento.
Passeggiamo attorno alla immensa Cattedrale, vero fulcro della città, che sembra seguirci in ogni dove ; nella via più visitata del mondo, The Shambles, dove gli edifici Tudor del 1500 sono talmente inclinati, che sembrano toccarsi sopra le nostre teste ; dopo la cena in un ristorante italiano (soup of the day : verdure miste e prosciutto, spaghetti gamberi-mozzarella-pistacchio) , torniamo a passeggiare sotto il massiccio castello, un enorme cilindro in cima ad una ripida collinetta ; e poi – sfiniti- lungo il fiume fino al nostro letto. Prima di dormire faccio una doccia rigenerante.
Martedì 9 agosto 2022. Doccia rigenerante per la Jessica e usciamo dal campeggio, dove dovremo rientrare prima delle 11.30, perché poi chiuderanno l’accesso per lavori stradali. Non possiamo però lasciare York senza far visita alla splendida cattedrale, che abbiamo prenotato ieri sera. Colazione al Perky peacock (il pavone vivace), minuscolo bar nella torre adiacente al fiume, con i tavolini sulle scale che portano in acqua. Arriviamo alla cattedrale, York Minster, giusti per l’apertura : è “uno degli edifici gotici più belli al mondo” dice la nostra guida, la cattedrale medioevale più grande del nord Europa, seconda solo a Canterbury, sede del Primate di tutta l’Inghilterra. Quando entriamo è il volume degli spazi ad impressionarci e lo stile lineare e pulito, che ad un primo sguardo la fanno sembrare quasi vuota.
Meravigliosa la sala capitolare ottagonale.
Corriamo poi ancora tra i vicoli del centro medioevale, facendo alcune piccole spese e partiamo. Questa volta il viaggio finisce davvero a Londra : approdiamo al nostro Christal Palace Campsite dove ci fermeremo ancora qualche giorno, in totale riposo, che ci serve per affrontare il trasferimento Londra/Como (1215 Km.). La Jessica corre a prendere la metropolitana per casa.
Al Christal Palace Campsite oramai siamo di casa : all’ingresso ci riforniscono di acqua e di gettoni per la lavatrice (oramai improrogabile). Gabriele è identificato come Mr Mattarelli, the Man with the Rainbow Braces (l’Uomo dalle Bretelle Arcobaleno) : forse lo hanno registrato così anche alla reception . E con la fine del viaggio iniziano le lavatrici : accogliamo numerose signore campeggiatrici che vengono sorridenti a chiedere informazioni sull’uso delle lavatrici del campeggio e consigli di lavaggio a Mr. Raimbow Braces che si aggira soddisfatto e comodamente abbigliato con pantaloni retti da bretelle sgargianti, maglietta bianca (infilata dentro), calzini bianchi e ciabattine nere di gomma …. Nonostante ciò le signore inglesi mostrano una evidente ammirazione per un soggetto di sesso maschile in grado di completare diversi tipi di lavaggio .
Solite dimostrazioni di affetto e rilassamento da parte dei nostri amici all’arrivo a casa.
Mercoledì 3 agosto 2022 . Partenza al risveglio per macinare gli ultimi chilometri che ci separano da Glasgow (con i suoi 650.000 abitanti, la più grande città della Scozia). Ad un semaforo ci accolgono alcuni murales, tra i quali il ritratto iconico di Mackintosh attualizzato da una mascherina anticovid. Parcheggiamo senza problemi nel grande parcheggio di King Street, a St.Enoch e partiamo immediatamente per la visita alla città : continua a piovere e c’è vento. Abbiamo fatto un programma militare e cercheremo di vedere la città con i suoi luoghi iconici, le opere di street art famose sparse in tutto il centro, i luoghi di Charles Rennie Mackintosh ….
Cominciamo a respirare l’atmosfera della città e ci dirigiamo decisi verso la Cattedrale, Mentre percorriamo la salita nella zona universitaria siamo circondati dai palazzi in pietra rosso scura ed iniziamo ad avvistare alcune delle opere di street art : una stazione spaziale che decolla su un moderno grattacielo, una mamma che tiene in braccio il piccolo figlio dedicata a St. Enoch, l’immagine di un benevolo vecchietto con la cuffia che vuole essere un omaggio a San Mungo.
Questi due murales, enormi , ci conquistano ; sono di Smug (traduzione : soddisfatto di sé) , Sam Bates. Per chi come me sia interessato all’argomento :
Arriviamo alla Glasgow Cathedral, salutando la ragazza che gestisce il più piccolo bar del mondo ricavato da una delle vecchie cabine blu della polizia che consentivano di ripararsi dalla pioggia ; in realtà ne avvisteremo tante altre in giro per la città . La Cattedrale è dedicata al patrono e fondatore della città San Mungo, costruita tra il 1136 e la fine del Quattrocento in stile gotico.
Entriamo poi nel viale di accesso alla Necropoli, antico cimitero monumentale in stile vittoriano della città che si arrampica sulla collina dietro la Cattedrale. Ospita 50.000 sepolture, ma solo 3500 hanno una loro pietra tombale, alcune di carattere monumentale e di grandi artisti. All’inizio del 1800 si iniziò a pensare alla costruzione di cimiteri municipali, mentre sino ad allora le sepolture venivano accolte nel cortile delle chiese. Venne inaugurato nel 1833 ; vi si accede dalla cattedrale attraversando un ponte che scavalca il Molendinan Burn, diventato popolarmente noto come Ponte dei sospiri . La disposizione delle sepolture è informale e apparentemente casuale, ed i vialetti che si formano sono irregolari e convergono alla sommità della collina . E’ stata descritta come “una città dei morti”, forse anche perchè è uno dei pochi cimiteri a conservare i dati dei defunti (età, sesso, professione, causa del decesso).
Scendiamo poi nuovamente verso il centro città, attraversando una zona universitaria, per arrivare all’enorme George Square , popolata da una serie di statue che osservano la città da alti piedistalli ; e su uno di questi cavalieri , il duca di Wellington, è comparso un dissacrante cono stradale a strisce bianche e rosse, finito al centro di dibattiti politici e interpellanze contrapposte, tra i sostenitori (oramai era diventato un simbolo dello spirito innovativo della città) e i detrattori (con piani per impedire ai coni di finire sul capo dei propri personaggi storici, richiesta di divieti municipali, innalzamento dei basamenti…) , fino ad una petizione online sottoscritta da migliaia di persone per sostenere che il cono sul capo del Duca è oramai entrato a far parte del panorama urbano di Glasgow, forse a imperitura memoria delle sue famose bevute notturne.
Arriviamo quindi nella bellissima Buchanan Street, Princess Square con le belle Princess Galleries (bell’edificio liberty con cupola in metallo e vetro, e una giungla di ascensori e scale mobili) ed alle Buchanan Galleries piene di gioiellerie con vetrine scintillanti di centinaia di diamanti in sconto al 50% (dubitiamo).
Pranziamo, con un tè del pomeriggio acompagnato dai consueti tramezzini tortini paste scones burro e marmellata, alla imitazione delle Willow Tea Rooms : bella ma imitazione (infatti non porta il nome del famoso architetto, anche se ne imita perfettamente gli stilemi, in particolare gli arredi con le sedie nere con gli schienali alti a grata, e le declamate foglie di salice alle pareti, le cineserie). Però il pranzo non è male e, vista l’ora, ci rianima .
Continuiamo a passeggiare per la città, verso la Royal Exchange Square , dove avvistiamo un altro cavaliere con il cono in testa di fronte alla Gallery of Modern Art (GoMA) dove entriamo per una breve visita : bella la scala ovale, la mezza cupola liberty in vetro, l’atrio con le pareti a specchio che amplifica gli spazi.
Andiamo poi a cercare il Lighthouse , un edificio spettacolare progettato da Mackintosh con la sua caratteristica torre simile ad un faro, sede del Centro di Disegno ed Architettura : fu costruito nel 1895 e fu il primo commissionato all’architetto inizialmente per il Glasgow Herald.
Andiamo poi alla affannosa ricerca delle vere Willow Tea Rooms interamente progettate da Mackintosh e riusciamo a visitare il centro di documentazione, ma scopriamo amaramente che dopo aver ascoltato la storia e la descrizione di tutto l’edificio, le visite per oggi sono chiuse. Commissionate nel 1903 da Kate Cranston, intraprendente imprenditrice che fondò tre sale da tè per le signore che si recavano in città per fare compere ; una delle poche sostenitrice contemporanea dell’architetto, gli affidò la ristrutturazione completa di un edificio in Sauchiehall Street, completa di arredi e complementi (inferriate, boiserie, stucchi, porte, tende). Prendendo ispirazione dal nome della via (viale del salice) , scelse la foglia del salice come tema dominante per dare uniformità all’intera struttura. Chiuse per più di 50 anni , sono state riaperte nel 1983, e nuovamente chiuse nel 2016 per un intervento di recupero attentissimo al progetto iniziale,con ricerca FURIBONDA dei pezzi originali rimasti , magari in giacenza in alcune cantine (come il camino della sala donne). Rappresenta in pieno le idee dell’artista e contiene i suoi stilemi fondamentali : la gestione geometrica dello spazio quasi ossessivamente scandita da intervalli regolari e simmetrici, l’utilizzo della luce e del vetro per esaltare i colori, il riferimento ad elementi naturali stilizzati (foglie, fiori, uccelli), o a forme geometriche ricorrenti (il quadrato, l’ovale, la sfera, il concavo e il convesso), l’utilizzo delle griglie per la costruzione degli arredi…. Non possiamo perdere la visita di uno dei capolavori di uno dei maestri del Liberty inglese, che ha condizionato anche lo sviluppo del movimento negli Stati Uniti. Per cui prenotiamo per domani mattina.
Ci dirigiamo poi ai Botanic Gardens con le sue splendide serre vittoriane dove ammiriamo un bosco di felci secolari e un giardino di piante carnivore.
Cerchiamo poi la Glasgow School of Art, progettata da Mackintosh, che si trova al culmine di una delle colline più alte della città : visitiamo l’atrio attualmente in utilizzo, ma l’ingresso e la struttura principale sono attualmente chiusi e sottoposti ad un importante intervento di ricostruzione (da oltre 30 milioni di sterline) a seguito di un gravissimo incendio che le hanno distrutte nel 2014 e nuovamente nel 2018 ; la ricostruzione è finanziata con il contributo governativo, di privati, di molti artisti di fama mondiale che si sono mobilitati per ricostruire questo capolavoro, di cui ho recuperato alcune immagini storiche.
Rientro in camper stremati, dopo aver cercato gli ultimi murales, con i piedi in fiamme. Però ha smesso di piovere. Buonanotte.
Giovedì 4 agosto 2022. Altra giornata campale, dedicata al genio a lungo incompreso di Mackintosh : oggi però il cielo è azzurro e la luce ci regala un’altra atmosfera, illuminando tutti i colori di Glasgow ed il rosso dei suoi palazzi. Alle 9 puntuali come orologi svizzeri iniziamo la giornata finalmente con la visita alle vere Willow Tea Rooms, che non deludono le aspettative. La semplicità, le linee che dividono lo spazio, i dettagli dai colori brillanti, i temi decorativi che si ripetono con fluidità hanno quasi un andamento ritmico, musicale, armonico. La sala da tè a piano terra per tutti i clienti, con il suo bellissimo lampadario centrale incastonato in due cancelli incrociati ; i camini essenziali e purissimi. La sala da tè prosegue alla balconata del piano rialzato che occupa solo la parte posteriore del locale e lascia passare la luce dalla vetrata del soffitto . La piccola sala per le signore al primo piano, per una clientela selezionata, toglie il fiato : un tributo alla luce e all’acqua, che sembra sgorgare anche dalle pareti in piccole goccioline rugiadose tra la seta color perla. La cornice fatta di specchi sembra scrosciare sulla parete e fornisce un riflesso poetico dell’osservatore. La porta di ingresso è bellissima, i due lampadari stupefacenti : mentre tutti i maestri vetrai cercavano di eliminare le bolle nel vetro, Mackintosh le cerca e le sfrutta per creare giochi di luce evocativi. Al secondo piano la sala per gli uomini è scura ed appare più semplice ed austera, anche se i dettagli decorativi riportano tutti all’alfabeto dell’architetto.
Il progetto è totale : la struttura, gli spazi, le vetrate, le ceramiche, le decorazioni, gli arredi, le suppellettili, tutto è coerente, ritmato, geometrico, musicale, luminoso. E risuona, riluce, cattura.
Terminiamo grandiosamente la visita con una colazione-pranzo (all’inglese) : essendo i primi clienti della giornata ci accomodiamo nella struttura centrale della sala da tè. Una gioia di tutti i sensi, uno di quei momenti perfetti che non potremo mai dimenticare : sembra proprio che l’armonia che ammiriamo all’esterno ci penetri nell’anima .
Siamo quindi pronti per affrontare la seconda tappa della giornata : ci dirigiamo verso la University Avenue. A sorpresa, capitando di fronte all’entrata aperta, facciamo una rapida incursione nella Glasgow University, che meriterebbe una intera giornata per una visita seria. Riusciamo però a carpire alcuni colpi d’occhio che ci serviranno … per la prossima volta !
Di fronte alla Università c’è la seconda meta della nostra giornata : la Hunterian Gallery, che visitiamo, soprattutto per entrare nella Mackintosh House dove ha espresso al massimo livello il suo genio creativo. La casa è stata completamente ricostruita in una struttura di cemento (che sporge esternamente dal volume del museo, con due bowindow estranei alla restante volumetria geometrica) , dove sono stati inseriti gli arredi originali ; dall’esterno è possibile osservare anche la porta di ingresso. La linearità e semplicità apparenti nascondono una poesia, un’anima silenziosa ma percepibile e attraente. Ogni sedia ed ogni poltroncina sempre diverse ma coerenti, ogni intaglio illuminato da un vetrino colorato, tutto irrompe da uno spazio bianco luminoso, ed ogni cosa parla lo stesso linguaggio. Io e la Jessica siamo completamente rapite.
Al termine della visita recuperiamo gli zaini : ancora rapita dalla visita, mentre scendo la scala che conduce al sotterraneo, perdo una ciabatta che cade nella tromba delle scale ed inizia una impressionante parabola di caduta in verticale con un’energia incomprensibile ed un equilibrio impressionante : dopo un volo di tre piani alti che le fa acquistare una certa accelerazione cade piatta con un tonfo che rimbomba fragorosamente… una deflagrazione. Gli attimi della caduta sembrano un misto tra oggi le comiche e un film dell’orrore con visioni di persone tramortite sul fondo : si tratta di quegli attimi che sembrano eterni, durante i quali riesco a vedere le facce sbalordite della Jessica e di Gabriele che – all’altezza del primo piano- osservano il volo discendente della ciabatta come al rallentatore e iniziano a ridere. Per un attimo penso di aver ammazzato qualcuno : ma avrebbe fatto meno rumore.
Attraversiamo il quartiere adiacente all’università, molto elegante, con bellissime abitazioni, bowindows dove vorresti sedere a leggere un libro sulle belle poltroncine illuminate dal sole tra le piante verdi, giardini delicatamente fioriti…. Arriviamo alla stazione della metropolitana (che a Glasgow ha solo due linee che corrono vicine, una in senso contrario all’altra ; il sistema di chiusura delle porte non è automatizzato nel senso che è l’autista che si affaccia dal finestrino e chiude le porte quando tutti sono saliti ) e corriamo nel Southside, il quartiere a sud del fiume Clyde, dove all’interno dell’Art Park nel 1989 è stata costruita la House for an Art Lover, seguendo il progetto originale di Mackintosh del 1901. L’edificio ha l’intento di stimolare l’interesse per l’arte, il design e l’architettura : vi si organizzano anche eventi pubblici o privati. Il corridoio monumentale è scuro, con nicchie che fiancheggiano le finestre per conversazioni private ; vediamo poi la Oval Room sala destinata al riposo delle signore (Mackintosh ritiene che chiacchiere, relax e concentrazione necessitino di spazi diversi per uomini – spazi scuri – e donne – spazi bianchi e pieni di luce ) : infatti la stanza è bianca, e tutto segue le sue linee ovali e morbide, con due nicchie ai lati di una enorme finestra illuminata dal sole ; arriviamo poi alla Music Room, una enorme sala destinata a feste, con enormi porte finestre convesse illuminate dal sole e una bellissima balconata dalla quale ammirare lo splendido giardino , che con i suoi elementi stilizzati vuole ricordare una radura tra gli alberi , con il pianoforte contenuto in un grande letto a baldacchino ; si finisce poi con la Dining Room di nuovo scura . Tutto molto bello, ma un po’ impersonale e “da cerimonia”, poco famigliare: gli spazi così dilatati tolgono (o sono in contraddizione) con l’ intimità e la semplicità (del tutto apparente) che è uno dei caratteri che amo di più in questo architetto …
Per finire la visita facciamo un pranzo-merenda nel patio : ottima zuppa del giorno e ottimo avocado toast. Con un bel male ai piedi torniamo al nostro camper in bus e salutiamo Glasgow .
Ci dirigiamo verso Edimburgo e ci fermiamo circa a metà strada , a Falkirk , per ammirare i Kelpies, enormi sculture di Andy Scott del 2014 che si innalzano sul verde del parco The Helix . Raffigurano due teste di cavallo che escono dall’acqua e si innalzano sulla pianura imbizzarrite. Sono alte oltre 30 metri e pesano 600 tonnellate. La loro fama deriva da una leggenda popolare celtica : rappresentano degli spiriti maligni che infestano i laghi e i fiumi della Scozia. Lo scopo principale di questi demoni acquatici è quello di ingannare e “sedurre” poveri e ignari viandanti per condurli verso il loro terribile destino, il fondo del lago. I cavalli sono i più cattivi: si racconta infatti che se gli spiriti assumono le sembianze di cavallo, una volta saliti sulla loro groppa, sia impossibile scendere ; la vittima resta incollata alla schiena del Kelpie senza avere via di fuga, viene inabissata nelle acque del lago, dove poi il malvagio cavallo la divorerà. La leggenda è abbastanza terribile, ma lo spettacolo che regalano queste due sculture è davvero impressionante : le due enormi teste ti osservano con fierezza e aria minacciosa. Un po’ di ansietta e di emozione, ai loro piedi, sono garantite.
Troviamo infine campeggio a The Wheel caravan park : in mezzo alla campagna dopo uno sterrato circondato da pascoli pieni di calessi e cavalli, troviamo una sbarra solitaria . Chiamiamo il numero di telefono indicato e ci risponde gentilmente il sig. Hoggy che ci riferisce il codice di ingresso e dice che verrà a conoscerci più tardi ; il camping è spartano (quasi il set di un film western) , l’ambiente decisamente rurale, con baracche probabilmente costruite dallo stesso sig. Hoggy , ma tutto sommato ha tutto ciò che serve. All’ingresso dell’area di parcheggio vediamo un cartello che indica – in aperta campagna- il sito di atterraggio degli UFO. La Jessica commenta : “siamo in mezzo al niente nelle baracche di un pazzo”. Ci sono però molti camper parcheggiati, per cui decidiamo di fermarci. La doccia, alloggiata in una capanna di legno piena di spifferi , è scrosciante e calda, decisamente una delle migliori mai fatte in un campeggio, e mi consola della brutta esperienza di Inverness. Mentre stiamo cenando mr. Hoggy bussa alla nostra porta : ci appare un signore alto e magro con barba e capelli lunghi e bianchi, cuffia di lana in testa e giaccone pesantissimo. Sembra uscito dal film “Il signore degli anelli”; ha una espressione cupa, concentrata e serissima e molto misteriosa. L’odore che diffonde ci dice che è appena tornato dalla cura di (molti) animali. La Nina, quando si accorge della sua presenza con almeno 30 secondi di latenza, inizia incomprensibilmente ad abbaiare furiosa e devo tenerla, spaventando il sig. Hoggy che la guarda preoccupato aumentando il livello di tensione, che diventa spessa e percepibile. Si informa dei nostri programmi di viaggio e con ponderata lentezza ed espressione serissima ci consiglia di non portare il camper a Edimburgo : ci dice che sarebbe meglio lasciarlo nel suo campeggio ed andare in treno che ferma in centro ; ci penseremo, ma la distanza della stazione più vicina (tre chilometri di strada in aperta campagna), ci dissuade rapidamente. Riscuote il parcheggio notturno e fissandomi intensamente negli occhi ripete che verrà dopo per il regalo. Mentre aspettiamo che ritorni ci interroghiamo dubbiosi – e anche un po’ preoccupati- su cosa possa essere questo fantomatico regalo e iniziamo a pensare che non vorremmo sparire nel nulla rapiti dagli UFO. Quando bussa nuovamente alla porta c’è un attimo di terrore ; apro la porta e mi saluta nuovamente. Mi porge un biglietto dicendo : il regalo per voi. Il biglietto è la riproduzione di un quadro naif raffigurante un contadino che passeggia di fronte ad una baracca di legno : un autoritratto direi. Non è un biglietto di sola andata per Marte, per cui sono sollevata e grata : gli sorrido e lo ringrazio calorosamente. . Anche perché il posto naturale di questo biglietto – a noi giunto nelle campagne scozzesi intorno a Falkirk attraverso i misteriosi appuntamenti del destino – è esattamente sopra gli altri due che decorano la parete della dinette del nostro camperone Biagio : per dimensione e colori veramente viene da pensare che sia il frutto di una intuizione sovrannaturale : neppure a farlo apposta sarebbe stato così bene. Meravigliato del mio entusiasmo, anche la sua espressione tesa e preoccupata si distende. Con espressione serissima ed ipnotica inizia quindi a spiegarci che il mattino successivo potremmo approfittare della splendida – e praticamente unica – occasione di fare un giro in calesse con lui, per visitare il sito di atterraggio degli UFO. Ringraziamo dell’offerta, che però non possiamo accettare perché oramai i nostri giorni di vacanza stanno per finire. La conversazione, interrotta da saltuari risvegli della Nina che continua ad abbaiare minacciosa, si conclude rapidamente con i saluti. E il sig. Hoggy, così come è apparso, scompare dietro la porta del nostro camper : rimarrà però uno dei nostri pensieri più belli e preziosi di questa vacanza. Buonanotte.
Venerdì 5 agosto 2022 . Partiamo presto per visitare rapidamente la Falkirk Wheel, da cui il nome del campeggio di mr. Hoggy. Ambizioso ed innovativo progetto inaugurato nel 2002 per collegare i due canali di Falkirk (Union e Forth Clyde) con un’ascensore rotante per barche : consiste in due enormi artigli che agganciano un tratto di canale semicilindrico contenente acqua ed imbarcazione galleggiante e, ruotando, lo sollevano o abbassano portandolo al livello del canale sovra/sottostante, per un dislivello di 35 metri. Il meccanismo funziona con un ridotto consumo energetico (cioè l’energia necessaria per far bollire l’acqua per otto volte in un bollitore elettrico), in quanto la spinta per il movimento di rotazione deriva in buona parte dal contrappeso opposto a quello della barca (sull’artiglio opposto viene caricata una equivalente quantità di acqua). A questa opera ingegneristica si abbinano varie attività turistiche, comprese le gite in barca per provare il giro dell’ascensore.
Ultime foto recuperate in varie cartelle sparse ….
Venerdì 29 luglio 2022. Ripartiamo da Skye e salutiamo ancora l’Eilean Donan Castle : oggi iniziamo ad avventurarci sempre più in alto lungo la mitica North Coast 500 (500 miglia e circa 800 chilometri) sotto un cielo azzurrissimo : la mitica strada che segue il percorso litoraneo del territorio delle Highlands. E’ stata definita come “la risposta scozzese alla Route 66” ed è stata creata nel 2014 per favorire la conoscenza di questo territorio selvaggio e spettacolare. Anche non sapendolo, se si viaggia nelle Highlands si percorre questo tracciato, che non ha molte alternative ( a parte piccoli sentieri per il trekking). La bellezza del paesaggio è decisamente aumentata dalla quasi totale assenza di attività umane, sempre più evidente mano a mano che si procede verso nord : percorriamo decine e decine di chilometri senza incontrare alcuna abitazione o struttura ; non ci sono cavi elettrici… A perdita d’occhio solo colline, rilievi, avvallamenti, montagne, acque, fiori e vegetazione, cielo, nuvole e vento, in composizioni sempre diverse e abbaglianti. Poi – immersi in questi paesaggi grandiosi – ogni tanto improvvisamente compare una casetta bianca appoggiata su uno scoglio ad osservare il mare, o un grande albergo in pietra grigia e silenziosa, o piccole fattorie circondate dai boschi, con animali che ti guardano intensamente senza scappare.
Dal sito di Visit Scotland : Nulla è paragonabile alla libertà che si prova su una grande strada aperta. Strade secondarie senza fine, ampi tracciati tortuosi e percorsi misteriosi attraverso alcuni dei più splendidi paesaggi costieri della Scozia: queste sono solo alcune delle attrattive che potete aspettarvi dalla North Coast 500, la versione scozzese della Route 66. La North Coast 500 è molto più di una semplice strada: è l’ultima sfida di un ciclista, un sogno per gli escursionisti in collina, un parco giochi per kayakisti, un paradiso per i nuotatori selvaggi; è un’abbondanza di ampi spazi aperti, sede di alcune delle migliori spiagge della Scozia e uno dei posti migliori nel Regno Unito per gli osservatori del cielo notturno. E il modo migliore per esplorare il paesaggio meravigliosamente aspro delle North Highlands è rallentare, impostare la base e fuggire all’aria aperta.Allacciate le cinture e partite per il viaggio della vostra vita.
Attraversiamo Lochcarron e – dirigendoci a Kinlokewe – ammiriamo lo splendido panorama del Loch Maree (lock: lago) e del Glen Dockerty (Glen : valle montana profonda e stretta). Facciamo colazione in uno splendido angolino affacciato su una baia sabbiosa del loch Maree – lungo 20 km. – circondata da felci ed erica.
Ed infine approdiamo a Gairloch , dove non possiamo non sostare : rimaniamo abbagliati dall’immensità della spiaggia dorata e dai mille colori del mare che si apre improvvisamente di fronte ai nostri occhi . Ci dispiace non aver portato il costume da bagno insieme alla giacca a vento… Anche la Nina apprezza il luogo e si scatena in corse velocissime in spiaggia : alla fine sorride felice lasciandosi spettinare dalla brezza fresca.
Ci dirigiamo poi a Poolewe, a pochi chilometri, per visitare gli Inverewe Gardens : una dozzina di giardini, collegati da una labirintica rete di sentieri, che – alla stessa latitudine di Mosca o della Baia di Hudson beneficiando della corrente del Golfo – ospitano raccolte di piante provenienti da paesi lontani (Cile, Tasmania, Cina, Himalaya, Sud Africa, Nuova Zelanda) grazie alla passione del fondatore Osgood Mackenzie’s che ereditò la tenuta dal patrigno nel 1862. Il suo lavoro fu proseguito dalla figlia Mairi Sawyer, che alla sua morte lo cedette al National Trust nel 1951. “Un paradiso nato dal sogno di un padre e di una figlia . che hanno creato un giardino sul lago in mezzo ad una natura selvaggia e sterile sulla costa atlantica delle Highlands nord occidentali”. Il giardino sottomarino di Inverewe è un luogo speciale anche per la fauna marina, perché contiene una vasta area protetta di letti di maerl , la barriera corallina scozzese.
Dal sito della Scotland’s Nature Agency . Il maerl vivente è un’alga dura viola-rosa che forma “tappeti” sottomarini appuntiti sul fondo del mare, noti come “letti maerl”. Come tipo di alga “corallina”, il maerl deposita il calcare nelle sue pareti cellulari mentre cresce, creando uno scheletro duro e fragile. Le famose spiagge bianche della Scozia occidentale non sono fatte di corallo ma di frammenti di maerl morto, schiacciato dalle onde e sbiancato dal sole. Le aggregazioni di maerl viventi non attaccati sono spesso chiamate “rodoliti”.
Le due specie comuni scozzesi di maerl sono difficili da distinguere:
Phymatolithon calcareum è molto diffuso
Lithothamnion glaciale è più settentrionale nel suo areale
Sulle coste aperte esposte ad alcune onde, il maerl cresce come dischi appiattiti. Dove c’è meno azione delle onde, spesso forma noduli densi, ramificati e spinosi fino a 10 cm di diametro. In molte zone della costa occidentale, e nei laghi marini si restringono, ampi letti di maerl vivente si sviluppano sopra una profonda ghiaia di maerl bianco morto. Questi letti di maerl sono un habitat importante per molte piante e animali marini più piccoli (bivalvi, ricci,cetrioli di mare, anemoni,worms). Le giovani capesante in particolare cercano letti maerl viventi come aree di asilo nido. Proteggere i letti di maerl aiuta quindi a sostenere la nostra industria della pesca delle capesante. Tuttavia, il dragaggio delle capesante ha dimostrato di causare danni significativi ai letti di maerl e alle loro specie associate. Fragile e a crescita lenta, il maerl può infatti essere facilmente danneggiato da dragaggi, ancore pesanti e catene di ormeggio. Si prevede che Maerl sarà influenzato negativamente dall’aumento delle temperature e dall’acidificazione degli oceani causati da cambiamento climatico.
Concludiamo la visita alla House dove si respira ancora l’atmosfera dei primi anni del novecento e si intuisce la passione dei proprietari per il contatto diretto con la natura, e al favoloso orto-giardino affacciato sul mare dove vorremmo davvero tutti vivere, circondati da fiori, frutti ed ortaggi. Nel gennaio 2022 l’uragano Corrie ha purtroppo distrutto il bosco di rododendri e sradicato 70 alberi (il più grande pino scozzese del giardino, eucalipti, abeti ) che giacciono ancora con il loro piano di radici divelte, causando danni ingenti, ancora sotto i nostri occhi.
Riprendiamo il viaggio ed arriviamo ad Ullapool (1300 abitanti circa), il più importante centro abitato del nord ovest , che sorge su una riparata lingua di terra che si allunga nel Loch Broom, che in realtà non è un lago ma un profondo fiordo. Entriamo in campeggio sotto un cielo grigio/nero ed una sottile pioggerellina. Dopo le rapide operazioni di cura del camper e di noi stessi, corriamo – vento in poppa – verso la nostra agognata cena di pesce (non fish and chips però) a cui stiamo pensando dall’inizio della vacanza. Il grande piatto di pesce da condividere, le cozze, la golosa soup of the day alle patate dolci arancioni da Seaforth, dove occupiamo gli ultimi posti. Tutto ottimo, proprio come le cose a lungo desiderate….
Arriviamo in camper giusti giusti per non bagnarci troppo : camomilla e buonanotte…
Sabato 30 luglio 2022. Dopo i bagordi serali facciamo una colazione molto leggera e partiamo con l’entusiasmo nelle vene, per affrontare il tratto spesso descritto come il più spettacolare delle Highlands . Il percorso con le strade più difficili , quasi tutte one way strette/strettissime (non idonee per i mezzi superiori a 8 metri) con frequenti passing place (di lunghezza inferiore a 8 metri appunto) : e qui più diventa difficile, più diventa bello … Nonostante il tempo piovigginoso e le nuvole che a tratti -con la bruma- nascondono il paesaggio, non saremo affatto delusi. Le stradine sono molto caratteristiche, e scendono impavide in mezzo alle montagne, si arrampicano coraggiose su colline e scogliere, con curve continue dettate dalle necessità del territorio, e riescono a stringersi tra muretti ed alti argini oltre ogni ragionevole previsione. (prime tre foto da internet). Ci dirigiamo verso Lochinver tenendo la stradina costiera : incontriamo sul nostro percorso centinaia, migliaia (forse milioni) di pecore, che pascolano libere e circolano anche loro sulla North Coast con diritto di precedenza assoluta ( e iniziano a saltellare anche nei verdi prati della nostra immaginazione quando andiamo a dormire) : incontriamo ogni genere di segnalazioni rudimentali che allertano sulla loro presenza. E ci chiediamo in continuazione dove abita chi le accudisce : sono infatti tutte rasate e in salute. Ogni tanto incontriamo una piccola fattoria dalla forte identità : non può che essere scozzese….
Arriviamo a Lochinver – che segna il momentaneo ritorno alla civiltà – in tarda mattinata giusti giusti per un giro in paese : con i suoi 600 abitanti è un villaggio con una atmosfera molto tranquilla, ed uno dei porti pescherecci più attivi della Scozia (le sue grandi strutture occupano praticamente mezzo paese, e si elevano sul resto del paese in modo un po’ impressionante. Arriviamo al Lochinver Larder, superchiosco che produce eccezionali sformati fatti in casa, con ripieni molto particolari : carne, verdure, castagne, mele, mirtilli. Alcune delle sue pie sono state premiate –meritatamente- come le migliori della Scozia . Pranzetto delizioso in camper, affacciati alla baia sferzata da un bel vento gelido.
Proseguendo verso nord, sempre sulla litoranea, arriviamo a Cloahtoll, una spiaggia sferzata da un vento gelido che ci costringe a metterci tutte le felpe e giacche in nostro possesso ; l’acqua è azzurra e sembra uscita da un quadro di Turner, la sabbia bianca, le rocce rosse o scure raccontano che è passato un attimo dall’ultima eruzione vulcanica o dall’ultima glaciazione. Scende una pioggerellina fine e battente, che sembra provenire da ogni dove : nonostante ciò qualche ragazza coraggiosa si toglie il piumino e fa il bagno (con la muta). Alcuni cartelli ci avvisano di tenere i cani al guinzaglio e di fare attenzione alle carcasse di uccelli, perché probabilmente colpiti dall’influenza aviaria. Da qui in avanti avvisteremo infatti alcuni resti di gabbiani, ma anche di splendide sule. Contagiati dalla bellezza del posto, facciamo una passeggiata sulla scogliera, oltrepassando i cancelli che separano diversi pascoli e passeggiando su un prato spesso, soffice e imbevuto d’acqua. La pioggia ci costringe a rientrare in camper e riprendere il nostro percorso .
Attraversiamo un alto passaggio in quota immerso nelle nuvole ; poi costeggiamo una miriade di ampi laghi pieni di ninfee ; ci addentriamo poi in un’ampia vallata immersi nel verde placido di alte colline digradanti ricoperte di brughiera ; poi alla destra della nostra stradina che inizia a scendere dolcemente si elevano tre monti ( il Ben Hope 927 m. ; il Ben Hee 873 m. ; il Ben More Assynt 998 m.) ; poi compare alla nostra destra l’ampio fondale sabbioso di un profondo fiordo oltre il quale si eleva un imponente massiccio roccioso, che costeggeremo per chilometri e chilometri ammirando i rivoli ondulati lasciati dalla bassa marea sferzati dal vento, che ha portato via le nuvole e riaperto un cielo azzurrissimo. Non sappiamo piu’ dove guardare, dove fermarci, dove andare … siamo veramente persi in questa grandezza , e qui nel silenzio e nello sguardo solitario a questo tutto, sembra di ritrovare il richiamo più forte della nostra anima.
Arriviamo a Keoldale, località (non possiamo dire villaggio, perché sono presenti solo un piccolo parcheggio, una spiaggia, un albergo, un molo dal quale parte un barcone per escursioni a Cape Wrath) posta all’inizio del promontorio costellato da spiagge di sabbia bianca affacciate su un mare che ha tutti gli azzurri e i blu del mondo ed appoggiate su alte dune sabbiose ricoperte di vegetazione. Decidiamo di fermarci per la notte e ammiriamo la risalita della marea che riempie rapidamente i chilometri e chilometri del fiordo. Passeggiamo nella spiaggia dove avvistiamo una beccaccia di mare ed un piccolo spioncello marino e arriviamo al piccolo molo dove partono i barconi per traghettare il fiordo e fare escursioni guidate a Cape Wrath. Lo sperone roccioso che delimita l’altro lato del fiordo è un’area di esercitazioni militari : un cartello ci informa che domani non sono previste attività di bombardamento, per cui decidiamo di fare l’escursione .
Ci troviamo nel North West Highlands Geopark, che fa parte di una rete di oltre 240 aree di rilevante interesse geologico, riconosciute dall’UNESCO, e in particolare in una tappa della Pebble Route 4 (la strada delle pietre numero 4). Il fiordo comprende anche l’estuario del fiume Dionard , e questa particolare conformazione lo rende l’ambiente ideale per la pesca al salmone. La struttura del terreno (arenaria cambriana) lo ha reso un suolo fertile, adatto per attività agricole e pastorizia. Ci troviamo infatti nel territorio della fattoria Keoldale, una delle più estese della Scozia (che contiene anche un insediamento dell’età del bronzo) ; verso le 21 un anziano rappresentante della stessa bussa alla nostra porta e ci chiede di pagare il contributo per il parcheggio notturno (15 sterline), rilasciandoci regolare ricevuta scritta con calligrafia tremolante.
Quando il fiordo è oramai stato completamente riempito dall’acqua che risale dal mare, inizia lo spettacolo del tramonto, con il sole che si tuffa letteralmente dietro Cape Wrath continuando a lanciare raggi luminosi nel cielo, mentre sopra la collina dietro di noi si deposita -come una immensa e soffice coperta- una enorme nube lenticolare che diventa sempre più rosa .
Domenica 31 luglio 2022 . Risveglio a Keoldale : ci spostiamo subito nel parcheggio del piccolo molo dove aspettiamo il barcone che ci porterà a Cape Wrath. Sulla nostra carta geografica il luogo viene contrassegnato con le parole “Danger Area”, per la presenza di forze militari (di aria , di terra e di mare contemporaneamente) che fanno esercitazioni (bombing) su bersagli colorati dislocati nel territorio, con un calendario abbastanza fitto (le esplosioni si sentono chiaramente fino al vicino vilaggio di Durness. . Dopo una bassa marea notturna, siamo nuovamente in alta marea . Il barcone è una enorme vasca di metallo che ci porta alla partenza del pulmino dove un
Visitiamo quindi Cape Wrath, promontorio selvaggio di proprietà del Ministero della Difesa, area di addestramento militare e di “tiro vivo” , di 280 Km. Quadrati, che comprende le più alte scogliere dell’isola britannica, protese verso l’oceano Atlantico : qui siamo più vicini all’Islanda che a Londra , e la prima terra che incontreremmo se ce ne andassimo via mare verso ovest sarebbe la Groenlandia.
Da Wikipedia .
Le rocce sono composte da arenaria torridoniana e gneiss lewisiano : salgono a 281 metri sul livello del mare e includono le scogliere più alte sulla terraferma britannica a Clò Mòr a circa 4 miglia (6 km) a est del promontorio ; vicino alla costa si staccano alcuni faraglioni, come Stac an Dùnain al promontorio stesso e Stac Clò Kearvaig a est noto anche come “La Cattedrale” per l’aspetto di due guglie e una finestra naturale creata dall’erosione , con Duslic una barriera corallina circa 1,0 km a nord. La sua posizione esposta a nord può dare origine ad alcuni livelli di sole invernale eccezionalmente bassi: nel gennaio 1983 ha registrato solo 38 minuti di sole, un minimo storico per la Scozia. Questa posizione esposta, tuttavia, significa anche che il forte gelo è raro rispetto alle località interne. I forti venti possono essere una caratteristica delle condizioni meteorologiche al promontorio, con raffiche di 230 km / h. Le scogliere intorno al promontorio sono un sito di nidificazione di importanza internazionale per oltre 50000 uccelli marini. Il numero di uccelli marini nell’area ha visto un declino significativo all’inizio del 21 ° secolo con il numero di pulcinelle di mare in calo del 50%. La vegetazione in cima alla scogliera in siti come Clò Mòr comprende lo scorbuto comune Cochlearia officinalis , l’erica Calluna vulgaris , il ginepro Juniperus communis e le felci ; sono presenti una vasta gamma di habitat che includono dune di sabbia in cima alla scogliera al promontorio stesso e habitat montani trovati a livello del mare.
Dal 2005 l’area è stata utilizzata come area di addestramento multiservizi ed è uno dei siti utilizzati nelle esercitazioni Joint Warrior, la più grande esercitazione militare europea, e da altre operazioni della NATO. Questo utilizzo è consentito fino a 120 giorni all’anno, e di solito si svolge in primavera e in autunno, anche se i tempi possono essere imprevedibili. Il territorio è solitamente aperto al pubblico durante il periodo estivo e raramente si spara la domenica. È l’unico posto nell’emisfero settentrionale in cui le forze della NATO combinano capacità terrestri, aeree e marittime in modalità assalto per manovre di addestramento, schierando ordigni fino a bombe da 1.000 libbre (450 kg). Nel 2008 causarono un incendio che interessò 140 ettari di terreno , che impiegarono oltre 10 anni per ritornare alle loro condizioni naturali . Inoltre vengono espresse preoccupazioni sull’effetto delle esercitazioni militari sulla nidificazione degli uccelli marini, sulla salute delle pecore e dei residenti locali. Inoltre nel 2002 una pioggia di proiettili cadde a soli 2 km dalle abitazioni, a 13 km. dall’obbiettivo. Il promontorio è la meta finale di due sentieri : The Cape Wrath Trail (320 Km) e lo Scottish National Trail (740 kilometres). Gli unici abitanti stabili del promontorio sono la famiglia Ure che gestiscono il bar Ozone vicino al faro (il più remoto d’Inghilterra), e due camere. Una strada accidentata di circa 18 km collega il faro con il Kyle of Durness che è attraversato da un servizio di traghetti passeggeri che opera tra maggio e settembre. La strada fu costruita come parte della costruzione del faro nel 1828 e, in alcuni punti, utilizza una serie di strade rialzate rocciose per attraversare torbiere e rivetti per mantenere un percorso lungo pendii ripidi. I materiali per la strada sono stati estratti localmente. La strada è segnata da pietre miliari e attraversa i fiumi Allt na Guaille e Kearvaig su ponti ad arco temporanei. La strada, la U70, passa per la frazione di Achiemore dove un check-point del Ministero della Difesa blocca l’accesso al promontorio durante le esercitazioni di tiro dal vivo. Passa le fattorie di Daill e Inshore, dove il Ministero della Difesa usa le abitazioni, prima che una pista a destra colleghi la strada al vecchio borgo di Kearvaig, dove c’è una spiaggia e Kearvaig House che la Mountain Bothies Association ha convertito in un boothy. Margaret Davies, camminatrice lungo questi percorsi che vi si era rifugiata, è stata trovata lì quasi morta di fame nel 2002.
Margaret’s story. Two weeks ago a 39-year-old artist was found starving in this bothy in one of the remotest parts of Britain. She later died in hospital. But what had she been doing there? Why hadn’t she gone for help? And why did no one else know she was here? Libby Brooks travelled to Cape Wrath in search of answers
Wednesday 18 December 2002 . The Guardian . All that remains of Margaret Davies’s stay in Kearvaig Bothy is a Woolworths bag stuffed with rubbish – mottled tea bags, Kit Kat wrappers and two empty packs of dried rations. On the windowsill where she left a note begging for food sits a jam jar of dried-out wild flowers in a stagnant inch of liquid. The cinders in the open grate are flaky and insubstantial, suggesting she may have been burning paper and other debris after running out of driftwood collected from the beach that borders this isolated stone cottage. And opposite the fireplace is the low, netted bed base where Davies lay, weakening, until her discovery 13 days ago. She died in hospital two days later. We will never know conclusively what happened to the 39-year-old artist during her final weeks alone on the desolate Cape Wrath peninsula, the north-western tip of the British mainland, which takes its name from the old Norse hvarf, meaning “turning point”. She had told her parents, in Danbury, Essex, that she was not planning to return until after Christmas, and she had left gifts for her nephew and niece. No one from the Sutherland area recalls seeing or speaking to her, and the last evidence of her travels was a bus ticket from Inverness dated September 25. It is believed that she was walking the Cape Wrath trail, an intensive two-week hike north from Fort William, and had camped out before retreating to the bothy. When the local constabulary removed the tent which she had pitched in a sheltered nook closer to the sands, they estimated that the heather beneath had been dead for three weeks. A handwritten manuscript found beside her remains in police custody. Her mother Wendy believes that Davies, a prolific writer and painter, was working on a treatise on the nature of solitude, and had come to Cape Wrath to experience the intensity of isolation. But it is perplexing that the Cambridge-educated geographer and experienced traveller, who had trekked alone through Afghanistan, Nepal and the Ukon, should apparently fail to bring sufficient food and heating supplies. Notes found on the window of the bothy and by the bed begged passers-by to bring food. Although the authorities last week confirmed that they had found no suspicious circumstances surrounding Davies’s death, and dismissed press speculation that she had been a follower of Breatharianism, the Australian cult which advocates subsistence on fresh air and light, her passing remains a mystery. “I’ve no idea what happened to her,” says Hamish Campbell, one of the shepherds who found Davies. “She had left that note on the windowsill and there were others by the bed. But usually people bring more supplies than they need. She said she was thirsty but there was water right by her. [The bothy is bounded by two freshwater burns].” It was six months since Campbell had last visited Kearvaig beach. There are no working crofts on the peninsula, which is used as a naval gunnery range by the Ministry of Defence, although farms around Durness, the nearest village, continue to graze some livestock there. On December 5, Campbell was bringing the remaining sheep in for the winter, following the rocks along from the lighthouse to the west, while his colleague Alistair Sutherland worked his flock towards the open beach from the east. They brought the animals together around midday. “It was lovely weather and we discussed whether to have our sandwiches outside. But the bothy door was ajar, which is unusual because normally the people who use it are careful to keep it secure. We went in and there she was, lying on the makeshift bed. I didn’t know if she was alive or dead, but then I saw her throat moving and I put my hand on her. She was terribly anaemic and emaciated. She moaned and raised her arm.” While Sutherland started the three-mile run towards the lighthouse for assistance, Campbell lit a fire with some old newspapers and attempted to comfort the semi-conscious woman. “She couldn’t speak. I told her that Alistair had gone for help but I think she was beyond understanding.” Davies died two days later, after being airlifted by coastguard helicopter to the Western Isles Hospital in Stornoway. A postmortem examination last week confirmed that she had died from hypothermia. A traveller in search of isolation will find it at Kearvaig in December. The bothy is set above the shoreline of a wide, pristine beach, where the breakers unfurl on the north Atlantic tide. To the east, the land sweeps up to the Clo Mor cliffs. To the west, the hillside is scarred by the annual heather burning, the colours blending from charred brown through pale gold and russet and back to green. It is terribly beautiful. The three-room cottage is maintained by the Mountain Bothies Association, and provides shelter for the trekkers and birdwatchers who come to Cape Wrath during the summer season. But from September onwards, as the weather conditions grow increasingly savage, the ferry stops running across the Kyle of Durness, the inlet which separates the peninsula from the village. Temperatures regularly dip below freezing. There is no mobile network coverage on the Cape, and the only telephones are those contained in the well-secured MoD guard huts. The nearest house is seven miles away, but lies empty during the winter months. From the bothy, it would have taken more than a day’s hike over rough terrain to reach habitation. But all roads eventually lead to somewhere. How did Davies end up with neither time nor physical strength to walk towards help? It was coastguard John Ure who met Sutherland as he made his way to the lighthouse that morning. He remains quietly confounded by the coincidence – it can be weeks between cars passing on that road, he says. “There was a bug going round up here a few weeks ago, and if you had that you wouldn’t be going far. She must have caught it and things deteriorated from there. I think she just got caught out. People are surprised that there are still places in this country where that can happen.” The options for a sick woman would be even more limited, he notes. Both the bothy and Davies’s tent were out of sight of the road. “Had she been carrying a flare, someone might have seen it from Durness. There is a guard hut three-quarters of a mile from the bothy, with food and water and a phone, but she’d have had to make a good effort to break into it, and it’s not marked [on the map] so she perhaps didn’t realise it was there. Even if she’d made it to the road, it could be weeks before anyone came by.” It is a steep 20-minute trek across loose rocks and pooled burn water from Kearvaig beach up to the single track road. In a weakened state, and with no guarantee of help at the top, Davies may have considered it wiser to preserve her waning energy and remain in the relative shelter of the bothy. There she scribbled her plea: “Running low on food and dry milk. Willing to pay anyone who can bring food.” Had she run out of fuel? Did she panic? Or did she succumb to the advanced stages of hypothermia, the symptoms of which which can include listlessness, confusion and – most dangerously – a euphoric denial on the part of the sufferer that there is anything wrong. Davies’s parents believe that their daughter’s death was the consequence of a tragic misjudgment. “She liked to experience hardship,” says her mother Wendy, “and it wasn’t out of character for her to stretch herself far. She often came back from travelling very thin.” She last saw her daughter when she drove her to the station to catch the coach to Inverness at the end of September. “I remember her warning me that we probably wouldn’t hear from her because it was difficult to get to places with phones. I spent a great deal of her adult life worrying about her.” Wendy says that her family – Margaret’s father Richard and her two brothers and two sisters – have been deeply distressed by suggestions that Margaret died while following a Breatharian regime. Local press initially linked the death to that of an Australian woman Verity Linn, who was found dead beside her tent three years ago on a hill at Loch Cam, in Sutherland, after fasting for several days. “She hadn’t run out of money and it wasn’t deliberate. She had some fish hooks with her and perhaps thought she could catch something.” Wendy describes her daughter as an intensely private woman, who thrived on physical and mental challenge. “She wasn’t interested in money. All she wanted was enough to go travelling. Scotland was one of her favourite places. She spent the summer in Israel, working for the UN, and later visited Nepal, where she taught English, as well as trekked. She came back here to recuperate, and left us again, bonny and plump.” She says that her daughter had left behind jottings on the philosophy of solitude, and believes that this was her next writing project. “She was a loner but she never complained of being lonely. She liked to experience something first-hand so that she really knew about it before she wrote about it.” As a teenager, Davies had contracted osteomyelitis – an infectious inflammation of the bone – which left her with a severe limp. “That makes it all the more amazing that she went walking with a heavy backpack,” says her mother. “She would complain that she ached, but she had a lot of determination.” After graduating in 1985, Davies qualified as a teacher, but did a variety of jobs to fund her travelling. She wrote poems, short stories and illustrated children’s books, which she occassionally sent off for consideration. Although she did not market her paintings, Davies had exhibited in a gallery in Chelmsford and was listed on the Axis website, a database of contemporary artists. On the site she explained: “My aim is to make a statement about the human condition, whether on an emotional, psychological, sociological or philosophical level. Although I occasionally paint landscapes, the paintings which are most meaningful to me are those in which I try to capture the essence of an emotional state or to express an idea.” The local weekly, the Northern Times, carries a section on hypothermia in its “Watch out for winter” page. As the festive season approaches, Kearvaig Bothy will be busy again as walkers arrive to see in the new year amid the wild and lonely beauty that so drew Margaret Davies.
Vi risiedono pochissimi abitanti, in alcune fattorie solo nel periodo estivo e nel faro di Cape Wrath, dove il bar Ozone è gestito da una anziano signore e la figlia, che vivono lì, in totale isolamento per buona parte dell’anno … E risiede qui anche una ricca fauna : foche nell’ingresso del fiordo, cervi, una coppia di aquile reali, migliaia di uccelli marini, tra i quali i famosi puffins, i pulcinella di mare (che però sono appena migrati sulle isole Ebridi), gli albatros e le sule . Anche la flora riserva sorprese : i prati sferzati dal vento sono punteggiati da piccole bandierine bianche sfilacciate che non sono riuscita a identificare ; crescono piante carnivore nutrite dai famigerati midges succhiasangue ; cresce anche un muschio dalle miracolose proprietà antinfiammatorie e assorbenti, che veniva essicato ed usato per medicare ferite e come pannolino. Avvistiamo qualche torrente, qualche pulmino abbandonato ai bordi del sentiero (quando i mezzi si rompono, vengono abbandonati dove sono e magari colorati di giallo e bombardati, perché sarebbe più che complicato rimuoverli) qualche bersaglio colorato, null’altro : attraverso un sentiero sconnesso e pieno di buche (20 Km.), due ponticelli “pericolosi” (accompagnati dal commento dell’autista : “speriamo che reggano anche stavolta…e comunque la caduta non sarebbe troppo alta”) ed un paesaggio brullo, severo e scolpito dal vento dall’acqua (la brughiera acquitrinosa denominata parph) ed anche dalle bombe, arriviamo al faro, dove ci viene chiesto di non lasciare alcun rifiuto e di affidarci alla natura per i rifiuti organici, per quanto possibile : in caso di utilizzo del bagno, evitare (se non necessario) di consumare acqua inutilmente. Ci viene anche consigliato di fare attenzione praticamente a tutto: dirupi, scogliere altissime, prati scivolosi, colline instabili, serpenti velenosi, piante carnivore, residui metallici esplosivi, raffiche di vento improvvise (che pare possono farti volare via). Il nostro autista è un ex camionista, ma soprattutto un poeta-musicista , che ci racconta questo territorio, che anche John Lennon amava e dove trascorreva le vacanze estive ospitato da una zia che si è sposata nella romantica chiesetta della spiaggia di Faraid Head, ora diroccata : quando socializziamo un po’ vuole farci leggere alcune delle canzoni che ha scritto, e ne manderà molte alla Jessica via mail , e ci dà consigli utili per la visita del territorio.
Dopo un caffè allo spartano bar Ozone, dove il gattino bianco e nero è il cliente piu’ viziato (gli viene servito un bel ricciolo di panna montata in un piattino di ceramica blu e bianca), visitiamo il Capo dalla cima della sua alta scogliera. Il faro è una bella torre bianca alta 200 metri, costruita nel 1828; fu presidiato fino al 1998, quando fu convertito al funzionamento automatico. La sua luce è visibile per 22 miglia marine (41 Km.) ; in caso di malfunzionamento o di nebbie molto dense, si associa un allarme sonoro (che renderà la vita difficile ai gestori del bar Ozone)…
Al ritorno facciamo una tappa per ammirare il faraglione Stac Clò Kearvaig, detto “La Cattedrale” per l’aspetto di due guglie e una finestra naturale creata dall’erosione ; nella spiaggia c’è anche un boothy . Scopriamo che nel territorio selvaggio scozzese esistono questi ripari , piccole casette in pietra con la porta sempre aperta, disponibili per i camminatori per la sosta gratuita : sono semplicissimi bivacchi senza elettricità, acqua o luce, con un caminetto. Per quello sulla spiaggia di Kervaig si sta presentando il problema di permanenze gratuite troppo prolungate in questa sistemazione privilegiata … E quasi alla fine del viaggio di ritorno, in mezzo al grande fiordo, avvistiamo alcune foche che si godono il sole e la fresca corrente dell’acqua su un affioramento sabbioso.
Ci dirigiamo poi con decisione a Faraid Head dove pranziamo molto velocemente per fare una delle più belle passeggiate di questa vacanza (10 Km.) : lungo l’enorme spiaggia (impieghiamo mezz’ora per percorrerla tutta sotto un cielo azzurrissimo dove corrono veloci nuvole bianche) e attraverso le imponenti dune di sabbia (alte oltre 20 metri) che nascondono altre spiagge bianchissime, con l’acqua azzurra e cristallina. Queste dune si sono formate grazie all’azione del fortissimo vento, che ha prelevato la sabbia dal fiordo di Durness (scavandolo) , trasportandola sopra il mare, e depositandola nella lunga striscia che ha lentamente formato il promontorio di Faraid. Un grandioso gioco di creazione …. Le altissime dune sono ancora sabbiose sul lato verticale affacciato al mare, dove soffia ancora un fortissimo vento, mentre digradano più dolcemente sul lato opposto, coperto di vegetazione. La sabbia delle spiagge – bianchissima – è formata da frammenti di conchiglie che si sono frammentati da 4000 anni fa e continuano ancora oggi … prendo un pugno di sabbia e la lascio cadere lentamente nel vento : pensando che mi stanno rotolando in mano conchiglie di 4000 anni… E non vorrei più andare via da questo incanto. Unica nota triste : le tre bellissime sule morte che incontriamo in spiaggia (influenza aviaria ?) . E invece torniamo al camper sotto un cielo che diventa sempre più grigio ; invidio i conigli che abitano a migliaia le dune sabbiose, dove hanno costruito favolose gallerie e che ci osservano attenti sulle loro verande, pronti a nascondersi se necessario .
In ultimo alcune fotografie a : il Balnakeil Cemetery affacciato sul mare (dove riposa la zia di John Lennon) , ai resti della Balnakeil Church, alla splendida Balnakeil Farm (proprietaria del passaggio). Con gli occhi, la mente e il cuore pieni di luce e vento, ci dirigiamo poi alla vicina Durness, che attraversiamo velocemente per sostare brevemente alle Smoo Cave : nella grotta principale una cascata scende dal centro della volta … ma le scarse piogge di questa estate hanno seccato il torrente che la alimenta. Le visite però per oggi sono chiuse (e comunque richiederebbero una ardita discesa su una scaletta metallica verticale che ti porta al barcone che rende possibile la visita al dedalo di grotte allagate). Per cui ci accontentiamo di una veloce passeggiata sui sentieri del luogo.
Proseguiamo quindi verso Tongue : costeggiamo i due lati del Loch Eriboll (in realtà un profondo fiordo delimitato da altissime colline che cadono in mare ), per avvistare poi ed infine attraversare un altro fiordo, su un lunghissimo ponte. Approdiamo infine al campeggio di Tongue, accolti da un annoiatissimo impiegato che raccoglie le prenotazioni per la cena da asporto fornite dalla cucina che serve il anche un piccolo albergo. Veniamo anche assaliti da un battaglione affamato di midges succhiasangue : facciamo una lavatrice, in una atmosfera generale un po’ marziana tra persone che girano con le orrende retine verdi in testa e lenzuoli arrotolati addosso a mantello. Vista l’atmosfera generale, decidiamo di rinunciare alla passeggiata serale in paese (distante circa 2 Km., salita all’andata e discesa al ritorno).
Approfittiamo per rivedere il nostro programma di viaggio : per fare metà della North Coast 500 abbiamo impiegato tutti i giorni che avevamo preventivato per l’intero percorso, che invece richiede almeno 8 giorni (meglio 10). A questo punto – tenendo conto dei giorni di ferie che restano alla Jessica – dobbiamo scegliere se completare la Route o dirigerci verso le città . Anche perché a Tongue c’è l’unica strada alternativa al percorso completo. Scegliamo la seconda opzione, in quanto siamo oramai certi che torneremo Scozia per un altro viaggio .
Lunedì 1 agosto 2022. Abbandoniamo quindi la North Coast – a malincuore – e rinunciamo alla parte a est – temporaneamente : prendiamo l’ultima strada disponibile che scende verso Inverness attraversando il cuore delle Highlands (A836), attraverso paesaggi sempre spettacolari. Costeggiamo il Loch Loyal (un vero lago) ; attraversiamo territori collinari/montuosi, praterie verdi, brughiere, acquitrini, boschi ; costeggiamo/attraversiamo alcuni fiordi ( Dornoch, Cromarty Firth, ed infine il Moray). Ci circonda una esplosione di colori sotto un cielo azzurro e terso : paesaggi coltivati (i primi che vediamo in Scozia) con ampi campi di grano dorato che brilla al sole , delimitati da ciuffi di fiori viola e più discrete distese di erica a ricoprire completamente i pendii più dolci delle colline . Approdiamo infine al campeggio (Bought Drive, che si rivelerà tranquillo e comodo per la visita del centro città , ma decisamente costoso con servizi carenti) a Inverness (100.000 abitanti) e partiamo subito per la visita alla città.
Brusco ritorno alla civiltà ed alla folla. Visitiamo le Ness Islands , isolotti sul fiume Ness su cui crescono alberi secolari, collegati da romantici ponti vittoriani bianchi . Seguiamo il fiume Ness (che proviene dall’omonimo lago e dove si pescano i salmoni) fino al centro città . Pranziamo alla Castle Tavern (zuppa del giorno piccantina e pesce) per poi girovagare nel centro città, visitando vari negozi molto caratteristici (whisky, tartan, quilt), il Viktorian Market. Mercato coperto del primo novecento, che – eliminati i negozietti più turistici – ospita ancora antichi negozi che ti catapultano in un’altra dimensione : un negozio di cornamuse, una bottega di orologi ferroviari, un gioielliere che vende esclusivamente anelli di fidanzamento. Scopriamo che però con delusione che quasi tutti i negozi chiudono alle 15-16 e quindi corriamo a vedere la Leakley Book Shop, negozio di libri usati che ha occupato una vecchia chiesa sconsacrata. Saliamo quindi alla Old High Church St. Stephen : dal cimitero antistante abbiamo una stupenda visuale sul fiume e sui ponti vittoriani che lo attraversano. Il suo campanile è stato per anni la costruzione più elevata di Inverness : dal 1703 la sua campana suonava ogni giorno alle 17 per decretare l’inizio del coprifuoco notturno (dopo le 17 infatti per girare in strada occorreva accendere una lanterna ; ma essendo la maggior parte degli edifici costruiti in legno, il fuoco era considerato pericoloso ed evitato ) ; ancora oggi suona ogni giorno alle 20 . Entriamo alla Coop sotto il sole e – dopo una piccola spesa – usciamo sotto la pioggia battente, che ci accompagna per tutto il rientro in campeggio. Decido di fare una doccia, che sarà la peggiore della mia vita : un flebile rivolo di acqua che scende solo premendo un durissimo pulsante (che richiede l’impiego di due mani rendendo difficili ogni altra azioni). Impossibile regolare la temperatura : prima scende un filo di acqua gelata, e sto quindi per desistere, quando inizia a scendere un rivolino tiepido, per cui decido per un rapido shampoo … e a quel punto inizia un rivolo bollente che non riesco a raffreddare neppure chiudendo ed aspettando (bagnata e insaponata) per alcuni minuti. Quasi ustionata ed imprecante torno in camper, avvistando una comitiva di allegri anziani (mi chiedo come hanno fatto a fare la doccia) alloggiati in un Bus Hotel, di cui non conoscevo l’esistenza : un autobus con un rimorchio con tre file di finestrini (che contiene le camere da letto ed una cucina completa). Consiglio visita del sito internet, da annoverare nella categoria “i bus più strani e originali del mondo” : con prezzi che vanno dai 600 ai 6000 euro offrono da una settimana di viaggio in diverse mete europee, a viaggi nel lontano oriente, o sul monte Everest, o nei deserti più spettacolari del pianeta, fino ad un tour dell’Australia della durata di 50 giorni. Anche per oggi : buonanotte .
Martedì 2 agosto 2022 . Colazione veloce con ritorno in centro città per visita di una gioielleria vintage del Viktorian Market, dove ammiriamo alcuni bellissimi gioielli liberty del primo novecento, e dove la Jessica (in altro settore più economico) trova alcuni regalini molto originali . Visitiamo poi un altro negozio del quilt (che vedremo declinato in ogni possibile versione ed utilizzo, anche tra i più bizzarri ) , deludente rispetto a quello di ieri dove una sorridente nonnina faceva gli onori di casa ringraziando per la visita, e ci aveva accolti con una grazia e gentilezza di altri tempi. Dopo aver visitato la Albertarff House (1593), la casa integra più antica di Inverness, e aver attraversato per ben due volte il Woobly Bridge ( letteralmente ponte debole, traballante : e garantisco che non delude le aspettative ), approdiamo al favoloso Mustard Seed, ristorantino che ci offre una splendida visuale sul Ness ed un indimenticabile pranzo : tartare di aringa, spigola in padella accompagnata da una insalatina fredda di patate, cipolline e limone, biscottini al burro che sono così buoni da essere commoventi . Premiato nel 2019 come Best Everiday Dining del Regno Unito .
E’ quindi giunta l’ora di partire, diretti al famosissimo Loch Ness : vorremmo visitare le rovine dell’ Urquhart Castle, posto in posizione privilegiata per ammirare il lago in tutta la sua lunghezza (37 Km.), ma il parcheggio è pieno e per entrare si deve preventivamente prenotate la visita al castello, oggi comunque esaurita. Quindi salutiamo un po’ a malincuore e ripartiamo fiancheggiando il misteriosissimo lago, nascosto da alti abeti ; a differenza di tutto il resto del viaggio l’atmosfera è cupa anche per i nuvoloni grigi e poi la pioggia battente che inizia a scendere, che però non hanno il consueto carattere romantico al quale la Scozia ci ha sinora abituati. Il lago è molto profondo (230 m. , quindi più profondo di gran parte del mare del Nord , oltre ad un fondale di fango e limo), con la superficie scura increspata da rabbiose ondine spumeggianti ; è circondato da aspre montagne che si innalzano rapidamente da una riva boscosa. La sua fama è legata Al Mostro che lo abiterebbe, Nessie (Nessiteras rhombopterix, per i più seri estimatori) , il suo leggendario abitante, che alimenta un enorme indotto economico (musei per chiarire qualcosa che non sembra essere mai esistito ; decine e decine di negozi che vendono ogni oggetto decorato con varie versioni del dinosauro) : e tutto ciò, dopo tanta solitaria bellezza, non ci piace molto. Ci sono le ipotesi più disparate sulla sua esistenza e natura : alcuni sostengono che sia un relitto dell’era dei dinosauri, altri che si tratti di un tritone gigante , o di un enorme storione del Baltico in gita. La vicenda non ci appassiona, piove fitto e quindi procediamo spediti (probabilmente unici turisti in Scozia che non si fermano al misterioso e famosissimo lago). Dopo una delle nostre foto (che documenta nuvole, pioggia e acque cupe e riassume le nostre considerazioni), ho recuperato alcune foto che rendono giustizia a questo lago ed alla sua bellezza ( scattate da mio cognato dal suggestivo Urquhart Castle).
Arriviamo a Fort Augustus dove ci fermiamo in un parcheggio dove incontriamo un segnale di pericolo che ancora non avevamo visto. Facciamo una passeggiata a fianco ed attraversando le 11 chiuse monumentali lungo il Caledonian Canal : consentono alle barche in transito di salire (o scendere) dal livello del lago a quello del canale ( importante via di navigazione che conduce al Loch Oich, e a seguire al Loch Lochy ed infine -attraverso il fiordo di Lorn- al Mare interno della costa occidentale scozzese e quindi al bacino del nordest atlantico).
Attraversiamo quindi un ramo del Loch Linnhe e scendiamo verso il Loch Lommond and Trussach Natural Park, che avevamo già attraversato (su un percorso diverso) e la Queen Elizabeth Forest Park : montagne brulle o ricoperte di muschi, altipiani increspati da onde rocciose, geroglifici di acque in movimento o ferme ; le strade sono un po’ piu larghe ma ciò non migliora la situazione per la presenza di molti camion che sfrecciano a tutta velocità facendoci ondeggiare . Approdiamo a Luss, dove il campeggio è pieno e quindi parcheggiamo sotto la strada principale in un bel parcheggio affacciato sul Loch Lomond . Il cielo è sempre nero e minaccioso, il vento forte, il lago tranquillo. Questa sarà l’ultima notte che passeremo nella Scozia selvaggia che ci ha completamente conquistato : da domani visiteremo le due grandi città e torneremo definitivamente alla civiltà. Buonanotte.
Ely, Cromer, Blakeney Natural Reserve, Wells Next the Sea, Holkham beach Natural Reserve, Holme Dunes Nature Reserve di Brancaster, King’s Lynn, Castel Rising, Snettisham Nature Reserve , Sandringham, Hunstanton Cliffs , Castel Acre Priory and village, Oxburg estate and Hall, Dinant
Mercoledì 28 giugno 2023. Mattina in camper a riposarci e a completare i preparativi per la prossima partenza (pappa della Nina). Andiamo a prendere la Jessica all’uscita dal lavoro : oggi ci aspetta il nuovo spettacolo di Megan, che vediamo insieme ad alcuni degli/le amici/che del corso di teatro di Jessica. Titolo : Strangers, al Lion and Unicorn Pub and Theatre, rappresentazione delle 19.30 (dopo la giornata di lavoro ‘normale’ di Megan, iniziata la mattina alle 6). Racconto della solitudine e della difficoltà di comunicare delle persone nella frenesia esistenziale della metropoli londinese, dove tutto corre velocissimo …. ma dove tutto sembra non cambiare mai. Belli i dialoghi composti dai frammenti di pensiero dei vari personaggi che si incastrano ed articolano tra di loro, come se – del tutto inconsapevolmente – tutte le persone fossero attraversate dagli stessi sentimenti e dalle stesse aspettative, ma non riuscissero a rendere comuni queste esperienze. Sarà il suicidio di un ragazzo a scuotere l’alienante routine. Il personaggio di Megan è quello incontaminato, osservante, non giudicante, fuori dalle caratterizzazioni : osserva con sguardo aperto e stupore le dinamiche individuali degli altri personaggi, più caratterizzati. Alla fine dello spettacolo ti viene l’idea di salutare chi siede vicino a te in metropolitana, o di fare un sorriso ad una signora in bus, o a esprimere un qualsiasi gesto di gentilezza ed umanità nella città che corre. Sintesi di Gabriele : “buio totale , per me si tratta di gente che va a Londra e non conosce nessuno e deve cercare di infilarsi nel gruppo”. Dopo teatro : cena in un ristorante vegetariano, con tutti gli amici di Jessica (Matisse, Megan, la coinquilina di Megan), tutti molto premurosi con noi ed attentissimi a non farci sentire soli . Tutto offerto da Jessica (!!!!!!!!!!!!!!!!), unanimamente soprannominata “la Principessa”.
Rientriamo in camper ringiovaniti di almeno 15-20 anni (ringiovanimento concentrato ai piani alti, sicuramente dalla prima vertebra lombare in su ; sotto, più si scende più aumentano i problemi).
Giovedì 29 giugno 2023. Consueto appuntamento con la Jessica all’uscita dal lavoro : questa sera ci ha regalato lo spettacolo che si tiene in questi mesi al Coliseum Theatre, dove lavora . We will rock you, è il racconto della storia del rock ideato da Ben Elton, stella del teatro inglese (comico, attore, sceneggiatore, scrittore), molto amato dal pubblico che accoglie ogni sua uscita in scena con applausi fragorosi e saluti, che ha lo scopo primario di sostenere la riproposizione delle più famose canzoni dei Queen. Spettacolo del filone dei Juke box musical ci spiega la Jessica : la storia è una trama abbastanza fragile (che ad un certo punto corre il rischio di diventare bella per tanto è brutta). In sintesi, in un distopico mondo futuro – governato dalle forze del male impersonate da una crudele imperatrice dispotica – in cui l’anima delle persone è stata inaridita dalla assenza dell’arte e delle emozioni, ed ogni tentativo di espressione individuale è punito con la reclusione immediata – la riscoperta del rock ridarà un’anima ed una speranza alle persone. Circa : almeno questo io ho capito. Ma la storia – che incorpora nei dialoghi i titoli di moltissime canzoni famose in continui giochi di parole – non riesce proprio a distaccarsi dalla parodia di un videogioco : più procede più diventa scombinata ed improbabile, comunque la guardi . Però è compensata alla grande dalla eccezionale bravura dei musicisti, dei cantanti , dei balleriniche ci donano un grande concerto dei Queen (approvato anche da Brian Adams, intervenuto alle prime rappresentazioni).
E tutto questo : in un palco di prima galleria riservato solo a noi . Un sogno ! Siamo praticamente sul palco e non perdiamo neppure un movimento di scena. All’entrata in teatro la maschera all’ingresso – appena vede che siamo in compagnia della Jessica – squarcia la folla con un ampio gesto del braccio e ci apre trionfalmente il cammino. A mezzanotte rientriamo in camper giovanissimi : io non mi sento più di 20 anni e potrei tranquillamente tirare mattina…. Non fosse che domani partiamo per la nostra desiderata quasi settimana di vacanza con la Jessica.
Quindi : buonanotte ! (oggi 7 Km.)
Venerdì 30 giugno 2023. Completati tutti i preparativi per la partenza ci facciamo la doccia – dopo sollecito all’uscita dei nuovi solerti operatori del campeggio – e ci dirigiamo al parcheggio di Sainsbury di Angel, punto di incontro con la Jessica. Scopriamo però che anche nel parcheggio del supermercato la sosta è limitata a 2 ore, al termine delle quali scatta un costo di permanenza di 90 sterline : quindi facciamo la spesa, consumiamo tutte le nostre due ore gratuite ed usciamo alla ricerca VANA di un parcheggio per il camper in zona Angel. Inesistente : dopo un’ora di peregrinazioni decidiamo di parcheggiare in divieto di sosta sul cancello di uscita della scuola dietro a casa di Jessica . In questa situazione molto precaria, sperando che nessuno ci mandi un’auto della polizia a cacciarci, inizio a mettere sul fuoco pentole, a lavare e preparare verdure, ad apparecchiare, e riesco a produrre la cena per la Jessica e Reef , che ci raggiungono verso le 10 di sera, con valigia e cuscini : olive, acciughine al limone su pane imburrato, cocktail di gamberoni, merluzzo in padella , insalata mista con pomodorini, avocado e anacardi. Quindi, quasi a mezzanotte, riusciamo a partire, dopo i saluti a Reef, che deve lavorare. Abbiamo deciso – dopo molte riflessioni su previsioni metereologiche/distanze chilometriche/presenza di collegamenti via treno con Londra (che servono a Ida per raggiungerci gli ultimi tre giorni) – di visitare la costa nord della regione del Norfolk, classificata come AONB (Area of Outstanding Natural Beauty : area di pregio naturalistico) , che comprende un susseguirsi quasi ininterrotto di riserve naturali protette, con ambienti molto particolari e diversi tra loro, scrigno di biodiversità, paradiso per varie specie, tra cui soprattutto foche ed uccelli migratori e residenti. E’ anche un’area a bassissimo inquinamento luminoso che consente l’osservazione del cielo, e l’unico territorio in Inghilterra dove negli ultimi anni si sono presentate le aurore boreali.
Decideremo strada facendo la destinazione serale, che cade su Cambridge, dove dormiamo all’ombra (lunare) di un college universitario. Tutti molto stanchi. (oggi solo 2 Km., tra gli scaffali di Sainsbury e i divieti di sosta). Buonanotte !
Sabato 1 luglio 2023. Il programma delle prossime giornate è per ora molto vago : appena partiti, dirigendoci verso Cromer (che si trova all’inizio del nostro percorso in direzione ovest sulla costa), troviamo il nostro percorso interrotto dalla impossibilità di attraversare un passaggio basso (altezza consentita fino a 2,8 m.). Mentre cerchiamo un percorso alternativo mi rendo conto che il paese in cui ci troviamo è uno dei più belli della regione, per cui decidiamo di fermarci a visitare Ely. Che si preannuncia notevole, almeno a giudicare dalla quantità di visitatori che attira (siamo nel fine settimana) ; ricerca del parcheggio in paese impossibile ; parcheggiamo a circa 1 km. e ci incamminiamo alla scoperta della cittadina. Partiamo dalla visita alla imponente cattedrale e all’annesso museo Stained Glass Museum . Passeggiamo poi nei vicoli e nei parchi del centro storico, uno dei più grandi nuclei medioevali con edifici integri ed ancora in uso attivo esistenti nel Regno Unito.
Troviamo sulla nostra strada una anziana signora che vedendoci studiare la mappa della cittadina, ci dà una serie di informazioni e consigli : passeggiamo quindi lungo il canale navigabile, dove un simpatico signore ci invita ad osservare il balcone della sua bella casa, dove ha installato due statue a grandezza naturale : una giraffa ed una civetta , commentando con allegra ironia : “ when we made it, it seems a good idea !” (quando lo abbiamo fatto ci sembrava una buona idea). Entriamo poi nell’angusto portoncino di accesso del negozio di antiquariato e anticaglie che ci ha consigliato la signora, che si rivela sconfinato e si sviluppa sui tre piani stretti e lunghissimi di un’antico edificio. Riusciamo a visitare solo un piano e mezzo scarso , ed alle 16 in punto chiudono : per fortuna mi viene da dire perché siamo riusciti a fare acquisti antichi (la Jessica si è concentrata sull’abbigliamento : una giacca ed un completo giacca e pantaloni sartoriale che le sembra cucito addosso, arrivato al negozio questa mattina ; io invece mi concentro sulle cose inutili ed acquisto tre buste di vecchie lettere e francobolli ) . Attraversiamo poi il lungofiume sul quale sta una lunga fila di vecchi salici, con le fronde che ondeggiano dolcemente al vento accarezzandoci, anche con il morbido rumore delle foglie.
Rientriamo in camper e riprendiamo il nostro percorso arrivando a Cromer, oramai all’ora di cena : il paese è bello, ma rimandiamo la visita a domani. Troviamo un parcheggio favoloso, sulla scogliera affacciata al mare, ma ovviamente è un no overnight parking, nonostante sia completamente vuoto. Con alcune acrobatiche inversioni di marcia e manovre Gabriele riesce a parcheggiare non troppo in discesa sul lungomare, sull’unico tratto di strada dove è consentito il parcheggio notturno dei camper. Cena affacciati all’azzurro e buonanotte. Oggi 8 km.
Domenica 2 luglio 2023. Ci trasferiamo di buon’ora nel parcheggio panoramico e paghiamo la sosta diurna ; con una bellissima passeggiata sul lungomare andiamo poi a visitare il centro storico ed il famoso pier. Comperiamo granchi (rimane un mistero il perché questa cittadina abbia i granchi migliori del Regno Unito) , insalata di pesce e cappesante (scallops, che cuciniamo con una noce di burro e sono un incanto).
Pranzo panoramico e trasferimento al Morston Quay, nella Blakeney Natural Reserve : abbiamo prenotato infatti un giro in barca (Beans Boat) per andare a vedere le foche. Con la nostra barchetta rimaniamo all’interno del bacino costiero creato dalla enorme duna semisommersa che anticipa il mare aperto ; in questo bacino naturale le foche hanno trovato condizioni di vita ottimali, che hanno consentito a questa colonia di crescere negli ultimi anni. Ai confini del mare aperto, dove le onde sono belle vivaci, troviamo le foche, sulle isole sabbiose che stanno per essere sommerse dall’alta marea, che nuotano felici intorno alla nostra barca a decine, spuntando dall’acqua e osservandoci curiose, rituffandosi allegramente alla ricerca di pesce.
Siamo in mezzo ad una riserva naturale, senza parcheggi accessibili con un percorso sostenibile (sono oramai le 7, anche se il sole splende alto) ; decidiamo quindi di andare a Wells Next the Sea. Dove troviamo il Mill Farm campsite, campeggio specializzato nell’ospitalità di camperisti con cavallo al seguito : la ragazza che lo gestisce, circondata da bambini, è gentilissima e ci fornisce tutte le indicazioni. Ci informa che il posto è “rustico” : difatti siamo parcheggiati vicino ai recinti dei cavalli, tra le varie costruzioni ed attrezzi della fattoria, in mezzo a campi di grano dorato. Facciamo una stupenda doccia : potente e calda … fino a quando decide di diventare potente e fredda. Tonificante. Buonanotte : 9 km.
Lunedì 3 luglio 2023. Visitiamo Wells, bel paesino raccolto intorno al porto, che rappresenta la principale attrattiva e si allunga per due chilometri accogliendo l’andirivieni delle immense maree. Dovremmo fare colazione con il miglior sausage roll del Regno Unito, che però oggi viene servito solo freddo : quindi rinunciamo, con malumori serpeggianti. Io mi oriento subito ad un roll alternativo prodotta dal forno locale, che ha un bellissimo aspetto : compero anche un po’ di alternative che rimangono nello zaino per il pranzo in spiaggia. Siamo diretti alla Holkham beach, dove arriviamo dopo la oramai consueta visita al Lifeguard shop. Siamo costretti ad allargare il nostro giro , perché nel primo tratto di spiaggia è vietato l’accesso dei cani. Attraverso la bellissima pineta raggiungiamo la fine della spiaggia balneare, dove le casette colorate su palafitte delimitano il confine con la sabbia. La lunghezza della spiaggia è davvero indescrivibile : la marea la risale tutta (1 chilometro almeno) e raggiunge i ripari in legno che sfidano coraggiosi una natura possente. Finite le casette, inizia la riserva naturale. Le dimensioni sono veramente difficili da valutare : in fondo in fondo riusciamo a vedere l’azzurro del mare e il bianco intermittente delle onde, ma camminando camminando non riusciamo assolutamente a raggiungerlo. Ci dirigiamo quindi attraverso la riserva naturale sfidando un vento potente che solleva la sabbia : ad un certo punto siamo completamente circondati da una distesa di sabbia che ha come orizzonte il mare da un lato e la duna e una sottili striscia scura di alti pini dall’altro. Camminiamo per ore cercando di arrivare ad una meta, senza però riuscirci, perché il punto di arrivo sembra sempre spostarsi dietro nuovi territori che appaiono inaspettati : ghirigori, pozze e rivoli di acque lasciate dalle maree in avvallamenti invisibili, nuovi tratti di sabbia inaspettata sferzati dal vento, tessuta con onde e ricami provvisori. Alla fine siamo riusciti ad arrivare circa a metà della spiaggia, in un punto in cui la duna di sabbia ha consentito la creazione dietro di sé di un territorio salmastro regolarmente allagato dalle maree, dove però è riuscita a crescere una enorme distesa di erica che sta fiorendo . Attraversando rivoli di acqua che compaiono sul nostro percorso riusciamo arrivare al punto di osservazione ai limiti della pineta. Qui ci sediamo sulla panchina della piattaforma di osservazione e ci concediamo il nostro meritatissimo pranzo : sausage rolls, spinach and feta roll, ice buns (panini spugnosi insapori ricoperti di glassa bianca, che risultano invitanti senza nessun motivo chiaro). All’uscita dalla spiaggia ci fermiamo in un piccolo bar costruito come un nido in mezzo ad un mare di erba ondeggiante ; all’uscita stanno per arrivare minacciosi nuvoloni nerissimi e propongo di aspettare . Figurati, tu ti spaventi per due gocce … e dopo pochi secondi inizia a scrosciare il più violento dei temporali : mentre inutilmente cerchiamo di infilarci le mantelle portate via dal vento impetuoso, io strillo di fare attenzione ai fulmini …. suggerimento la cui irrilevanza ed inutilità viene prontamente evidenziata : “mamma tu dovresti essere quella che mi rincuora, non quella che grida disperatamente”. Rientriamo nel piccolo bar fradici e ci consoliamo con un supplemento di patatine. Il vento comunque riesce ad asciugarci, tanto rapidamente quanto la pioggia ci ha bagnato.
Riprendiamo il percorso per tornare al campeggio, rinunciando alla possibilità del bus (che arriva solo tra 1 ora) ; lungo un tratto di strada senza marciapiede e piuttosto pericoloso, un automobilista gentilissimo dopo averci sorpassato si ferma, ci aspetta e ci indica un percorso sicuro attraverso i campi . Qui sembra che il senso della comunità esista e rappresenti un pilastro importante della vita sociale. Il sentiero che ci ha indicato è bellissimo : in mezzo a campi di grano dorato che ondeggiano al vento e luccicano al sole ancora bagnato dalle gocce d’acqua e ci regala un’ora di pura felicità, uno di quei momenti in cui entri in risonanza con la meraviglia del mondo che ti circonda . Torniamo al campeggio e ripartiamo diretti alla prossima meta: la Holme Dunes Nature Reserve di Brancaster . Arriviamo alle 7, quando oramai il centro visite è chiuso : ci siamo solo noi e pochi altri passeggiatori sull’altro lato del canale che si apre una strada ramificata fino al mare . Ci godiamo il sentiero della passeggiata sulle dune affacciate al calar del sole .
Questa lunga giornata si conclude con una veloce spesa serale ad una Lidl affacciata su grandi campi di lavanda fiorita ; scopriamo che esiste un percorso della lavanda, che purtroppo non avremo tempo per fare. Circondati da un tramonto eccezionale in cui nuvoloni neri si tingono di rosa e viola per i raggi del sole che esce sotto le nuvole e prima della fine del mare, all’orizzonte , approdiamo a King’s Lynn dove dormiamo in un parcheggio con posti dedicati ai motorhome (2 sterline per la notte e 3.80 per la giornata) , circondati dai furgoncini rossi della Royal Mail. Cena veloce, dopo una giornata piena di belle emozioni.
Dormiamo benissimo. Oggi abbiamo esagerato : 17 chilometri, che valgono molto di più (sulla sabbia e in controvento).
Martedì 4 luglio 2023. Colazione tranquilla ; mentre la Jessica e Gabriele vanno in stazione a prendere Ida – amica del cuore degli anni londinesi – che arriva in treno per trascorrere i prossimi tre giorni con noi, riordino e pulisco velocemente il camper. Veloce tè di benvenuto e visita a King’s Lynn, che non ci piace, rabbuiata anche dal cielo nuvoloso : paesone dall’aspetto austero, severo, rigido, un po’ trascurato , senza nessun luogo che ci attragga veramente.
La nostra visita termina alla casa dell’esorcista, a fianco della chiesa … probabilmente un pò di sole avrebbe rallegrato questa cittadina medioevale e allietato le funeste leggende che la abitano.
Decidiamo quindi di salutarla velocemente e di correre verso la prossima meta : Castel Rising . Stranissimo castello costruito più per scopi abitativi che difensivi : è un enorme cubo, dall’aspetto snellito da rilievi e decorazioni che si sviluppano su linee verticali, invisibile dall’esterno perché collocato all’interno di un alto cono circolare circondato da un fossato. Utilizzato per scopi ludici dalla gaudente proprietaria, la regina Isabella , che si è qui ritirata nel 1327 dopo aver perso marito ( Edoardo II, malato, dopo la deposizione ) , amante (Roger Mortimer, ucciso da Edoardo III figlio di Isabella) : lussuosa abitazione utilizzata per feste danzanti, battute di caccia a cavallo, banchetti, letture, rappresentazioni artistiche e teatrali. Spioviggina, mi metto il cappellino impermeabile e mi merito un ritratto fotografico in stile Elisabetta II . Passeggiamo poi tra i bellissimi cottage del villaggio e stiamo un po’ al telefono con Emma, Sabrina, Carlo e mia sorella che ci chiamano per salutare la Jessica, perdendo completamente l’orario. Per cui quando torniamo al parcheggio del castello per prendere il camper, scopriamo che hanno chiuso i cancelli e non possiamo uscire. Fortunatamente ci hanno lasciato un biglietto recuperato dalle nostre due ragazze atletiche che scavalcano l’alta recinzione (“se volete uscire chiamate questo numero”) ed il custode ci raggiunge sorridendo : “non siete i primi e non sarete gli ultimi : don’t worry”. Thank you so much and good bye .
Ripartiamo diretti alla Snettisham Nature Reserve : area costiera protetta di nidificazione degli uccelli . Decidiamo di entrare in un bel campeggio (Diglea holiday park), anche per l’assenza di alternative . Il sentiero della riserva è compreso tra una stretta spiaggia di piccoli sassi levigati (con molti tratti delimitati per la nidificazione) ed un vasta area salmastra colonizzata da piante verdissime , arbusti neri, con gruppi e/o distese di fiori dai colori intensi : predominano le distese e le chiazze blu amplificate dalla luce del tramonto, alternate a improvvise pennellate di viola o giallo. Un incanto assoluto. Avvistiamo alcuni uccelli , molti conigli ed un muntjak, un piccolo cervide, dal corpo arrotondato e dalle corna pelose appena abbozzate : purtroppo in queste vacanze ne avvisteremo molti morti sul ciglio delle strade, perché sono fatalmente attratti dalle luci delle autovetture . Ma questa passeggiata ci riserva IL MOMENTO PIU’ EMOZIONANTE DELL’INTERA VACANZA: ad un certo punto vediamo, sulla spiaggia sassosa che digrada velocemente nel mare, una signora con un giubbotto rifrangente ed un’ aria preoccupata. Dopo poco vediamo arrivare di corsa altri due ragazzi , che portano un grande contenitore per il trasporto di animali ; uno dei due afferra qualcosa con una coperta . Non riusciamo a capire cosa stia succedendo ma la situazione mi incuriosisce per cui mi lancio in spiaggia lasciandomi scivolare (rotolare) lungo la ripida discesa. Scopriamo che le persone sono favolosi volontari della RSPCA (Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals), associazione che sostiene molti progetti di sostegno per animali, tra i quali un pronto intervento per animali feriti o in difficoltà attivo 24 ore su 24, oltre a centri di cura. Mi dicono che hanno recuperato due cuccioli di foca, rimasti probabilmente orfani subito dopo il parto. Uno dei due è più piccolo e sofferente perché nato pretermine. Mi mostrano tesserini identificativi e mi consentono di guardare velocemente i due cuccioli dentro il trasporto : e io ricorderò per sempre questo momento come uno dei più emozionanti di tutta la mia vita : le due fochine mi guardano spaventate e disorientate con grandi occhi neri, lucidi e profondi… e io non voglio disturbarle oltre. Li ringrazio come posso con il mio stentato inglese, ma spero che gli sguardi dicano più delle parole : mentre arrivano anche Gabriele, Jessica e Ida , recupero il biglietto da visita del centro . Mentre i due ragazzi portano le due fochine al centro di trattamento East Winch Wildlife Centre , dove la loro centrale operativa ha trovato la disponibilità di due posti, la signora ci fornisce molte informazioni sull’attività dell’associazione, oltre che spiegarci come dobbiamo comportarci nel caso ci capiti di trovare animali in difficoltà. Tutto molto professionale ed impeccabile. Da questo momento penserò spesso alle due piccole foche, così sfortunate all’inizio della loro vita e nello stesso tempo così fortunate ad aver trovato gli umani giusti, sperando con tutte le mie energie che possano resistere e farcela. E mi chiedo come potrò fare a recuperare informazioni sul loro decorso.
Rientriamo in campeggio con il cuore gonfio di emozione . Ci aspetta la più bella doccia delle vacanze, in una cabina lussuosa. Ed una cena sontuosa con tagliatelle al ragù, portato appositamente da casa. Buonanotte (mi sveglierò un po’ di volte sempre pensando alle due fochine e concentrando tutte le mie speranze). Oggi 12 Km.
Mercoledì 5 luglio 2023. Cerchiamo di continuare a succhiare tutto il nettare della vita e di non pensare al fatto che siamo già arrivati al penultimo giorno di vacanza. Ci dirigiamo a Sandringham, dove abbiamo prenotato l’ingresso al parco e residenza reale per questa mattina. Facciamo colazione/pranzo con una sontuosa english breakfast acompagnata da un ottimo tè al ristorante, che ci delizia di un servizio impeccabile ed accogliente. Bisogna dire che è proprio tutto perfetto : di quella perfezione perfetta, non troppo pesante o inquietante. Ida con un colpo di mano riesce ad offrirci la colazione e siamo pronti per la visita . Vietatissimo fare foto all’interno della residenza che è bellissima, soprattutto all’esterno (per i miei gusti) : a differenza di Windsor, sicuramente più istituzionale, qui siamo nella casa della famiglia reale, con fotografie, luoghi di vita “normale”…. Gli interni sono sempre sfarzosi con vetrine, giade, raccolte infinite di armi e armature orientali, vasi e paraventi orientali, la raccolta degli acquarelli di re Carlo, ma si respira comunque l’atmosfera privata di una casa reale. La regina Elisabetta trascorreva sempre qui le vacanze natalizie, che si prolungavano fino al 6 febbraio, data della morte del padre, quando la sua vita è cambiata e la bella ragazza ha perso per sempre lo spensierato sorriso delle sue foto giovanili, e per uno strano gioco del destino è diventata improvvisamente regina. E scopriamo che le cose a cui era più affezionata, che ha voluto raffigurate nell’ultimo ritratto all’ingresso della casa, sono una fotografia di sé bambina circondata dall’abbraccio dei genitori ed una statua raffigurante due angeli che si parlano. Vediamo anche la famigerata sedia bilancia – odiata da Diana – con la quale da antica tradizione famigliare gli ospiti invitati alle feste natalizie venivano pesati all’arrivo nella tenuta di Sandringham e poi alla partenza, in quanto il re voleva essere sicuro che si fossero divertiti ed avessero mangiato abbastanza. Vediamo anche il lusso assoluto : delle apparecchiature dei tavoli della colazione e del pranzo, delle ceramiche, degli argenti, dei tessuti, delle meravigliose le sete da parati (che non sono applicate al muro, ma tese su cornici di sostegno, con precisione ultramillimetrica), delle autovetture conservate nei garage. Bellissimo anche il parco, con alberi secolari, oche della famiglia reale che pascolano beate su prati perfettamente tagliati, il cimitero dei cani della regina rivolti proprio alla sua camera. Purtroppo entriamo nel negozio e non resistiamo alla tentazione di alcuni acquisti (tra cui il favoloso tè della colazione, che spero non mi deluda).
Siamo pronti per la prossima tappa : ma vogliamo almeno fotografare i bellissimi campi di lavanda in piena fioritura . Io e Ida ci prendiamo per mano e attraversiamo la strada a traffico veloce e facciamo qualche foto : e come folgorata da una magica polverina , mi sento una ragazza..
Arriviamo a Hunstanton, dove facciamo una stupenda passeggiata sotto la bellissima scogliera bicolore : sopra bianca e sotto rossa . In spiaggia si aggiunge il verde che ricopre i massi caduti nella marea. Incanto assoluto, incrinato solo dal fatto che appena arriviamo in spiaggia il sole si nasconde dietro un nuvolone e non ricomparirà più, ad illuminare i colori splendenti di questa spiaggia. Per scoprirne ogni segreto geologico :
Decidiamo di concludere la giornata con un fish and chips di saluto al mare : troviamo quello che scopriamo essere il 3° miglior fish and chips del Regno Unito (e soprattutto l’unico che faccia asporto, ancora aperto) : oltre ad una porzione del solito merluzzo intero, ci concediamo i bocconcini di merluzzo, i gamberoni e gli scampi. Tutto molto gustoso anche perché riusciamo a parcheggiare lungo la strada sopra la scogliera, con una bella vista sul tramonto. E su un gabbiano che attende paziente che ci decidiamo a lanciargli qualcosa : come al solito sono io a cedere, ma devo chiudere velocemente il finestrino perché lanciato il primo pezzetto di pane vedo arrivare uno stormo intero di gabbianelli intraprendenti .
Vista la impossibilità di parcheggiare per la notte decidiamo di tornare a dormire tra i furgoncini della royal mail a King’s Lynn, tappa comoda per il percorso di domani. Buonanotte (10 Km.).
Giovedì 6 luglio 2023
Oggi abbiamo selezionato due tappe che troveremo all’inizio della strada che ci riporterà a Londra. Castel Acre è la prima : piccolo villaggio raccolto attorno ai resti del castello, alla chiesa ma soprattutto al priorato che rappresenta il nucleo originario del luogo, costruito per l’insediamento di una comunità monastica che ha avuto una florida crescita fino al drastico intervento di Enrico VIII. La facciata della chiesa, rimasta miracolosamente in piedi, oltre che I resti dei vari edifici del priorato ci danno l’idea della complessità del luogo : la residenza del priore è rimasta quasi indenne, anche perché sottoposta ad interventi di recupero con finalità abitative.
Dopo un pranzo di avanzi, melone ed affettati bolognesi ed inalate miste, ci dirigiamo alla Oxburg estate and Hall, splendida residenza vittoriana della facoltosa famiglia Bedingfield , passata al National Trust nel 1952 (a parte una consistente porzione ancora abitata dalla famiglia proprietaria). Mentre gli esterni sono bellissimi, gli interni sono decisamente cupi e pesanti, con le pareti ricoperte da tappezzeria in cuoio scuro ed arredi belli ma altrettanto scuri e pesanti (curiosa la porta segreta che sembra una sezione della libreria piena di volumi) . Lo spirito cristiano che anima la famiglia sin dall’antichità, testimoniato da una lettera di ringraziamento autografa di Paolo VI, non trasuda dalla evidente ricchezza dell’abitazione. Passeggiata nel parco, dove ci fermiamo nella casetta di lettura nel bosco (ed altre gioie della vita pare di capire dalla descrizione appesa alla parete) , affiancata da un ruscello che scorre in mezzo a mille riflessi di verde, sotto le radici di un grande pino. Infine rientro a Londra.
Lasciamo le ragazze alla fermata della metro di Seven Sisters, mentre noi approdiamo al Lee Valley Campsite , perché non abbiano trovato posto in strutture alternative. Cena veloce e buonanotte, abbastanza stanchi. Oggi : 5 km.
Prima di dormire però mi viene in mente di provare a cercare il centro di accoglienza delle fochine : e trovo il loro sito internet dove vedo diversi post : quello del recupero dei primi due cuccioli di foca della stagione. Sono state chiamate PRIMROSE e FORGETMENOT (PRIMULA e NONTISCORDARDIME ) e stanno decisamente bene : nel secondo post si avvicinano fiduciose all’operatore che le nutre. Sono vispe e reclamano a gran voce il latte ; sono così felice che potrei volare. Invio il link a tutti e condivido il sito dell’associazione che cerca sostegno e contributi.
Visitando il collegamento del sito su facebook potrete vedere Primrose e Forgetmenot in vari filmati (3 luglio 2023 a pochi giorni dal soccorso , il 20,22,24 agosto 2023 nei miglioramenti, fino alla liberazione il 4 dicembre 2023 e oltre) . E anche molti altri salvataggi .
Venerdì 7 luglio 2023. Dopo vari tentativi infruttuosi ed una certa tensione, riusciamo finalmente ad inviare quattro confezioni di vitamine richieste dal centro per le fochine ; dopo pranzo (toast + frutta) prendiamo i borsoni di Jessica e li recapitiamo a casa sua (attraverso un viaggio di quasi due ore che prevede : 10 minuti di cammino e 15 di attesa alla fermata + bus + overground + metro linea azzurra + metro linea nera + 10 minuti di cammino) . Organizziamo una merenda con frutta ed un avanzo di biscotti delle vacanze ; poi aiutiamo la Jessi a dare una ripulita a casa ed una riordinata all’armadio ; faccio un orlo di una tutina di jeans … ed è arrivato il momento dei saluti, con la solita stretta al cuore che cerchiamo di stemperare. Riusciamo a salutare anche Marco e Reef. La vacanza è finita e dobbiamo rientrare : ed è sempre un po’ difficile, anche se la vita londinese non è fatta per noi, come ci raccontiamo per consolarci e come ci racconta il lungo (ed affollatissimo) viaggio di ritorno in campeggio. Cena veloce e nanna. (oggi solo 4 km.)
Sabato 8 luglio 2023. Partiamo alle 5 dal campeggio ed arriviamo a Dover alle 6.40 senza intoppi. C’è da meravigliarsi però che siamo riusciti a prendere il traghetto di ritorno. Infatti dopo aver sbagliato il giorno (ero convinta fosse il 7, ma mi sono accorta che era l’8), adesso ho sbagliato anche l’orario (ero convinta che la partenza fosse alle 8.30, invece era alle 7.40) . Inoltre c’è una lunga fila disposta in 10 colonne ai controlli doganali, dove aspettiamo per più di un’ora. Partiamo quindi alle 9.10 e ci attende solo un rientro in un viaggio che diventa sempre più caldo. Anche le cicogne – che pascolano in un’area dell’autostrada francese – sono abbastanza disorientate.
Arriviamo alla prima tappa – Dinant , in Belgio – fradici ed affaticati, quasi senza respiro per il caldo. Anche la Nina ansima guardandoci con sofferenza. Dopo essere entrati in paese attraverso due altissime rocce che contengono uno stretto passaggio, parcheggiamo vicino al fiume Meuse. Mentre controllo il parcheggio, sento avvicinarsi il rullio di tamburi e musica ritmata e non faccio in tempo a chiedermi cosa sia che compare banda e sfilata storica in costume. Se non fosse tanto caldo mi verrebbe da ridere … Dopo cotanta accoglienza – che non era riservata a noi come poteva sembrare – riusciamo a trovare un parcheggio gratuito all’ombra : ci riprendiamo e facciamo una breve paseggiata verso il centro, per constatare che Dinant è proprio una bella cittadina, meritevole di una successiva tappa di perlustrazione più approfondita. Ma oggi fa veramente troppo caldo e decidiamo di rientrare in camper, cenare velocemente, farci una doccia fredda ed andare a dormire. Buonanotte (solo 4 km, sudatissimi). Preparandoci ad affrontare il rientro di domani, con gli ultimi 760 km di queste lunghissime, bellissime, variegate vacanze, in cui il tema dominante – potremmo dire – siano state le sorprese.
Arrivati a casa, Sky ci avverte subito che la prossima volta verrà con noi.
Liverpool , Crosby , Port Sunlight , Hay on Wye, Caerphilly, Castell Cock, Cardiff Bay
Lunedì 19 giugno 2023 . Speriamo di trovare posto al parcheggio dei Kings Dock a Liverpool , centrale e comodissimo per la visita della città, ma privo di servizi. Attraversiamo il tunnel che attraversa l’ampio estuario del fiume Mersey (che sembra anche un profondo fiordo marino)ed arriviamo alla parte centrale della città, che ci presenta immediatamente il suo aspetto di rinnovamento, con investimenti massicci e progetti per il futuro . Infatti vediamo cantieri in attività praticamente ovunque, con edifici che vengono abbattuti e altri nascono, con centri culturali, di affari, sportivi : nel 2007, in occasione dell’ottavo centenario della sua fondazione ed ancor più dal 2008 quando è stata eletta capitale europea della cultura, sta lavorando per la sua rinascita. La città è diventata il secondo centro finanziario dopo Londra e vuole valorizzare la propria identità e ridefinire la sua immagine, in uno sforzo per accaparrarsi il maggior numero di superlativi possibili : il più alto, il più celebre, il più antico, come se volesse riscattarsi da vecchi complessi. Città tormentata, nota per il suo amore viscerale per il calcio (da Liverpool arrivano i famigerati Hooligans, abituati a bere molto e a concludere le partite con risse, violenza e scontri con la polizia, temuti dagli stadi di tutto il mondo ), possiede uno straordinario patrimonio culturale: è la città inglese con maggior numero di edifici storici dopo Londra , con musei e gallerie d’arte importanti, sede di una prestigiosa università, con i Beatles nel suo DNA . Parcheggiamo nel Kings Dock, praticamente deserto, e paghiamo il parcheggio (54 sterline per tre giorni) con la benedizione del parking man (un pò difficile da trovare, nel suo piccolo ufficio nascosto nel parcheggio multipiano) : posto molto tranquillo e molto sicuro (siamo infatti tra il canale e la sede centrale della polizia, ripresi da molte telecamere).
Partiamo alla scoperta della città che ci piace subito, con le sue costruzioni in mattoni rossi. Pranziamo deliziosamente bene in un ristorante consigliato dalla Lonely Planet (Italian Club Fish). Ci dirigiamo poi alla Liverpool’s Anglican Cathedral : costruzione recente, iniziata nel 1904 e terminata nel 1978, l’enorme edificio stupisce per l’anacronistico (e non propriamente riuscito) stile gotico : stranamente massiccio e pesante nonostante le linee verticali, di dimensioni gigantesche . E’ la più grande chiesa anglicana del Regno Unito ed una delle più grandi del mondo, grazie alla sua navata lunga 150 metri, con volte alte fino a 55 metri e torre svettante a 101 metri, che scaleremo (in parte aiutati da un ascensore). Di rilievo il sistema di campane (13 campane con un nome proprio, oltre a quella centrale la più grande, Great George, che è la terza al mondo per dimensioni e viene suonata solo a Pasqua e Natale) , oltre all’organo con 9765 canne, più grande al mondo. Bellissimo il panorama che si apre allo sguardo dalla cima della torre, cui si sale con due tratte di ascensori ed una serie di ripide scale , moltiplicato dalla luce tersa del sole che squarcia le nuvole. Salutiamo il nostro S-Lego parcheggiato verso il Mersey. Molto bella , anche per il significato , The Lady’s Chapel, costruita con il contributo di una benestante benefattrice, dedicata a Maria e più in generale a tutte le donne, famose e non, che hanno contribuito alla storia, grande e quotidiana.
Breve sosta alle rovine della St. Luke Church, gravemente danneggiata dai bombardamenti del maggio del 1941 : 60 anni dopo è stata recuperata come sede di eventi ed incontri culturali. Molto suggestiva la statua di due soldati di opposta fazione che si stringono la mano, di fronte alle pareti senza più tetto e aperte verso il cielo, in un campo di fiori che ondeggiano al vento.
Ci dirigiamo poi verso la ancor più recente Roman Catholic Metropolitan Cathedral (Metropolitan Cathedral of Christ the King), una enorme meringa di cemento visibile da ogni dove, che viene costantemente citata come la più brutta costruzione di Liverpool : il progetto iniziale, del 1933 – che prevedeva la costruzione della più grande cattedrale del mondo dopo San Pietro a Roma – fu abbandonato per la mancanza di fondi . A testimoniare la grandiosità del piano rimane solamente la Cripta di Lutyens, fatta di 6 milioni di mattoni, che non visitiamo perché già chiusa al nostro arrivo. I lavori ripresero nel 1962, con un progetto che definire futurista è poco, dopo una eroica raccolta fondi, a cui contribuirono molti cittadini, con varie strategie, che valsero loro il reclutamento nel Golden Book of Remembrance. E’ sicuramente la chiesa della luce, che entra da geometriche vetrate dai colori brillanti, sagomati in forme geometriche che definiscono gli spazi e culminano nella volta centrale. Nell’immediato, sembra di entrare più in una discoteca che in una chiesa, tanto i colori delle vetrate sono intensi : ma è difficile restare indifferenti alla strana luce diffusa dalle vetrate, /*che crea una sensazione di intimità che si concentra nella navata circolare (alta 90 metri) che svetta proprio al centro della chiesa .
Vediamo poi la sede centrale della Università, anche questa soggetta ad un importante intervento di recupero : la zona universitaria occupa un intero quartiere della città, popolata da giovani .
Arriviamo poi al Cavern Quarter, nella zona centralissima, che celebra la presenza della vera e propria caverna dove i Beatles hanno iniziato a suonare ( qui tennero i loro primi 292 concerti e raggiunsero la celebrità) ; il Cavern Club è uguale a quello originale, che fu demolito negli anni 70, e ricostruito identico nel 1984 – quando riprese la sua attività – ma leggermente spostato rispetto all’originale. Una fotografia ricorda dove si trovava il sito originale, e di fronte c’è ancora l’edificio in cui manca un mattone ; per la ricostruzione –che solo gli inglesi sanno fare così meticolosamente- sono stati utilizzati 15000 mattoni risalenti proprio all’epoca dei Beatles. Ma non solo i Beatles hanno suonato qui: nel periodo di attività ( 1957-1973 ) in questo club hanno suonato i Rolling Stones, gli Who, i Queen, Chuck Berry, Elton Jhon, gli Oasis, Rod Stuart … e tutti gli altri artisti celebrati nel Wall of Fame, fatto erigere il 16 gennaio 1997 con 1801 mattoni che riportano il loro nome, dal Cavern City Tours (proprietario degli omonimi Club e Pub) per celebrare il 40° anniversario dell’apertura. Negli anni 60 Liverpool è stata per il rock quello che New Orleans fu per il jazz. La zona è ovviamente molto turistica e densa di attrazioni commerciali sul filone Beatlesmania : però si deve rilevare la grande energia positiva che si respira nelle strade del centro, dove musica suonata dal vivo ci accompagna costantemente, dove dai locali entrano ed escono artisti, ragazzi con strumenti.
Ci dirigiamo quindi verso i Docks, che se fino agli anni 70 annerivano le rive del Mersey ai tempi del declino industriale, da oltre 20 anni sono stati oggetto di grandiosi interventi urbanistici di recupero e rinnovamento e nel 2004 sono stati dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Si succedono The Three Graces, le Tre Grazie : tre edifici edoardiani che mostrano con magniloquenza la prosperità della fine del XIX° secolo: il Royal Liver Building sormontato da due fenici (1911, sede di una compagnia assicuratrice) , il Cunard Building (in stile rinascimentale, sede della compagnia del Lusitania e del Titanic) , il Port of Liverpool Building (1907, con la cupola ispirata alla Cattedrale di St. Paul ) . Proprio accanto il Museo di Liverpool, emblema del rinnovamento architettonico della città, che prende vita nel vetro, nell’acciaio, nel calcestruzzo, oltre ai palazzi dalle linee futuristiche .
Dopo alcune tappe sulle panchine che si affacciano al Mersey, su cui sfilano migliaia di promesse d’amore (le catene lungo tutti i dock sono appesantite da un succedersi infinito di lucchetti colorati o arrugginiti), arriviamo al camper stremati (12 Km).
Cena leggera (semolino, insalata e frutta), diario e riposo dopo videochiamata con la nostra Jessichina : iniziamo a fare programmi per la settimana di vacanza – tanto desiderata – che trascorreremo insieme. E buonanotte (dopo una serie di brevissimi fuochi d’artificio che si accendono tra le luci colorate che si riflettono nel porto canale, senza un perché).
Martedì 20 giugno 2023 . Notte di pioggia che continua anche nella prima mattina : ci sembra quindi la giornata giusta per la visita ai musei dell’Albert Dock . Primo fra tutti The Beatles Stories Liverpool – The story of the band that changed the world : ovviamente a pagamento (e anche tantissimo : 15 sterline a testa, con sconto anziani, altrimenti 19) . Non contento, all’ingresso il museo ci dice : “Celebrate l’ottantesimo compleanno di Paul Mc Cartney con una donazione”. Come se ne avesse bisogno : spero sia un appello pro beneficienza, anche se ne dubito. La gentilezza non è il forte delle ragazze, che sembrano tutte molto insofferenti, poco interessate e poco tolleranti. Comunque il museo è costruito come un labirintico percorso tra la ricostruzione meticolosa di diversi ambienti – tutti molto angusti e quindi difficili da gustare, anche per le molte persone – nei quali è cresciuto il mito della band, e si percorre in totale autonomia. Dalle scuole dove si sono conosciuti, alla prima esibizione ancora quindicenni nel giardinetto della chiesa .
Quello che colpisce è la assoluta semplicità e modestia delle origini e le storie di vita, anche se l’attenzione è concentrata sulle vicende musicali, piuttosto che sulle biografie, che sento la necessità di recuperare dal WEB.
John Lennon : nasce il 9 ottobre del 1940, mentre è in corso un bombardamento aereo tedesco (“la prima cosa che ricordo è un incubo”). Gli viene dato il secondo nome di Winston, in onore del primo ministro Churchill . La madre è Julia Stanley , maschera in un cinema, e di Alfred Lennon , impiegato come cameriere su una nave che viaggiava nelle Indie, che abbandonò la famiglia dopo aver perso il proprio lavoro. John si rifiutò di seguire il padre in Nuova Zelanda e rimase con la madre, che ebbe una seconda figlia Victoria Elizabeth che lasciò in adozione. Dal 1946 la zia Mimi – che non aveva figli – prese con se John, con l’intento di proteggerlo e di responsabilizzare la sorella, considerata ingenua ed imprudente. In seguito la madre avvio un’altra convivenza con John Dykins con il quale ha avuto altre due figlie, Julia e Jackye, ma non riuscì a riportare John con se perché la sorella riteneva inadeguato l’alloggio. La zia – che pure ne sostiene il talento artistico, dirà la storica frase : “la chitarra va bene, John, ma non ti darà certo da vivere”. Nel 1958, nella notte che ricorderà come la più brutta della sua vita, la madre muore tragicamente, investita dall’auto guidata da un poliziotto ubriaco mentre è insieme al figlio : “ho perduto mia madre due volte. La prima da bambino, e poi di nuovo a 17 anni. Mi sono sentito molto amareggiato : quando è stata uccisa avevo appena iniziato a ristabilire un rapporto con lei”. “Il dolore più grande è non essere desiderati, renderti conto che i tuoi genitori non hanno bisogno di te quando tu hai bisogno di loro. Quando ero bambino ho vissuto momenti in cui non volevo vedere la bruttezza, non volevo vedere di non essere voluto. Questa mancanza di amore è entrata nei miei occhi e nella mia mente. Non sono mai stato veramente desiderato. L’unico motivo per cui sono diventato un artista famoso è la mia carenza . Nulla mi avrebbe portato a questo se fossi stato normale”.
Dal primo matrimonio con Cynthia Powell nasce il figlio John Charles Julian. Dopo la sua nascita incontra Yoko Ono e si separa dalla moglie, dalla quale divorzierà. Intanto – per sostenere i ritmi del successo – inizia ad usare prima amfetamina e poi droghe pesanti ; nel 1969 sposa Yoko Ono e filma il loro famosissimo bed-in all’hotel Hilton di Amsterdam, quale inno alla pace ed all’amore.
Nell’aprile del 1970 i Beatles si sciolgono : il fatto apparentemente non lo turba, anche se continua ad ingaggiare feroci polemiche con il suo oramai ex amico Paul. “Io non credo nei Beatles, io credo solo in me. Il sogno è finito”. In “How do you sleep?” si scaglia apertamente contro Paul : “il suono che produci è musicaccia per le mie orecchie, dovresti aver imparato qualcosa in tutti questi anni”. Dal 1973 si trasferisce a New York, in un appartamento sulla 72 strada, di fronte al Central Park ; ha problemi per il riconoscimento della cittadinanza americana per il suo impegno politico, per il quale viene controllato dagli agenti della CIA. Nel 1975 – dopo una temporanea separazione da Yoko – ha il secondo figlio, Sean Taro Ono Lennon. Muore l’8 dicembre 1980 a 40 anni, assassinato da Mark David Chapman , un fan in cerca di notorietà.
Paul McCartney : nasce il 18 giugno 1942 da James, commerciante di cotone e musicista, e Mary Patricia Mohin, infermiera ostetrica che muore per un cancro al seno quando Paul ha 14 anni. Il padre vorrebbe farlo diventare un insegnante, ma ancora giovanissimo diventa amico di John Lennon e inizia a suonare e cantare con lui ; sono stati una delle coppie di compositori di maggior successo di tutti i tempi, scrivendo molte delle canzoni più acclamate della musica contemporanea. Sposa Linda Louise Eastman della quale adotta la prima figlia, avendone poi tre figli (Mary, Stella famosa stilista, James) . Attivista e sostenitore del vegetarismo, dei diritti degli animali, dell’obbligo della educazione musicale nelle scuole, della cancellazione del debito del terzo mondo. Con un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari nel 2018 è il musicista più ricco del mondo (Forbes).
“Uno dei miei più bei ricordi di John è quando ci mettevamo a litigare : io non ero d’accordo con lui su qualcosa e finivamo per insultarci a vicenda. Passavano un paio di secondi e poi lui sollevava un po’ gli occhiali e diceva “è solo che sono fatto così”. Per me quello era il vero John. In quei rari momenti lo vedevo senza la sua facciata, quell’armatura che io amavo così tanto, come tutti gli altri. Era un’armatura splendida, ma era davvero straordinario quando sollevava la visiera e lasciava intravedere quel John Lennon che aveva paura di rivelare al mondo”. I genitori osteggiano la loro amicizia, temendo che lo avrebbe messo nei pasticci.
Quando si sciolgono intenta causa agli altri componenti della società : “ sono proprio contento che molte delle nostre canzoni parlassero di amore, pace, comprensione. Non ce n’è una che dica : forza ragazzi , mandate tutti a quel paese, mollate i vostri genitori. E’ tutto molto All you need is love. Dietro tutto c’erano buoni sentimenti e ne sono molto orgoglioso : i Beatles sono stati qualcosa di grande”.
Dopo la morte di Lennon decide di non tenere più concerti , per la paura di “essere il prossimo ad essere assassinato”. Nel 1998 la moglie Linda muore per un cancro diagnosticato tre anni prima. Nel 2002 sposa l’ex modella Heather Mills, dalla quale si separa nel 2006 dopo aver avuto la figlia Beatrice, con una feroce battaglia legale per la divisione del suo enorme patrimonio stimato in 850 milioni di sterline . Nel 2008 McCartney decide di accordare alla ex moglie il pagamento di 65 milioni di sterline. Dal 2007 convive con Nancy Shevell (membro del consiglio di amministrazione della New York Metropolitan Trasportation Authority), che ha sposato il 9 ottobre 2011 (data di nascita di John Lennon).
Richard Starkey (Ringo Star) : nasce il 7 luglio del 1940 nell’ambiente degradato di Dingle, zona operaia di Liverpool. Il padre è sarto, la madre è sarta , poi barista ; si separano quando Ritchie ha 3 anni. Da bambino ebbe molti problemi di salute : una operazione per appendicite acuta complicata da uno stato di coma durato due mesi e da successivi interventi ; a 13 anni rimase ininterrottamente ricoverato in sanatorio per aver contratto la tubercolosi per tre anni e fu proprio qui che iniziò a suonare la batteria. Abbandona la scuola a 15 anni e viene assunto dalle ferrovie, poi come barista su un traghetto. Si sposa con una sua perseverante ammiratrice Maureen Cox da cui ha avuto tre figli ; in seguito avrà un secondo matrimonio con Barbara Bach.
George Harrison : nasce il 25 febbraio 1943. Il padre Harrison è cameriere sulle navi da crociera della White Star Line , la madre Louise French commessa. Presenta grandi difficoltà scolastiche per un comportamento ribelle : insofferente alla uniforme scolastica, vuole affermare un proprio stile personale. Prende lo stesso scuolabus di Paul, con il quale stabilisce una solida e duratura amicizia, fondata anche sulla musica. All’età di 16 anni abbandona la scuola e inizia a lavorare come elettricista apprendista. “Senza la mia chitarra, non avrei avuto alcun lavoro.” Sposa la modella Pattie Boyd, da cui divorziò nel 1977 ; nel 1978 si sposo con una segretaria Oliva Arias con cui ha avuto il figlio Dhani. Nel 1999 viene aggredito e più volte accoltellato da un 36enne Michael Abram affetto da schizofrenia, dalla quale lo salva la moglie. Muore il 29 novembre 2001 per un cancro al cervello, diagnosticato pochi mesi prima (aveva già avuto un tumore alla gola e successive metastasi ai polmoni)..
Ovviamente quello che unisce i fab four è la passione ed il talento per la musica. La storia inizia il 6 luglio 1957 : nel giardino della chiesa di St. Peter a Liverpool suonano i Quarryman, gruppo di cui è leader il sedicenne John Lennon, a cui viene presentato il quindicenne Paul McCartney che frequenta la stessa scuola (Liverpool Institute). Gli chiede ben presto di entrare nel suo gruppo, a cui si sarebbe unito dopo le vacanze. Paul coinvolge poi il suo amico e compagno di scuolabus George ; il batterista Richard – che suonava in un altro gruppo – fu l’ultimo ad essere reclutato (con partecipazioni alterne all’inizio) prima della partenza per una scrittura ad Amburgo. La prima esibizione dei Beatles è proprio ad Amburgo, il 17 agosto 1960, dove si fanno le ossa. A fine novembre sono costretti a tornare a Londra, per alcuni problemi con la polizia, imbeccata dal primo impresario che avevano lasciato, perché George era ancora minorenne e non poteva lavorare legalmente ; inoltre Paul procurò un incendio alla stanza d’albergo dando fuoco ad un profilattico appeso alla parete ed alle tende, e quindi vennero arrestati ed espulsi. Rientrati a Londra iniziarono a suonare al Cavern Club, dove richiamavano un pubblico sempre più vasto. Oltre ad acquistare sicurezza sul palco, avevano anche definito un loro look molto riconoscibile : capelli pettinati in avanti con la frangetta, giacche in pelle senza risvolti, con stivaletti neri. Le ammiratrici erano scatenate e non si erano mai visti episodi di fanatismo così violenti : al Cavern i Beatles avevano sempre lo stesso tavolo, quello in posizione strategica vicino ai bagni delle signore. Incuriosito dalla richiesta di un cliente al negozio di elettrodomestici e dischi in cui lavorava, Brian Epstein (che aveva studiato alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, pur senza laurearsi) andò a conoscerli e – colpito dal loro carisma e dal richiamo del pubblico – diventò il loro manager. Epstein ne ripulì l’immagine , ne allargò il giro di scritture, ideò l’inchino all’unisono da sfoggiare alla fine dei concerti, fino ad ottenere il provino alla Decca Records, il 1 gennaio 1962, che NON li mise sotto contratto, con un errore evidentemente epocale. Epstein riuscì ad ottenere un altro provino alla EMI, con un provino che si tenne nel marzo del 1962 . Vennero registrati 4 brani nello studio tre di Abbey Road, tra i quali Love me do. La canzone venne pubblicata, e – senza alcuna promozione – raggiunse il 17° posto delle classifiche britanniche. Vendette moltissime copie solo a Liverpool : la leggenda vuole che fosse stato Epstein a comprarne migliaia. Da lì i Beatles non si sono mai fermati : il gruppo in un decennio – dal 1960 al 1970 – ha rivoluzionato il mondo musicale mondiale e non solo. Sono ritenuti un fenomeno di comunicazione di massa di proporzioni internazionali ed hanno segnato un’epoca anche nel costume, nella moda, nella pop art. Stando alle stime dichiarate, hanno scritto 186 composizioni, venduto oltre un miliardo di copie, risultando tra gli artisti di maggior impatto e successo : sono infatti nella lista dei 100 migliori musicisti di sempre. Nel 1965 sono stati insigniti della onorificenza di membri dell’Ordine dell’Impero Britannico ; pare che in questa occasione Lennon portò a Buckingham Palace due pastiglie di LSD con l’intento di farle scivolare nel tè della Regina, progetto mai portato a termine. Nel 1969 Lennon ha rinunciato alla onorificenza restituendo la medaglia alla regina Elisabetta, con un gesto clamoroso per protestare contro il ruolo del Regno Unito nel Biafra e contro l’appoggio agli Stati Uniti nel Vietnam. Nel 1997 Paul fu invece promosso al grado di Cavaliere, che comporta il diritto al titolo di Sir davanti al nome.
Nel 1967 il loro manager Brian Epstein viene trovato morto nella sua stanza per un mix letale di alcool e anticonvulsivanti. Il loro ultimo palcoscenico fu il terrazzo del loro quartier generale londinese , la Apple, al 3 di Saville Road dove il 30 gennaio 1969 ebbe luogo il famoso concerto sul tetto.
Nel museo ripercorriamo le tappe fondamentali di questo percorso : dagli esordi al Cavern club, perfettamente ricostruito , con il fondo palcoscenico fatto di mattoni colorati ognuno dei quali riporta il nome di uno dei gruppi che si esibiscono sul minuscolo palco, con una cucina che sarebbe stata piccola e modesta anche in un modesto appartamento ; al negozio dove i quattro ragazzi comperavano gli strumenti ; al confusissimo ufficio del Mersey Beat, un foglio di promozione musicale fondato da un amico di John, che arrivò a grandi tirature in un gioco di promozione reciproca con il gruppo, e divenne in seguito il trampolino di lancio di altre realtà musicali emergenti ; agli studi di registrazione di Abbey Road con dotazioni tecniche veramente rudimentali rispetto alla tecnologia successiva ; alla organizzazione dei tour mondiali ; a quella del Magical Mistery Tour ; l’evoluzione del loro abbigliamento ; le caratteristiche individuali che hanno differenziato la loro evoluzione artistica.
Fino all’ultima sala, la più emozionante : la camera bianca allestita da John Lennon per filmare il suo testamento musicale : la sua Imagine.
In realtà nulla di veramente nuovo, tutto già ampiamente visto, tutto pubblico e conosciuto ; e ci sembra forse una occasione un po’ sprecata, poco rivelatrice di quanto invece ci piacerebbe scoprire dietro alla genialità di canzoni che non moriranno mai ed hanno toccato il cuore del mondo intero.
All’uscita abbiamo veramente bisogno di spazi aperti : passeggiamo fino all’Italian club, dove oggi pranziamo con una pizza : buona, ma un po’ troppo condita ed ostica da digerire. Ritorniamo al porto dove entriamo al Maritime Museum : la storia avvincente ed emozionante dei più grandi naufragi della storia britannica , il Titanic e il Lusitania ; il percorso durissimo degli emigranti verso l’America o l’Australia. Le grandi compagnie navali di Liverpool sono state le protagoniste di queste avventure e qui ne viene raccontata la storia.
Non paghi entriamo anche al Tate Liverpool Museum (per non perdere l’occasione di un ingresso gratuito), che visitiamo alla velocità della luce , completamente disinteressati dalle opere proposte, (alcune delle quali per noi imbarazzanti ). Ci piace invece il monumento al Pride allestito di fianco all’entrata : una colonna di massi colorati arcobaleno, dal significato chiaro . Alleggerire il peso dei pregiudizi.
Alla fine di questa giornata museale di conoscenza (dice Gabriele) faticosa (dico io) siamo veramente stanchi: arrancando rientriamo in camper (9 Km + musei). Camomilla, riposo, cena, buonanotte.
Mercoledì 21 giugno 2023 . Oggi niente di particolare da rilevare : siamo usciti dal camper di ottimo umore. Per cui mi viene in mente di ascoltare la musica dei Fab Four qui proprio dove è nata : mettiamo una cuffietta a testa e canticchiamo passeggiando sotto il sole belli ritmati . Passeggiata sui Dock diretti alla zona dei musei di St. George, tra alcuni murales . Il sole gioca con le nuvole, e noi anche.
Ci fermiamo a fare alcune foto alla futuristica biblioteca di Liverpool e a The Drumlin’s SuperLambanana, ben posizionato nella zona universitaria : mascotte portafortuna della città, è adesso vestito con i colori dell’Ucraina. In realtà non ne sappiamo nulla: è una scultura che rappresenta un incrocio tra una pecora e una banana, alta 5,2 metri e del peso di 7,9 tonnellate, progettata dall’artista giapponese (operante a New York) Taro Chiezo . Realizzata nel 1998 per la ArtTransPennine Exibition, sintetizza la storia di Liverpool , in quanto le banane e le pecore erano merce comune nel porto della città, e suggerisce inoltre il potenziale rischio dell’ingegneria genetica, con un aspetto simpatico e immediatamente riconoscibile. E’ stata pensata per avere non una collocazione fissa ma per essere spostata ; il colore originario è il giallo, ma è stata più volte ridipinta per particolari scopi : rosa a sostegno delle associazioni contro il tumore al seno , viola durante la campagna contro il fumo. E’ costata 35.000 sterline ; ma alla sua realizzazione è seguito un conflitto con l’artista, inerente il pagamento di diritti d’autore, risolto con la replica della statua da parte di un altro artista, replica che potrà rimanere nella città per 80 anni, mentre l’originale sarà restituito all’artista Taro Chiezo. Nel 2008, quando Liverpool è stata capitale europea della cultura, ne sono state realizzate 125 repliche (ognuna delle quali con un nominativo particolare) più piccole, da vari artisti , sponsorizzate dalle organizzazioni o da privati della città ; al termine delle otto settimane di esposizione sono state messe all’asta ed hanno generato un ricavo di 550.000 sterline. La più lontana è nel nord Galles, sulla cima di Moel Famau : è la più alta SuperLambanana (The Highest SuperLambanana) .
Arriviamo poi al World Museum di Liverpool , dove ammiriamo la stupenda collezione di Egittologia, splendidamente raccontata : ogni frammento od oggetto con una iscrizione riporta la precisa traduzione e l’utilizzo o il significato nella vita di migliaia di anni fa (ed è impressionante verificare come per molti versi non siamo tanto cambiati, e per altri addirittura peggiorati) ; di ogni mummia viene brevemente raccontata la storia archeologica e soprattutto il nome e la vita della persona che la abita. Il risultato è estremamente evocativo e talvolta commovente . Peccato la presenza molto disturbante di molte classi di bambini, dalla materna in poi che fanno lezione proprio dentro il museo. Sorvoliamo su tutto il resto, tranquillizzati dall’ingresso gratuito a tutti i musei pubblici della città.
Pranziamo e ci dirigiamo alla Walker Art Gallery, che è imperdibile dice la nostra guida : per fortuna sono aperte poche sale espositive, bellissime. Una di sculture di epoca vittoriana ; una con gli abiti in perline di inizio novecento ; una di pittori preraffaeliti ; una di pittori del Regno Unito dal 1800 al 1900 ; una di impressionisti. Penso non si debba aggiungere altro, se non che il personale è più che gentile ed accogliente, e – appena vede un accenno espressivo di titubanza – accorre in soccorso con ogni spiegazione, sincerandosi che le nostre vacanze procedano bene. A volte penso che noi italiani – negli ultimi 30 anni di conflitti sociali e politici gridati a piena voce – abbiamo perso il senso delle buone maniere e della gentilezza, la comune e semplice (forse non così semplice) capacità di dialogo .
Passeggiata tranquilla sotto il sole : centro città e Docks, che sono veramente stupendi. Il sistema portuale di Liverpool è composto da un sistema di bacini unico al mondo : fino a pochi decenni fa l’area portuale rappresentava il declino industriale della città, mentre oggi è stata completamente riqualificata ed ospita alcuni dei più importanti musei. La città di Liverpool ha un grande legame con il suo porto : si è infatti sviluppata dopo il 1715 quando viene costruito l’Old Dock , che è la prima darsena commerciale del mondo. La novità consisteva nel creare una parte interna al porto, chiusa da dighe, che poteva riparare le navi e proteggerle dalle correnti del Mersey. Negli anni successivi l’area portuale è stata ampliata con l’aggiunta di ulteriori darsene collegate tra loro, che si estendevano per oltre 12 Km. ; all’epoca questo sistema portuale interconnesso era considerato il più avanzato del mondo perché i vari bacini consentivano alle navi di muoversi al loro interno per 24 ore al giorno, senza che le correnti del fiume Mersey creassero loro alcun problema. Inoltre nel 1885 questo sistema di dighe era diventato anche il centro di una rete idraulica che forniva di energia elettrica la città. Purtroppo il lato negativo della storia recente è legato alla speculazione edilizia : infatti molte darsene sono sparite dalla geografia della città, perché sono state riempite per creare terreni edificabili. Un esempio su tutte è il progetto Liverpool Waters che ha fatto finire tutta l’area portuale nell’elenco del patrimonio UNESCO in pericolo. Per fortuna alcune parti del vecchio porto si stanno salvando da sole perché sono diventate imperdibili mete turistiche, come l’Albert Dock. Si tratta di un complesso di magazzini edificati nel 1846 senza usare il legno per sostenere le strutture : Il progetto di Jesse Hartley e di Philip Hardwick era decisamente futuristico per l’epoca e prevedeva di utilizzare solo ghisa, mattoni e pietre come materiali da costruzione per rendere questi edifici meno soggetti ad incendi. Nell’Inghilterra di inizio Novecento l’Albert Dock aveva introdotto un rivoluzionario sistema di carico e scarico delle navi direttamente dall’alto dei magazzini anche con l’utilizzo di gru idrauliche. L’Unesco lo definisce come “il supremo esempio di un porto commerciale in un momento di grande influenza globale”. La storia di Liverpool è infatti indissolubilmente legata al suo porto commerciale , e in modo particolare al trasporto transatlantico. Nono solo navi di lusso come il Titanic, ma anche enormi bastimenti carichi di schiavi e disperati in cerca di fortuna. Tra il 1830 e il 1930 circa 9 milioni di persone sono partite da Liverpool con destinazione Nord America, Australia e Nuova Zelanda. Il porto però era così strettamente legato al trasporto commerciale che dopo la prima guerra mondiale il calo dell’emigrazione e lo spostamento delle crociere della Cunard Line a Southampton hanno praticamente fatto cessare tutte le attività, lasciando solo i magazzini per lo stoccaggio della merce. All’inizio della seconda guerra mondiale l’Albert Dock era stato requisito dalla Marina inglese per diventare la base di tutta la flotta atlantica britannica, compresi i sottomarini e le navi da guerra. Questa sua importanza strategica l’aveva fatto diventare obbiettivo dei bombardamenti tedeschi che ne avevano distrutto una gran parte (oltre a colpire altre zone della città, come il World Museum , che ha perso parte delle sue collezioni) . Alla fine della guerra il porto era conciato così male che la società proprietaria (la Mersey Dcks and Harbour Board , MDHB) si era ritrovata nel mezzo di una gravissima crisi finanziaria decidendo di non procedere al recupero. Anche se si sono susseguite varie proposte di riqualificazione a partire dagli anni sessanta, la ristrutturazione dell’Albert Dock è iniziata solo negli anni ottanta. Oggi l’area portuale ospita orgogliosamente il Tate Liverpool, il Meyerside Maritime Museum e numerose attrazioni turistiche.
Ringraziamo di cuore Liverpool : città generosa, vitale, ricca di storia, che sa accoglierti a braccia aperte. E buonanotte (dopo riordino del camper, doccetta e cena). Anche oggi : oltre 11 Km.
Giovedì 22 giugno 2023. Notte poco riposata : i gabbiani hanno strillato tutta notte – non sappiamo perché – e si sono sentite varie sirene. Proseguiamo con il programma fatto : abbiamo scaricato una mappa del Beatles Tour organizzato da vari gestori (costo minimo 20 sterline a persona, in bus, senza ingresso nelle case di Lennon e di McCartney, del National Trust). Decidiamo quindi di farlo in autonomia, con alcune perplessità per la viabilità dei percorsi e le soste …. Ma se ci riescono i bus, i pulmini, i taxi , ci dovremmo riuscire anche noi. Nella periferia di Liverpool (molto periferica, quartieri che poco tempo fa erano veri e propri paesi) di Liverpool in ordine affronteremo le tappe di :
12 Arnold Grove, casa di George Harrison . Tutto bene fino all’arrivo, quando ci accorgiamo di essere in un vicoletto senza uscita : peggio in un vicolo diramato in tre vicoli senza uscita. Pensiamo subito di esserci messi in un guaio, ma Gabriele riesce ad uscire in retromarcia, arriva ad un punto in cui riesce a girare il camper e fuggiamo. Riesco a individuare l’abitazione, minuscola : un appartamento penso di due locali, cucina/salotto a piano terra, camera da letto al primo piano, con il bagno nel cortile posteriore. Nessuna targa identificativa.
Chiesa di St. Peteral Woolton Village : dove John Lennon conosce Paul McCartney, il 6 luglio 1957, ad una festa parrocchiale, mentre sta suonando con il suo primo gruppo The Quarry Men. Hanno 16 e 14 anni . Non riesco a capire dove potesse stare il piccolo palcoscenico : l’unica possibilità e tra i due alberi di fronte all’ingresso, perché tutto il resto del giardino è occupato dal cimitero, dove riesco ad individuare la tomba di Eleanor Rigby, su una lapide che porta anche il nome di altri componenti della famiglia. Questo nome nel 1966 diventerà il titolo di una delle canzoni più famose dei Beatles, contenuta nell’album Revolver. In realtà questa Eleanor Rigby non c’entra nulla con la protagonista della canzone : McCartney sceglie questo nome riferendosi ad un’attrice (Eleanor Bron) e al nome di un negozio di Bristol (Rigby & Evens Ltd, Wine & Spirit Shippers). In seguito ha anche ammesso che potrebbe aver ricordato inconsciamente il nome sulla tomba, in quanto la chiesa era una delle mete dei suoi incontri con Lennon. Comunque ogni accadimento o riferimento della canzone è completamente inventato . La vera Eleanor, per quanto è dato sapere dai dati anagrafici, era nata nel 1895 da Mary Rigby e Arthur Whitfield ; ha lavorato nell’ospedale di Liverpool e nel 1930 ha sposato Thomas Wood ; ha vissuto a Woolton l’intera vita, ed è morta a 44 anni nel 1939. Nel 2017 gli eredi hanno anche intentato una causa riferendosi al testo della canzone ; ma McCartney ha di nuovo spiegato che il nome e la storia era solo il frutto della sua fantasia e non aveva alcun riferimento ad una persona o a fatti reali. La chiesa dovrebbe avere una targa commemorativa nell’atrio, che però è chiuso. Per cui anche qui completo anonimato.
Beaconsfield Road , Strawberry Fields : forever, dice John Lennon, che veniva a giocare nel parco di questa casa per bambini della Salvation Army. Ancora oggi il centro prosegue un’opera di inserimento di ragazzi in difficoltà, grazie anche al finanziamento derivante dal turismo legato ai Beatles. Fotografia al cancello rosso del parco.
Mendips 251, casa di John Lennon : di proprietà del National Trust, è visitabile solo con i tour organizzati. In realtà questa è la casa della zia Mimi, dove ha vissuto dai 3 ai 17 anni : villetta decisamente piu’ confortevole. Qui c’è una targa blu che identifica il luogo.
Penny Lane : che in realtà era un piccolo giardinetto che Paul McCartney vedeva da ragazzo quando si affacciava al finestrino del bus che lo portava a scuola ; oggi luogo di pellegrinaggio pieno di scritte, dichiarazioni d’amore… da vedere il piccolo gazebo – oramai barcollante – dove i beatles strimpellavano la sera…
Forthlin Road 20 , casa di Paul McCartney : altra graziosa e comoda villetta , di proprietà del National Trust, con targa commemorativa. In questo momento è assediata da visitatori : alcuni in attesa di fronte all’ingresso, alcuni in arrivo appena scesi da bus, pulmini e taxi . Un vero pellegrinaggio.
Madrin Street 9, Admiral Grove 10 , casa di Ringo Star : nell’anonimo e periferico quartiere di Dingle dove viveva la classe operaia che lavorava al porto di Liverpool ; la zona è ben riconoscibile da lontano per il grande murales che identifica l’edificio dove era The Empress, il pub dove lavorava la mamma , che è finito sulla copertina del suo primo album da solista “Sentimental Journey” : la canzone non ha avuto grande successo, in quanto spolverava il vecchio swing in un periodo in cui i gruppi portavano avanti ogni genere di sperimentazione. I genitori presero in affitto un minuscolo appartamento con bagno esterno per 10 scellini la settimana e dopo la separazione – a soli 3 anni – Richard si trasferì con la mamma nella vicina Admiral Grove, in un appartamento simile .
Alla fine siamo esausti : il tour è stato faticoso, soprattutto per l’autista, ma ci ha dato l’idea precisa del mondo comune da cui provenivano I fab four : sono spuntati dal nulla, in un momento evidentemente di grande fermento musicale .
Ci dirigiamo a tutto gas a Crosby affacciati alla lunghissima spiaggia, solo per godere della bella giornata di sole ; pranziamo con gamberetti e insalata di pomodori e avocado. Ma la vera ragione di questa tappa è la particolare opera di Antony Gormley , chiamata Another Place (Un altro posto). E’ formata da oltre 100 statue di ferro sparse sulla spiaggia di Crosby nell’arco di 2 miglia : rappresentano 17 diversi tipi di repliche del corpo dell’artista (come la maggior parte delle sue opere) , a grandezza naturale, figure in piedi che stazionano diritte uscendo dalla sabbia a vari livelli, tutte rivolte verso il mare e l’orizzonte, in un’attesa silenziosa. Ogni scultura sta diritta nello stesso modo, ma esprime differente rilassamento o tensione nella posizione ; l’artista ha rappresentato in questo modo poetico diverse idee : il sentimento universale di tristezza e perdita ma anche di speranza in un diverso futuro e in un altro luogo associato alla emigrazione ; non si tratta di figure eroiche o ideali, ma della rappresentazione realistica del corpo di un uomo di mezza età, e del suo rapporto con la natura ; la vita umana si confronta con la dimensione cosmica delle maree ; le sculture espongono alla luce e al tempo la propria nudità di un uomo comune che cerca di rimanere in piedi e di respirare guardando un orizzonte occupato da navi che trasportano materiali, merci da una parte all’altra del pianeta. Ogni statua è alta 189 cm e pesa 650 Kg. ed è ancorata alla sabbia con un pilone profondo un metro. Ed è soprannominata “The iron man” dai locali ; con l’alzarsi e l’abbassarsi della marea lentamente emergono o vengono sommerse dal mare e danno una immagine potente e suggestiva : uomini che affrontano silenziosi il mare, l’orizzonte, l’acqua, il vento , le tempeste, gli elementi. E’ un’opera oramai residente in questa spiaggia : il previsto trasferimento a New York è infatti stato annullato, per la potenza evocativa della attuale collocazione.
Passeggiamo lungo tutta la spiaggia (alla fine facciamo quasi 10 Km) anche per fare un po’ di spesa (frutta e verdura) con somma felicità della Nina, che inizia a fare le sue corse scatenate in spiaggia. Il paese in realtà non ci convince molto : case turistiche, anonime e spesso deserte, con un’atmosfera generale triste e cupa. Al tramonto poi si scatenano le scorribande dei ragazzi, che sembrano concentrarsi tutti nel parcheggio della spiaggia (come dar loro torto, vista l’atmosfera cupa del paese ?) : dopo cena (passatelli e fragole) decidiamo perciò di tornare al nostro tranquillo parcheggio al Kings Dock di Liverpool .
Venerdì 23 giugno 2023. Dopo una notte molto riposata, salutiamo nuovamente Liverpool che ci è proprio piaciuta : come si fa con i luoghi del cuore, dovremo cercare di inserirla come tappa di trasferimento in qualche viaggio futuro.
Ci dirigiamo a Port Sunlight, perché il tempo non è buono : cielo grigio uniforme. Arriviamo a questo “villaggio modello”, o “villaggio giardino” : un complesso esperimento sociale dell’imprenditore William Hesketh Lever, che lo ha fondato nel 1888, pensando ad un villaggio modello dove migliorare la qualità di vita dei suoi dipendenti, operai ed impiegati di una fabbrica di saponi, la Sunlight Soap. Nel 2001 il villaggio aveva ancora 1450 abitanti.
Per costruirla Lever si è avvalso della collaborazione di molti architetti, che hanno progettato molti edifici secondo vari stili architettonici (Tudor, rosso mattone Queen Anne, elisabettiano) : oltre 900 edifici sono stati classificati come edifici di secondo grado (Heritage and Conservation Council). Passeggiare nelle vie del paese è ancora una esperienza piacevole, ricca di sorprese continue : le case sono ancora abitate ed è stata istituita una fondazione che si occupa con gli abitanti stessi della conservazione del luogo. Oltre alle abitazioni civili, Lever ha costruito centri ricreativi (circolo delle ragazze, un circolo dopolavoro per uomini) , una scuola che garantiva a tutti un buon livello di istruzione , un ospedale che forniva assistenza sanitaria gratuita (oltre 50 anni prima dell’istituzione del servizio sanitario nazionale) , una chiesa fornita di riscaldamento sotto le panche, centri per sport compresa una piscina riscaldata dal calore prodotto dal saponificio, un teatro, un centro per matrimoni e celebrazioni, aree verdi e giardini ; insomma ha pensato ad un villaggio ideale dove ci fossero buone condizioni di vita per tutti . E si è sempre ispirato non al minimo vitale, ma al meglio che le conoscenze dell’epoca potevano garantire, tutelando sempre anche il bello ; le case inoltre venivano consegnate complete degli arredi fondamentali, e venivano effettuati incontri educativi di igiene per favorire il mantenimento del benessere . E’ anche evidente che le abitazioni destinate alle varie classi (operaia, impiegati, dirigenti) non siano separate in diverse zone del villaggio, ma mescolate e amalgamate dallo stesso gusto estetico e funzionale. Insomma non si tratta certo delle case popolari umide e malsane dell’epoca. La scuola, i centri ricreativi, il teatro fornivano inoltre attività culturali all’avanguardia : nel 1962 i Beatles hanno tenuto il loro primo concerto nel villaggio , scritturati per uno spettacolo di 80 minuti (con un ingaggio concordato di 30 sterline) .
Il successo della sua innovativa formula per la produzione di un sapone profumato e morbido fu tanto che la sua azienda crebbe esponenzialmente garantendogli un duraturo e crescente successo finanziario ; dopo la morte della moglie, appassionata collezionista d’arte, costruì un museo in cui fece esporre le opere migliori in suo possesso. La raccolta (composta di oltre 20.000 pezzi) è ancora oggi impressionante : meravigliosa la sala dei preraffaeliti (Edward Burne-Jones, John Constable Reynolds, Joshua Reynolds, Dante Gabriele Rossetti, Turner …) . Ma non disdegna neppure l’arte classica, le ceramiche orientali ed inglesi, gli arredi, finanche la camera di Napoleone Bonaparte.
Quando usciamo ci dirigiamo al Bridge Inn , che è il vecchio pub del villaggio : oggi purtroppo serve cibo impersonale e deludente, così come impersonale e distaccato è l’atteggiamento delle cameriere . Veniamo rimbalzati dalla sala ristorante a quella più informale e veloce del pub, perché nessuna delle cameriere desidera prenderci in carico. Mangiamo non male, ma neppure bene : insomma un pranzo da non ricordare.
Entriamo quindi nella Christ Church : costruita nel 1901 in stile vittoriano, ha uno splendido soffitto. Entrati in chiesa, veniamo accolti dai saluti calorosi del parroco, che ci consegna una breve descrizione della storia della chiesa. Avvicinandoci all’altare, ci accorgiamo con stupore che nello spazio sulla sinistra è presente un angolo bar , con semplici pasti casalinghi, dolci e bevande, preparati nella cucina attigua . Decidiamo di provare l’esperienza – mai neppure sentita prima di oggi – di sederci in cattedrale per bere il caffè ed un tè , a cui aggiungiamo uno scone con burro e marmellata per non tralasciare nulla ; mentre aspettiamo che la signora gentilissima ci porti quanto richiesto, l’organista inizia le sue prove. Per cui ci troviamo nel posto perfetto nel momento perfetto : merenda in chiesa con concerto d’organo, tutto solo per noi (e il parroco, che si concede una bella fetta di torta). Tutto il bello ed il sacro ci circondano, ci avvolgono , ci regalano una gioia grande. Una esperienza simile a quella del sogno in cui arrivi nella stazione meta del tuo viaggio su un luccicante treno rosso e dorato : quando scendi sul morbido tappeto rosso steso proprio per te, la banda inizia potentemente a suonare per accoglierti . Siamo entusiasti : il luogo non ha nulla di trasgressivo, consumistico o profano, e la musica rotonda e vibrante dell’organo ci fa rimbombare lo stomaco, venire i brividi . Prima di noi erano seduti una coppia di turisti in un tavolo ed un signore anziano nell’altro, che manifestava una certa consuetudine al luogo ed alle persone, chiacchierando affettuosamente. Sembra un club, un luogo di ritrovo, un’attività di socializzazione, vitale e tranquilla. Prima di uscire doniamo 5 sterline alla chiesa per ringraziare dell’esperienza indimenticabile, e ci vengono regalate due penne ricordo.
Devo dire che ascoltando l’organo suonare, abbiamo un po’ perso la nozione del tempo, per cui quando usciamo ci rendiamo conto che sono quasi le quattro e quindi tutti i luoghi da visitare (che non abbiamo ben chiaro quali siano a questo punto) stanno per chiudere ; ci viene l’ansia, anche perché non riusciamo ad orientarci con la piantina che ci è stata consegnata, che peraltro si bagna rapidamente perché inizia a piovere bene. Camminiamo affannosamente sotto la pioggia per raccapezzarci, ma alla fine non sappiamo se abbiamo visto quanto c’era da vedere. Per noi però è giunto il momento di partire, perché dobbiamo fare un po’ di strada ed entrare in campeggio, quindi non possiamo arrivare tardissimo. Decidiamo che la visita è terminata quando arriviamo alla recinzione – ancora in mattoni rossi – della vecchia fabbrica, dietro la quale si sviluppa il nuovo enorme impianto produttivo della UNILEVER, una delle multinazionali più potenti del mercato mondiale , titolare di 400 marchi tra i più diffusi nel campo dell’alimentazione, delle bevande, dei prodotti per la casa e l’igiene (è il gruppo più importante al mondo nel settore dei beni di largo consumo) : deriva dalla fusione tra fratelli Lever e Margarine Unie , olandese, nel 1929. Oggi è presente in 90 paesi con oltre 200 filiali : nel 2018 il suo fatturato rasenta i 50 miliardi di euro, con un utile netto di quasi 10 miliardi. Dal 1998 ha lanciato il marchio Heartbrand (logo a forma di cuore) con il quale firma tutti i suoi gelati (carte d’or, cornetto, magnum, solero, twist, viennetta…) ; negli ultimi decenni ha rilevato nestlè, algida, motta, settori kinder, toseroni, grom, equilibra, lipton, montana, calvè, knorr, pfanni, findus, slim fast, cif, omo, lysoform, coccolino, svelto, surf, badedas, rexona, glysolid, dove, lux, atkinson, mentadent, … questo per quanto riguarda marchi italiani, poi ci sono quelli di tutto il resto del pianeta.
Innumerevoli i contenziosi a livello planetario che la riguardano :
Critiche per filiali in stati con regimi oppressivi
Mancato rispetto di salari minimi , sfruttamento della mano d’opera, condizioni di lavoro insalubri
Licenziamento ed espulsione di curdi concordata con governo turco
Rilascio di 50 tonnellate di acido solforico concentrato
Ripetuto superamento dei limiti di scarico di sostanze chimiche consentiti
Licenziamenti ingiustificati
Acquisto di olio di palma non sostenibile da produttori che non tutelano l’ambiente (deforestazione)
Scarico abusivo di mercurio derivante dalla produzione di termometri in India
…………
Il signor William Hesketh Lever riposerà serenamente nella sua attuale postazione eterna ?
Iniziamo tranquillamente la nostra discesa verso Cardiff ; come strategia vincente identifichiamo un campeggio nel nulla generale : nei paraggi non ci sono paesi, né città da visitare , per cui pensiamo ci sia abbondante disponibilità di posto (i tentativi di prenotazione via mail di oggi sono stati rifiutati) .
L’arrivo è quasi comico, se non fosse che l’orario già avanzato potrebbe renderlo tragico : dopo due ore di viaggio ci addentriamo in stradine sempre più strette, senza nessuna indicazione di campeggi . Iniziamo a preoccuparci quando dobbiamo superare uno strettissimo ponticello che scavalca parecchio in alto i binari di una linea ferroviaria (e che limiterebbe il passaggio a mezzi di 3 tonnellate). La nostra perplessità è rinforzata dagli sguardi incuriositi e stupiti degli abitanti di un angusto e piccolo paesino che attraversiamo, che sembrano proprio chiedersi che cosa cavolo ci facciamo lì. Ma infine vediamo, tra gli alberi di una sperduta fattoria , i profili di altri camper e tende … giusto al di là del piccolo torrente che dobbiamo guadare lentamente per entrare al campeggio. Stessa scena di tutti i farm-campsite del Galles : suoniamo alla porta della piccola ( e in questo caso un po’ sgangherata) fattoria per concordare l’accesso. In questa ambientazione rurale e ruspante il campanello è stranamente elettronico : ci apre un anziano signore dalla dentatura cavallina che sembra prendere il volo ad ogni consonante pronunciata, che mantiene un’espressione interrogativa, anche se non c’è alcun dubbio che possiamo essere qui solo per il campeggio. Chiedo la disponibilità di un posto per la notte, scatenando mugugni ansiosi e svolazzamento di foglietti, al termine del quale il signore gentile conclude con un “i go to ask to my wife”. Traduco la frase “vado a chiedere a mia moglie” a Mattarelli (impaziente di alloggiarsi sul prato): commento divertito di mr. Mattarelli “tutto il mondo è paese”. Per fortuna la signora conclude che è disponibile l’ ULTIMO posto del campeggio. Meno male perché sono oramai più delle 8 di sera e : girare il camper, guadare di nuovo il torrente, cercare una via alternativa a quella con il ponte debole per non cadere sui binari al buio e venire travolti dal treno , e soprattutto cercare un altro campsite al buio, non è esperienza che vorremo sperimentare.
Ci posizioniamo sistemando tutti i cunei sotto le ruote per raddrizzarci un po’ e diamo il via alle operazioni serali : preparazione delle scatole per la Nina (che ha finito le sue scorte), della nostra cena (brodo leggero e frutta), foto e diario . E buonanotte. Oggi solo 7,5 Km. : però in parte sotto la pioggia.
Sabato 24 giugno 2023. Notte tranquillissima e risveglio altrettanto. Colazione, doccia (in capanna stile Tudor, con doccia calda e scrosciante), operazioni di scarico (con secchio), carico e WC e partenza. Decidiamo di scendere verso Cardiff tagliando l’entroterra del Galles, lungo stradine secondarie (o ancora peggio).
Tragitto molto bello, attraverso le dolci colline, i campi e i villaggi più autentici della regione. Però un po’ faticoso : alcune volte le strade sono così strette che dobbiamo fermarci in un minimo slargo per lasciar passare qualche viandante a piedi. Ad un certo punto, mentre stiamo valutando come girare il camper e fare retromarcia perchè non potremo mai passare su un ponte largo 2,1 metri, una coppia ci affianca e con aria preoccupata e dispiaciuta ci dice che purtroppo la strada diventa molto narrow : si conferma la gentilezza d’animo e la generosità meno formale del popolo gallese. Ringraziamo e spieghiamo che faremo retromarcia e la coppia ha un evidente moto di sollievo per il nostro scampato pericolo.
Arriviamo a Hay on Wye ( I Gelli Gandryll ) : villaggio di 1450 abitanti molto caratteristico, che gode di una fama sproporzionata rispetto alle sue dimensioni perché ospita il festival letterario più grande e prestigioso del Regno Unito (fine maggio) . Il piccolo centro storico è raccolto ai piedi del castello ed è composto da stretti vicoli in forte pendenza in cui si susseguono ininterrottamente 30 librerie (libri nuovo ed usati ed antichi) , cartolerie, antiquariato e anticaglie, stamperie, un negozio specializzato in vecchie carte geografiche.
Breve passeggiata, acquisti di anticaglie + gelatino , saluti alla sposa nel castello, e riprendiamo la nostra stretta via, affaticati anche dal caldo afoso di oggi . Verso sera arriviamo a Caerphilly (Caerffili ) dove fatichiamo un po’ a parcheggiare (divieti notturni e un po’ di stanchezza). Dopo aver sfamato la Nina che come al solito alle 7 di sera PRETENDE la sua cena a gran voce, facciamo una bella passeggiata attorno al bellissimo castello del XIII secolo : costruito inizialmente da un re invasore normanno, è stato poi distrutto da un principe gallese e ricostruito nuovamente “più grande e più bello di prima” da un potente barone inglese Lord Marcher di Glamoran, in risposta all’ultimo principe gallese Llywelyn ap Gruffydd. . E’ infatti uno dei più grandi di tutta la Gran Bretagna (il secondo dopo Windsor) , il più grande di tutto il Galles. La possente struttura è completamente circondata da un triplice fossato pieno d’acqua, dove oggi nuotano felici oche canadesi, fuliche e una bellissima mamma cigna con 6 cignetti : è costituita da una serie di fortificazioni concentriche utilizzate a scopo difensivo. Infatti per raggiungere il cortile interno era necessario superare almeno tre fossati e tre ponti levatoi, sei inferriate e cinque porte doppie. Lo scopo di questa invincibile costruzione e lo sfoggio di tanta potenza era quello di scoraggiare qualsiasi tentativo di rivolta o sommossa gallese. Il suo famoso torrione centrale è stato semidistrutto da Cromwell, ed ha assunto una inclinazione evidente : viene coraggiosamente sostenuto da un omone di cemento invincibile.
Cena, anch’essa un po’ deludente, e finalmente buonanotte, dopo una giornata faticosa.
Buonanotte : speriamo …. Oggi solo 6 km.
Domenica 25 giugno 2023. Dopo una notte di sonno profondo, siamo pronti per il nostro secondo castello Castell Cock . Recupero in stile vittoriano di un vecchio castellone turrito, che alla fine dell’Ottocento era in rovina. Stile un po’ perfetto, rigido ed austriaco, ma nel complesso gradevole. Bizzarre, ma molto belle le decorazioni delle pareti : uccelli e scimmie a profusione.
In un battibaleno siamo pronti per partire : ci trasferiamo a Cardiff, dove troviamo nuovamente parcheggio vicino ai Sophia Garden (il campeggio, dove arriviamo attraverso una rocambolesca one way, ci dice che non ha posto anche se – dovendolo attraversare tutto – non possiamo non notare che almeno metà delle piazzole sono vuote. Misteri misteriosi. Pranziamo e ci riposiamo un po’ : i trasferimenti sono sempre un poco faticosi. Partiamo poi diretti alla Cardiff Bay, che all’andata non eravamo riusciti a vedere, folgorati dall’idea del viaggio. Abbiamo però fatto bene a recuperarla : bella ed allegra, piena di gente a passeggio. La capitale gallese ha eretto un nuovo centro sui resti del passato industriale : il borgo dei vecchi docks, poco attraente ed inquinato, è diventato un elegante quartiere residenziale, oltre che di maestosi centri culturali e tecnologici, ed ovviamente meta del divertimento. Incontriamo il Wales Millennium Centrum ; il Mermaid Quay pieno di locali dove mangiare ed ascoltare musica ; il Senedd , Palazzo dell’Assemblea Nazionale del Galles (edificio ecosostenibile in vetro, legno e ardesia progettato da Richard Rogers, famoso per il Centre Pompidou di Parigi) ; il Pierhead Building, splendido palazzo in mattoni rossi in stile vittoriano ; il Norvegian Church Arts Centre , antica chiesa norvegese completamente costruita in legno, oggi sede di un bar caffetteria e negozio ; passeggiamo poi fino alla Cardiff Bay Barrage , la grande diga che protegge il bacino dei docks dall’andirivieni e dalle correnti delle maree, e consente l’entrata e l’uscita delle barche solo quando c’è l’alta marea con un mastodontico sistema di chiuse e tre ponti levatoi idraulici . Affacciati sul lato del mare non vediamo altro che sabbia ricamata dalla bassa marea, mentre nel bacino di Cardiff corrono veloci i barconi ed arriva un vento potentissimo che ci scompiglia capelli e pensieri. Avvistiamo un albero per nidi di rondine, dal quale si diffonde un concerto ininterrotto di cinguettii .
Rientriamo in camper belli stesi : cena e buonanotte. Oggi siamo stati bravi : quasi 11 Km.
Lunedì 26 giugno 2023 – Martedì 27 giugno 2023. Risveglio molto tranquillo e partenza da Cardiff; facciamo tappa a Luton dove il nostro oramai amico Dale ci ha procurato il pezzo di ricambio (display dometic fridge) e con una velocità sorprendente ce lo installa : essendo il nostro pezzo ancora in garanzia, non ci chiede nulla. Per cui lo ringraziamo con un’altra bottiglia di olio (peraltro l’ultima). Così, nonostante la nostra consistente scorta di olio, succede che siamo rimasti a secco . Decidiamo quindi di dirigerci al nostro Christal Palace Campsite, per riposarci da queste impegnative vacanze . Grandi operazioni di carico/scarico, pulizia, riordino, lavanderia e finalmente una bella docciona .
Incontriamo finalmente la Jessica – che ha lavorato a pieno ritmo per avere poi i giorni liberi da passare con noi – solo martedì sera, all’uscita dal Colisseum. Grandi abbracci e decidiamo di cenare ad un coreano (che Gabriele attende da quando siamo partiti : “vedrai che la Jessica vuole portarci di nuovo lì”) ; la Jessica ne sceglie uno nuovo (Koba BBQ Korean Restaurant) , che ci regala una cena memorabile, dove tutto ci appare perfetto. Un po’ per l’ambiente insolitamente tranquillo per un locale londinese, che ci consente di trascorrere una piacevole serata nel racconto delle vacanze in Galles e delle novità della Jessica, un po’ per l’ottima cucina che ci fa davvero sperimentare i sapori orientali: carne, pesce e verdure grigliate al centro del tavolo, già insaporite con spezie particolari, e accompagnate da altre curiose salsine ; ogni pezzetto di carne deve essere avvolto in una foglia fresca di insalata e passato dentro la salsina prescelta, con una varietà finale di abbinamenti e gusti davvero sorprendente ed invitante. Dopo cena facciamo una breve passeggiata fino alla fermata dei nostri bus : aspettiamo quello di Jessica e infine il nostro che ci riporta al nostro camperone. La Nina è contenta di vederci tornare, ma non accenna proprio a chiedere di scendere dal camper, se non per le sue passeggiatine fisiologiche, come in ogni nostro soggiorno londinese. Non è un cane metropolitano e non abbandona la comodità del suo rifugio sicuro. Buonanotte (1+7 Km.)